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I negoziati sul nucleare iraniano: l’accordo non c’è ma l’Iran sta cambiando

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L’ottimismo che ha caratterizzato l’intero svolgimento dei lavori a Ginevra dei team negoziali dell’Iran e del gruppo “5+1” ha subito alla fine una battuta d’arresto. L’accordo non s’è fatto. Ma tutti si sono alzati dal tavolo con la certezza di averlo solo rimandato al prossimo 20 novembre.

In Iran molto è cambiato nel corso degli ultimi mesi. Dall’elezione alla presidenza di Hassan Rohani, in giugno, la Repubblica Islamica ha profondamente mutato il corso della propria politica estera, transitando dal radicalismo nazionalista di Ahmadinejad al pragmatismo costruttivo del suo successore.

Ma il paese sta evolvendo anche in politica interna. Rohani ha infatti dato un poderoso impulso al dibattito nazionale, favorendo l’avvio di un processo di distensione nella litigiosa casa dei conservatori, aprendo alle istanze del riformismo, e spingendo per una ripresa delle politiche sociali ed economiche. A differenza dei suoi predecessori, però, ha progettato e concordato con l’eterogeneo establishment politico l’intero impianto delle sue innovative e certamente positive intuizioni, richiedendo e ottenendo un esplicito e sostegno pubblico. Soprattutto da parte della Guida, Ali Khamenei.

Le priorità urgenti della Repubblica Islamica sono state ridefinite dando nell’immediato il maggior peso alla ripresa del negoziato sul nucleare e alla riduzione della portata delle sanzioni. Ambiti che, nelle intenzioni del nuovo esecutivo, devono produrre un migliore e più stabile clima politico ed economico per l’Iran, al fine di risollevare le sorti di un paese caratterizzato da una forte crisi economica e da sempre più esasperate tensioni sociali.

Il presidente ha così potuto condurre una trionfale missione diplomatica negli Stati Uniti a settembre, in occasione dell’annuale appuntamento alle Nazioni Unite, cui ha fatto seguito una precisa illustrazione in patria delle tappe che il governo avrebbe percorso nel rapporto con Washington e la comunità internazionale sulla questione del nucleare.

Tappe e strategie che la Guida Ali Khamenei ha prontamente confermato, in un importante discorso pubblico davanti ai vertici della Sepah Pasdaran, ai quali ha ordinato di astenersi dall’opporre resistenza contro le coraggiose scelte del presidente. Non tutti sono però d’accordo con questa linea politica, e non in pochi, anche in Iran, vedono con timore le ipotesi di riavvicinamento all’occidente. Quasi trentacinque anni di chiusura ed embargo hanno favorito la nascita e lo sviluppo di una forma di economia parallela in cui molti hanno potuto generare fortune e rendite di potere, che saranno difese con ogni mezzo. Questa è una seria minaccia per il nuovo governo e la sua alleanza con l’establishment teocratico della Repubblica Islamica.

È su tale sfondo cha si devono valutare gli sviluppi dei negoziati di Ginevra: il primo incontro, un mese fa, non si è concluso affatto male, visto che il team iraniano si è presentato con una proposta giudicata interessante dalle controparti. Non se ne è potuto conoscere molto, stante l’immediata secretazione, ma con ogni probabilità si portava in dote una soluzione per i problemi più spinosi del negoziato: limiti alla capacità di arricchimento, gestione del materiale già arricchito, attività nelle centrali di Arak e Fordo, e gestione delle ispezioni.

Il secondo incontro, dal 7 al 9 novembre, è stato caratterizzato da un grande ottimismo delle parti, che hanno intensamente cercato un risultato dimostrando concretamente la propria buona fede.

In questo spirito si sono presentati a Ginevra in successione il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif, il segretario di Stato USA John Kerry, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius e il suo omologo russo Sergei Lavrov; eppure, la soluzione non s’è trovata. Difficile stabilire perché il negoziato si sia arenato proprio nel momento in cui sembrava avvicinarsi al successo, ma di certo è possibile individuare la responsabilità immediata dell’accaduto: è stata la Francia a determinare l’arresto di un accordo che di fatto sembrava raccogliere il consenso di tutti – compresa inizialmente la stessa Parigi. Non pochi diplomatici hanno lamentato l’inappropriato comportamento con cui i francesi hanno sistematicamente violato la riservatezza dei negoziati, cercando di dominare la comunicazione del gruppo del 5+1 verso l’esterno.

Le differenze al tavolo negoziale, vastissime sino al mese scorso, si erano ridotte considerevolmente, arrivando a definire i margini operativi per un accordo attraverso una gradualità d’azione che avrebbe soddisfatto le parti. È stata però appunto la Francia ad insistere sulla questione della centrale di Arak, peraltro non ancora in funzione, chiedendone l’arresto immediato e completo, determinando alla fine l’impossibilità di definire un accordo nella seconda riunione. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania, la Russia e la Cina erano favorevoli a traslare ad una fase successiva la questione della centrale di Arak e quella della riduzione delle scorte di uranio già arricchite, mentre i delegati francesi hanno inaspettatamente (e inopportunamente) insistito perché questi aspetti fossero decisi immediatamente.

L’Iran e il “5+1” si incontreranno nuovamente a Ginevra il 20 novembre. Ci sarà certamente un grande nervosismo ad accompagnare l’avvio della prossima riunione; non solo per l’arresto improvviso della precedente tornata, ma anche per effetto degli attacchi che, quasi certamente, saranno sferrati nel frattempo dal Congresso USA al presidente, e dai radicali a Rohani.

È stata persa un’ottima occasione, ma ancora non tutto è perduto. Tutti gli attori seduti al tavolo del negoziato (con la parziale eccezione della Francia ovviamente, la cui posizione resta ora da chiarire) hanno dimostrato di essersi presentati a Ginevra per risolvere il problema, e questo è già un enorme passo avanti rispetto al passato.

Nella fase attuale, sarebbe altamente auspicabile che le diplomazie europee cercassero di ricondurre la Francia a una linea condivisa, rinunciando ad ogni eventuale tentazione grandeur – se di questo si è trattato – poiché nel contesto di un negoziato tanto delicato e cruciale non ci si può permettere di sbagliare troppe mosse.