Per affrontare l’ultimo e decisivo mese di campagna elettorale, Barack Obama e Mitt Romney contano su due team di stretti consiglieri diversi in tutto, ma accomunati da un metodo di lavoro assai simile.
La diversità sta nell’identità, le esperienze e i valori di cui tali consiglieri sono portatori. Nel caso di Obama, l’architetto della campagna è David Plouffe, il guru politico David Axelrod, il regista operativo Jim Messina, l’inseparabile speechwriter Jon Favreau, il consigliere sull’economia Gene Sperling – e infine un altro personaggio importante è il capo del Partito Democratico Debbie Wasserman Shultz. Nelle 72 ore di ritiro a Las Vegas precedenti il dibattito di Denver sono stati loro ad affiancare, circondare, assistere e spesso incalzare Obama: ognuno di loro ha infatti una funzione particolare nell’inner circle del 44° presidente degli Stati Uniti.
Messina è lo stakanovista di lontana origine italiana (formatosi alla Casa Bianca a fianco dell’allora capo di gabinetto Rahm Emanuel) che da Chicago guida il quartier generale di “Obama for America” ovvero un numero top-secret di operativi digitali, ventenni e trentenni: il loro compito è identificare in ognuno dei 50 Stati un network capillare di sostenitori capace di garantire microdonazioni e, nell’Election Day, di portare a votare i sostenitori. Messina, seguendo le direttive di Plouffe (il vero architetto della campagna), sta portando ad un livello di sofisticazione senza precedenti il micromarketing elettorale che fu inventato da Howard Dean nelle primarie democratiche del 2004 e sfruttato anche da Karl Rove nelle presidenziali di quello stesso anno per rieleggere George W. Bush alla Casa Bianca. La forza, e il segreto più gelosamente custodito, da Messina è un database con milioni di nomi, indirizzi email, password e accessi alle chat che costituisce la vera cassaforte, finanziarie e politica, del presidente. Se fu Plouffe, architetto della campagna del 2008, a gettare le basi di tale macchina elettorale, Messina ne gestisce ora l’eredità per trasmettere i messaggi politici con cui trasformare milioni di volontari di una poderosa armata elettorale.
È proprio a David Plouffe dunque che si deve la strategia emersa con chiarezza alla Convention di Charlotte: far rieleggere il presidente creando una coalizione elettorale più vasta rispetto a quella del 2008 perché capace di includere una maggiore percentuale di ispanici – l’obiettivo è sfondare il tetto del 70% – e di donne – puntando al 60%. Si punta anche a coinvolgere migliaia di famiglie militari attirate dalla determinazione di Obama nel combattere il terrorismo – come evidenziato dall’eliminazione di Osama bin Laden – garantendo anche varie forme di aiuto finanziario ai veterani delle guerre in Iraq e Afghanistan per favorirne un re-inserimento sociale e nel mercato del lavoro.
Dietro a Plouffe, sin dal gennaio 2007, c’è David Axelrod ovvero il consigliere politico che Obama consulta, di persona o nel cyberspazio, su ogni decisione di peso dell’amministrazione. Jon Favreu è invece il trentenne speechwriter a cui si devono gran parte delle parole pronunciate in pubblico da Obama. Un discorso a parte va fatto invece per Debbie Wasserman Shultz, quarantenne deputata della Florida, che appartiene alla generazione dei “Cowboy democratici” vincitori delle elezioni del 2006 per il rinnovo del Congresso: viene considerata da Obama non solo un vettore di rinnovamento interno del partito ma anche una formidabile raccoglitrice di fondi elettorali nonché un simbolo, essendo una donna che è riuscita a sconfiggere il cancro al seno.
Sul fronte opposto, Mitt Romney ha come stratega elettorale Stuart Stevens, già consigliere di Bush figlio nelle elezioni del 2000 e 2004, mentre gli advisor più stretti sono l’ex giornalista Eric Fehrnstrom, e Beth Myers, già coordinatrice del suo staff durante gli anni in cui fu governatore del Massachusetts. La macchina elettorale è guidata da Stevens e Fehrnstrom, ma l’analisi di dati, sondaggi e statistiche è affidata a Neil Newhouse (nato a Kansas City, educato alla Duke University, vicepresidente del Wirthlin Group e considerato un imbattibile pollster). Ciò che costoro hanno in comune con Romney è di essere stati al suo fianco negli ultimi sei anni – o anche di più nel caso di Beth Myers – e di godere della sua più assoluta fiducia personale, maturata durante il governatorato del Massachusetts. Il team ha acquisito ulteriore credibilità agli occhi di Romeny nel 2010, quando ha coadiuvato Scott Brown nella campagna che riuscì – contro ogni pronostico – a strappare ai democratici il seggio del Senato rimasto scoperto dopo la morte di Ted Kennedy, il “Leone di Boston”. Quel successo confermò che la ricetta grazie a cui Romney era divenuto governatore – la capacità di portare elettori democratici a votare per i repubblicani – era un know how vincente anche nelle roccaforti dell’amministrazione Obama, perché fondata su pragmatismo politico e attenzione quasi esclusiva ai temi economici. Si spiega così il motivo che ha portato Stuart Stevens a coordinare, in maniera capillare, la Convention di Tampa attorno ad un messaggio unico – appunto, sull’economia – nella convinzione di poter ripetere a livello nazionale l’exploit di Brown grazie alla perdurante crisi che flagella il ceto medio.
Se nel Team Obama prevale la volontà di continuare a trasformare l’America con riforme di ampio respiro – dal fisco all’immigrazione – coniando ad hoc la formula del “Nuovo patriottismo americano”, nel Team Romney ciò che invece prevale è il pragmatismo di chi lavora in un’ottica di breve termine, puntando soprattutto a rimettere in moto la crescita, riuscendo lì dove Obama finora ha fallito: convincere le imprese private a investire nel mercato del lavoro gli ingenti profitti accumulati negli ultimi anni. Non deve sorprendere dunque se anche la struttura della campagna è differente: Obama punta a vincere grazie ai big data accumulati dalla task force di Jim Messina, mentre Romney convinto che ai fini del voto conta di più investire montagne di dollari nella tradizionale pubblicità elettorale televisiva negli Stati in bilico.
Se queste solo le differenze, ciò che accomuna i due inner circle è il fatto di lavorare come squadre protette dal riserbo più assoluto e convinte di poter sfruttare il cyberspazio a proprio favore. Ed entrambe le squadre pensano naturalmente di poter battere l’avversario in una raccolta fondi destinata, alla fine dei conti, a tagliare il traguardo del miliardi di dollari prima dell’Election Day.