international analysis and commentary

2001-2011: la fine di al Qaeda – nonostante il web

275

Gli attentatori che l’11 settembre del 2001 colpirono l’America erano jihadisti, prima che musulmani. Quella che gli americani, assieme ai loro alleati occidentali e arabi, hanno chiamato ”lotta globale al terrorismo”, è stata definita dai salafiti-jihadisti e parte delle popolazioni islamiche come “lotta globale contro l’Islam e i musulmani”.

Più che sul campo di battaglia in Afghanistan o in Iraq, i paesi occidentali, e assieme a loro quelli arabo-musulmani, hanno sconfitto l’organizzazione di al Qaeda sul campo di battaglia ideologico.

Fino al 2001 esisteva un’organizzazione strutturata e piramidale nota come al Qaeda, la base, in grado di pianificare e portare a termine attacchi come quello al World Trade Center. Dopo quella data non è più possibile parlare di un’organizzazione. Si parlerà dunque di ideologia o di un “marchio in franchising”.

Quella che in gergo viene definita una “polverizzazione” dell’organizzazione terroristica ha da un lato dimostrato la capacità dell’intelligence di sterilizzarne il potenziale offensivo, ma dall’altra ha fatto emergere una minaccia del terrorismo individuale cosiddetta dei “lupi solitari”.

Dopo l’11 settembre, la casa madre qaedista non è stata in grado di portare a termine attacchi di portata comparabile. Gli attentati di Madrid e Londra sono stati compiuti da singole cellule. Le principali organizzazioni ispirate ad al Qaeda e tutt’oggi operative si limitano a pianificare e portare a termine azioni nella loro aree di influenza. Il cosiddetto “Stato Islamico in Iraq” (erede di al Qaeda nel paese dei Due Fiumi), l’emirato islamico in Afghanistan (i talebani), le cellule jihadiste attive nei Territori Palestinesi (AQIM, Al Qaeda nel Maghreb islamico), il movimento jihadista ceceno e quello degli Shabab in Somalia, hanno fino ad oggi rivendicato soltanto azioni locali.

Unica eccezione è stata quella di “Al Qaeda nella Penisola Araba” (AQAP), che ha cercato di spingersi oltre nel 2009 mandando allo sbaraglio un giovane nigeriano di nome Omar Abdel-Mutallab su un volo diretto da Amsterdam a Detroit. In realtà non fu un’operazione gestita direttamente dall’organizzazione attiva nello Yemen, bensì l’oculato lavoro di propaganda virtuale da parte dello sceicco americano-yemenita Anwar Al-Awlaqi, attualmente uno dei massimi esponenti di AQAP.

Quello che dieci anni avveniva soprattutto tra le montagne di Tora Bora avviene oggi principalmente sul web. È stato proprio lo strumento informatico il campo di addestramento che ha permesso ad al Qaeda di sopravvivere come ideologia.

È stato tramite il web che Osama bin Laden e Ayman Al-Zawahiri hanno potuto lanciare i loro messaggi: direttive ideologiche e non operative al fine di tracciare la via, senza l’indicazione di un modo pratico di intraprenderla.

Allo stesso modo in cui il 2001 sarà ricordato come “l’anno di al Qaeda”, il 2011 è il momento in cui l’organizzazione è stata decapitata con la morte del suo fondatore. Ma soprattutto sono state le rivoluzioni arabe – passate, presenti e future – ad aver inferto l’ultimo colpo all’organizzazione, sul suo stesso territorio e da parte di quel tessuto sociale che fino a ieri l’aveva sostenuta. È questo il dato principale di cui i governi occidentali e arabi devono prendere atto. Invano sono state lanciate decine di messaggi di incitamento alla jihad da parte dei leader jihadisti alle popolazioni arabo-musulmane in rivolta.

Inoltre, i governi occidentali hanno compreso alcuni degli errori della lotta globale al terrorismo prendendo atto che buona parte delle popolazioni musulmane desidera partecipare attivamente ai processi democratici nel totale rispetto dei basilari diritti universali. È questa la vittoria della democrazia. È questa la sconfitta di al Qaeda.