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Costituzione e governo in Brasile: un presidenzialismo di coalizione che funziona

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Il Brasile è una repubblica presidenziale federale: queste tre caratteristiche sono sancite dalla Costituzione del 1988, la settima nella storia del paese e la prima dal ritorno alla democrazia (dopo il periodo della dittatura militare tra il 1964 e il 1984). Esse affondano le loro radici nella storia: nato come una monarchia costituzionale nel 1822, l’Impero del Brasile divenne una repubblica nel 1889. Il presidente ha sempre avuto un ruolo centrale rispetto al parlamento; con il referendum del 1993 i cittadini brasiliani hanno respinto sia l’adozione di un regime parlamentarista sia il ritorno alla monarchia.

Il peculiare mix istituzionale: i poteri del presidente
Il federalismo non è stato una costante in questo secolo e mezzo di vita repubblicana[1], ma ora rappresenta una delle poche caratteristiche della Costituzione a non essere emendabile: secondo quanto stabilito nell’articolo 5, infatti, non sono presentabili emendamenti tesi ad abolire la forma federale dello Stato – come anche il voto diretto, segreto, universale e periodico, la separazione dei poteri, e i fondamentali diritti umani. Il federalismo implica una redistribuzione delle competenze e dei poteri ai vari livelli amministrativi – Unione (lo Stato centrale), Stati federati, Distretto Federale che comprende Brasilia, municipalità e territori – regolata appunto dalla Costituzione. Il processo legislativo a livello statale e municipale ricalca quello federale.

Oggi gli Stati e i livelli inferiori di governo locale non partecipano direttamente all’elaborazione della politica nazionale e hanno competenze e organi di governo autonomi rispetto a quelli del governo centrale. Un’autonomia piuttosto ampia, che almeno in materia fiscale non ha eguali in America Latina. Il suffragio è universale e il voto è obbligatorio tranne che per gli analfabeti, i cittadini con oltre 70 anni di età e i giovani compresi tra i 16 e i 18 anni.

L’obiettivo della Costituzione del 1988 era duplice: avere in Parlamento una rappresentanza fedele della disomogeneità e della varietà della popolazione brasiliana, e al contempo garantire al paese un governo forte ed efficiente, ruotante attorno alla figura del presidente della Repubblica. Con il suo mix di multipartitismo, rappresentanza proporzionale e presidenzialismo, il Brasile rappresenta un caso unico tra i regimi liberal-democratici.

Nella sua breve vita, la Carta ha già subito numerose modifiche: ben 76. Il più recente emendamento è stato approvato alle fine del novembre 2013.

Il presidente, che è al contempo capo di Stato, di governo e delle Forze Armate, è eletto a maggioranza assoluta ogni 4 anni in elezioni a doppio turno. Deve essere un cittadino brasiliano di almeno 35 anni e deve essere iscritto a un partito politico (dal 1945 i partiti detengono il monopolio delle candidature a tutte le cariche elettive brasiliane). Ai poteri esecutivi affianca alcuni importanti poteri legislativi: ha il diritto di veto sui progetti di legge (superabile solo con il voto a maggioranza assoluta sia della Camera che del Senato), ha il potere di iniziativa legislativa (in particolare sulla legge finanziaria) e può adottare le Medidas Provisórias com força de lei, letteralmente misure provvisorie con forza di legge”, paragonabili ai decreti legge previsti dall’ordinamento italiano.

Proprio le Medidas Provisórias sono state oggetto della riforma costituzionale del 2001. In quell’anno è stato introdotto l’emendamento 32, con l’obiettivo di ridurre l’uso dei decreti da parte del presidente per ridare centralità al Congresso Nazionale (il Parlamento brasiliano) nel processo di legiferazione. Di fatto, i prerequisiti di necessità e urgenza previsti dalla Carta venivano piegati all’agenda politica presidenziale più che rispecchiare la situazione nel paese. 

L’emendamento 32 ha ridotto le aree nelle quali il presidente può promulgare un decreto, ha rafforzato il controllo sui requisiti per emettere una Medida Provisória, e stabilito che questa sia prorogabile solo per 60 giorni, al termine dei quali, in caso di mancata delibera parlamentare al riguardo, decade.

In realtà il numero dei decreti è aumentato[2], visto che il nuovo testo costituzionale rende più conveniente per il capo dello Stato introdurre una Medida piuttosto che un normale disegno di legge; anche la percentuale di decreti che vengono convertiti in legge è aumentata da quando è stata introdotta la riforma. Quanto ai poteri del presidente, è diminuita l’arbitrarietà mentre è aumentato l’incentivo a ricorrere ad accordi con i partiti di maggioranza. Il potere di attrazione della coalizione di governo nel Congresso è quindi cresciuto, confermando la validità della definizione di “presidenzialismo di coalizione” che secondo il politologo Abranches corrisponde ai regimi del Brasile già prima della Costituzione del 1988[3].

Un altro strumento con cui il presidente può legiferare deriva dalle Leis Delegadas, ossia dalla delega con cui il Congresso affida al capo dello Stato il compito di legiferare su alcuni temi (limitati dall’art.68 della Costituzione). Il ricorso a questo strumento è però alquanto raro: è stato usato 13 volte in tutta la storia del Brasile repubblicano, 2 da quanto è stata introdotta la Costituzione del 1988.

Il capo dello Stato nomina inoltre, con l’approvazione del Senato, i membri del Tribunale Federale Supremo, la Corte Costituzionale brasiliana. Il presidente in carica può candidarsi per due soli mandati consecutivamente. Dilma Rousseff, capo di Stato dal 2011, con ogni probabilità cercherà di rimanere in carica per altri 4 anni ripresentandosi alle prossime elezioni presidenziali, previste per l’ottobre 2014.

Parlamento e partiti
Il potere legislativo a livello federale è detenuto dal Congresso Nazionale del Brasile, il Parlamento bicamerale composto dal Senato Federale e dalla Camera dei Deputati. I due rami del Parlamento rappresentano elettorati diversi. La Camera dei Deputati rappresenta i cittadini. I suoi 513 membri sono eletti per un periodo di 4 anni con il sistema proporzionale con liste aperte; il numero di seggi spettanti a ogni Stato varia – entro certi margini – in base al numero di abitanti dello Stato stesso: si va da un massimo di 70 per lo Stato di Sao Paulo a un minimo di 8 per 10 Stati e il Distretto Federale. Il presidente della Camera è la terza carica dello Stato, dopo il presidente e il vicepresidente della Repubblica e prima del suo omologo al Senato. Tra le sue prerogative esclusive, quella di autorizzare un procedimento legale contro il presidente della Repubblica.

Il Senato rappresenta invece i 26 Stati e il Distretto Federale, ciascuno dei quali esprime 3 senatori (per un totale di 81 membri), eletti con il sistema maggioritario per 8 anni; ogni 4 anni uno o due terzi del Senato vengono rinnovati, in coincidenza con le presidenziali. Tra le sue prerogative esclusive, quella di processare il presidente della Repubblica, gli altri membri dell’esecutivo e i comandanti delle Forze Armate per il reato di malversazione o reati collegati. Il Senato inoltre approva alcune nomine di spicco, quali quelle del Procuratore Generale, del presidente della Banca Centrale e degli ambasciatori.

Alle ultime elezioni, quelle del 2010, sono stati eletti deputati espressi da 22 partiti. L’elevato numero di partiti è soprattutto la conseguenza di una scelta fatta in occasione del ritorno alla democrazia: dopo 20 anni di dittatura si avvertiva forte l’esigenza di tutelare le minoranze, favorire la partecipazione politica e avere un Parlamento che rispecchiasse le diversità del paese. Anche l’implementazione di un modello federalista e l’adozione del sistema proporzionale puro per l’elezione dei membri della Camera vanno in questa direzione.

La presenza di un numero elevato di partiti nel Congresso Nazionale non agevola il lavoro dell’organo legislativo, ma – data la forma di governo presidenziale – è comunque per l’esecutivo un ostacolo minore che se si trattasse di un regime parlamentare. Dati i vasti poteri garantiti al presidente della Repubblica, il multipartitismo non ha rappresentato un problema insormontabile, malgrado il partito del presidente non abbia mai conquistato da solo la maggioranza parlamentare: con l’eccezione di Collor de Mello (1990-92) il presidente, anche se eletto con una coalizione di minoranza, è sempre riuscito a costruire una maggioranza in Parlamento dopo le elezioni. La riforma costituzionale del 2001 sui decreti presidenziali ha comunque aumentato l’importanza della maggioranza parlamentare e gli incentivi ad una maggiore convergenza tra l’esecutivo e il legislativo.

Consenso e dissenso
Il sistema politico brasiliano è stato platealmente messo in discussione a partire dall’estate del 2013, quando le piazze delle principali città del paese si sono riempite di manifestanti. La protesta iniziale, nata da un problema locale (l’aumento del costo del biglietto degli autobus a San Paolo) collegato ai lavori in vista dei Mondiali di Calcio dell’estate 2013, ha presto assunto connotati e rivendicazioni nazionali: i cittadini hanno manifestato contro alcuni mali endemici del Brasile – tra cui la corruzione dei politici e la malversazione di fondi pubblici.

Dilma ha proposto un referendum sull’opportunità di creare un’Assemblea costituente per apportare alcuni cambiamenti alla Carta. L’idea, lanciata e poi lasciata cadere, aveva un movente politico più che costituzionale, dato che i problemi sollevati dai manifestanti – legati semmai alla legge elettorale e alla rappresentanza partitica (attualmente si può correre per cariche pubbliche solo se si è membri di un partito) – possono essere affrontati in Parlamento, eventualmente emendando la Costituzione. Per ora è stata approvata una legge che inibisce la creazione di nuovi partiti.

Anche l’idea, meno ambiziosa, di un referendum per cambiare le leggi che regolano il finanziamento dei partiti e l’unificazione delle elezioni presidenziali, legislative, regionali e municipali, è tramontata[4]. Alle prossime elezioni entrerà inoltre in vigore la legge “della fedina penale pulita”, in base alla quale potranno candidarsi solo cittadini privi di precedenti penali: finora era una pratica comune per personaggi condannati cercare di entrare in Parlamento per garantirsi l’immunità.

Con il ritorno alla democrazia, la Costituzione del 1988 e i successivi emendamenti, il Brasile odierno si è dunque dotato di un presidente forte – i cui poteri sono limitati, oltre che dal legislativo, da un potere giudiziario indipendente, dall’impianto federale e da una stampa libera – e di un Parlamento in grado di rappresentare l’eterogeneità del paese. Il sistema non è certo perfetto (basti pensare al monopolio dei partiti sulle candidature), ma ha saputo garantire quella stabilità politica che è uno dei motivi alla base della crescita economica dell’ultimo decennio.


[1]    Durante l’ultima dittatura, per esempio, il governo centrale ha accentrato i poteri su di sé. Le aperture degli ultimi anni del regime sono state confermate e approfondite con il ritorno della democrazia.

[2]    Nel periodo 1988-2001 la media di decreti presentati era pari a 3 al mese. Dall’approvazione della riforma al 2005 è salita a 5.

[3]    Abranches nel suo saggio si riferisce ai regimi brasiliani precedenti alla Costituzione del 1988. Abranches, S.H.H., 1988, cit.

[4]    La legislazione brasiliana prevede che le modifiche alle leggi elettorali siano approvate almeno un anno prima delle elezioni successive – in questo caso, quelle di novembre 2014, che si svolgeranno senza cambiamenti.