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Armi, contractor e la propaganda per l’Africa di Putin

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In occasione della votazione dell’Assemblea Generale dell’ONU (il 2 marzo) sulla risoluzione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, solo cinque paesi hanno votato contro, tra cui l’Eritrea; ma dei trentacinque paesi che si sono astenuti, ben diciassette sono stati africani. Tra questi anche il Sud Africa, il cui presidente Cyril Ramaphosa ha pubblicamente incolpato la NATO per il conflitto. Otto anni fa, in occasione del voto sulla risoluzione che condannava l’annessione unilaterale della Crimea da parte di Mosca, gli astenuti nel continente furono addirittura venticinque.

Fin dal tour diplomatico africano dell’allora presidente Dmitry Medvedev nel 2009, la Russia ha coltivato un rinnovato interesse per l’Africa, in linea con la volontà di Vladimir Putin di riposizionare il paese come potenza globale anziché regionale. Proposito reso definitivamente manifesto col summit russo-africano organizzato a Sochi, durante i Giochi Olimpici del 2019, a cui parteciparono oltre cinquanta paesi e quarantatré capi di stato africani. La Russia resta ancora lontana dal giocare alla pari nella regione con rivali geopolitici come Stati Uniti, Cina ed Unione Europea, ma ha saputo sfruttare abilmente i suoi punti di forza di nicchia, che gli hanno consentito di sferrare colpi oltre la sua portata in moti paesi africani e di posizionarsi come un attore chiave[1].

Gli scenari dove Mosca risulta svantaggiata nella competizione per l’Africa includono il commercio: sebbene dal 2015 il volume dell’interscambio tra la Russia e i paesi africani sia quasi raddoppiato, toccando i 20 miliardi di dollari nel 2021, resta ancora lontano dai 254 miliardi della Cina o dai 288 miliardi dell’Unione Europea[2]. Gli stanziamenti russi di aiuti umanitari e per lo sviluppo sono inoltre minimi e il soft power culturale russo è una frazione di quello cinese o americano.

Cittadini e soldati centrafricani su un mezzo blindato appena consegnato dai russi alle forze armate di Bangui. Oltre ai contractor di Mosca, il governo è spalleggiato da un corpo di spedizione ruandese. Nel paese sono presenti anche i caschi blu della missione MINUSCA, mentre la Francia ha ritirato i suoi soldati dalla ex colonia nel 2016. (©CAMILLE LAFFONT/AFP/GETTY IMAGES)

 

L’ambito di elezione per la penetrazione russa in Africa è invece quello militare e l’aspetto più visibile è la presenza sul campo di truppe ufficiali o, più spesso, ufficiose. Queste ultime sono designate dalla stampa come Gruppo Wagner, descritto come un’organizzazione paramilitare o una società militare privata in realtà un termine ombrello che descrive una rete di società di contractor – ossia mercenari, propaganda e affari facenti capo all’oligarca russo Yevgeny Prigozhin, vicinissimo a Putin. Dopo aver dato buona prova di sé in Donbass e in Siria, i soldati privati, di cui il governo russo si serve per evitare coinvolgimenti e perdite ufficiali, sono stati impegnati con contingenti da centinaia di uomini in Sudan nel 2017 e poi negli anni seguenti a sostegno delle truppe governative nelle guerre civili in Libia, Mozambico, Repubblica Centroafricana e Mali, per citare solo i principali teatri africani.

Emblematica è stata la cooptazione del governo centrafricano. Nel 2017 il presidente Faustin-Archange Touadéra, frustrato dall’incapacità dei peacekeeper della missione MINUSCA di mettere fine alla guerra civile che imperversava nel paese da ormai cinque anni, si rivolse al Cremlino. Arrivarono i soldati di Prigozhin, tra 1.200 e 2.000 uomini, di cui Touadéra ha sempre negato l’ingaggio nonostante l’evidenza. Valery Zakharov, un tempo anch’esso ufficiale delle forze speciali russe, è contestualmente divenuto il consigliere per la sicurezza del presidente. Nel 2020 è arrivato anche un contingente ufficiale di 300 addestratori dell’esercito russo, ma solo per poche settimane. I contractor, assieme alle truppe governative, si sono nel frattempo resi responsabili di gravi e frequenti violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni indiscriminate di civili.

Contractor russi assieme a soldati centrafricani. Gli uomini di Prigozhin hanno aiutato il governo a respingere un’offensiva dei ribelli della Coalition des patriotes pour le changement (CPC) lo scorso anno, dopo che elezioni contestate avevano riconfermato Touadèra al potere. (© Anadolu Agency)

 

Altro caso particolarmente significativo è quello maliano: nel paese infatti erano già presenti 2.400 effettivi francesi per dar manforte al governo nella lotta contro i ribelli jihadisti. L’arrivo al potere di una giunta militare nel 2020, dopo un colpo di stato, ha tuttavia guastato i rapporti tra il paese africano e il suo ex dominus coloniale. Parigi così lo scorso anno ha voluto, o ha dovuto a seconda delle versioni, traslocare le sue truppe altrove nel Sahel, mentre a riempire il vuoto sono arrivati almeno seicento mercenari russi, che i colonnelli di Bamako hanno tentato di derubricare ad “addestratori”.

L’altra leva russa in Africa in ambito militare è quella del commercio d’armi, che vede Mosca primeggiare decisamente sui rivali. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), tra il 2014 e il 2019 la Russia ha coperto da sola il 49% della domanda di forniture belliche da parte dei paesi africani e i cinque principali destinatari delle armi russe sono stati Algeria, che da sola ha assorbito l’80% delle esportazioni russe, Egitto, Sudan e Angola. Il numero di clienti nel continente ha inoltre continuato a crescere, raggiungendo ventuno paesi[3].

Il commercio di armamenti è stato il principale contenuto degli accordi di cooperazione militare siglati dalla Russia con gli stati africani, oltre venti a partire dal 2015, che hanno permesso a Mosca, tra le altre, di ottenere l’accesso alle basi aeree egiziane e ai porti sudanesi e di poter costruire una base navale in Eritrea[4]. Le armi russe sono ritenute affidabili ed economiche, qualità cruciale per i governi dalle scarse risorse finanziarie, e sono interoperabili con gli armamenti di produzione sovietica ancora presenti in numerosi arsenali del continente. Il Cremlino si è poi dimostrato propenso a cancellare il debito militare ai propri creditori: ad esempio, nel 2006 la Russia condonò all’Algeria 5,7 miliardi di dollari, cortesia ricambiata da Algeri quello stesso anno con un nuovo ordine di forniture belliche da 7,5 miliardi.

Mosca inoltre non vincola gli approvvigionamenti al rispetto dei diritti umani da parte degli acquirenti, politica cinicamente vincente che le ha permesso di subentrare in alcuni casi ai rivali occidentali, tanto che nel 2018 l’allora Consigliere per la sicurezza nazionale statunitense John Bolton accusò pubblicamente il Cremlino di comprare con le armi voti africani alle Nazioni Unite, con cui “mantenere al potere gli autocrati”. La Russia sembra aver anzi fatto del sostegno ai governi dittatoriali africani, specialmente quelli internazionalmente isolati, una scelta strategica consapevole anche sul piano politico, oltreché economico.

Un Mil-Mi 35 dell’aeronautica nigeriana. La Russia ha siglato diversi contratti per fornire questi elicotteri d’assalto ad Abuja, mentre gli Stati Uniti hanno invece sospeso o cancellato più volte la vendita dei loro modelli a causa delle violazioni dei diritti umani commesse dalle forze armate del paese africano.

 

L’ultimo paese in preda a una svolta autoritaria a rivolgersi a Mosca è stato a gennaio scorso il Burkina Faso, con cui la Russia coopera militarmente dal 2014, dove un golpe ha portato al potere una giunta dell’esercito. È stato solo l’ultimo di una sequenza di colpi di mano avvenuti nell’arco ristretto degli ultimi due anni che hanno riguardato Sudan, Ciad, Guinea, Guinea Bissau e il già citato Mali. Dato rilevante, la maggior parte dei militari dietro questi colpi di mano aveva ricevuto addestramento in Russia in precedenza.

A sostegno dei governi amici o alleati la Russia mette inoltre in campo il suo consolidato apparato di propaganda e disinformazione. Il sistema si muove su due livelli: il primo è quello scoperto, che si affida alla diffusione di notizie tramite media governativi russi come Russia Today o Sputnik, oggi banditi nell’Unione Europea, che forniscono news a oltre 600 siti africani[5]. Il secondo livello lavora invece nell’ombra e si affida soprattutto alla manipolazione dei social media per aizzare sentimenti antioccidentali e filorussi e diffondere notizie false a danno o vantaggio delle rispettive parti. Gli episodi rilevati spaziano dalla propaganda filo-presidenziale in Madagascar alle proteste antifrancesi in Mali, e vedono in alcuni casi all’opera la fabbrica di troll russa Internet Research Agency, finanziata sempre da Prigozhin[6].

Manifestanti filorussi in Mali. Gli uomini nella fotografia sul cartellone sono i vertici della giunta militare delle Forze Armate Maliane (FAMa) che hanno preso il potere lo scorso anno con un colpo di stato. (© REUTERS/Amadou Keita)

 

Oltre a ottenere compiacenze politiche internazionali e proiezione strategica, dalla sua politica estera africana la Russia ricava anche un tornaconto economico. Gli investimenti delle imprese russe, sebbene limitati, sono però concentrati sui settori strategici dell’energia e dell’estrazione mineraria, anche perché i giacimenti africani sono strategicamente complementari alle riserve in via di esaurimento in madrepatria[7].

Grazie alla sua influenza Mosca riesce a ottenere concessioni favorevoli per le sue imprese attive nel continente, tra cui si contano i colossi i colossi privati e parastatali Gazprom, Lukoil, Rostec e Rosatom, quest’ultima impegnata nel progetto da 60 miliardi di dollari per la realizzazione della prima centrale nucleare egiziana. In alcuni casi gli accordi sono di natura assai dubbia: la Lobaye Invest SARLU, legata a Prigozhin, si è accaparrata lo sfruttamento di miniere centrafricane d’oro e di diamanti contestualmente all’arrivo dei soldati dell’oligarca, mentre lo stesso Zakharov, nonostante il suo ruolo nel governo, avrebbe acquistato le preziose materie prime dai ribelli che controllano i giacimenti settentrionali[8].

La guerra in Ucraina mette ora alla prova la tenuta della rete tessuta dal Cremlino in Africa. L’inasprimento delle sanzioni contro la Russia da parte di Stati Uniti ed Europa potrebbe far desistere i paesi più dipendenti dagli aiuti e dal commercio con l’Occidente dal coltivare relazioni troppo strette con Mosca. Anche se, facevano notare già prima del conflitto alcuni analisti, le sanzioni potrebbero paradossalmente spingere quegli stati che importano principalmente armi russe a rafforzare il loro legame con la Russia, dato che non sarebbero in grado di investire risorse sufficienti per rifare i propri arsenali[9].

Nel frattempo, l’aumento globale del prezzo dei cereali e le restrizioni alle esportazioni dovute alla guerra tra Russia e Ucraina, che insieme producono un quarto del grano nel mondo, potrebbero avere conseguenze catastrofiche per quei paesi africani come l’Egitto che dipendono principalmente dalle importazioni per soddisfare il fabbisogno interno.

 

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Il prossimo summit russo-africano che, in teoria, dovrebbe tenersi a San Pietroburgo più avanti nel corso dell’anno, sarà la cartina di tornasole dell’evoluzione dei rapporti tra il Cremlino e il continente.

 

 

 


Note:

[1] Russia in Africa, A new arena for geopolitical competition, M. Russell e E. Pichon, European Parliamentary Research Service, novembre 2019.

[2] Dati Afreximbank (2021), Eurostat (2022), Amministrazione Generale delle Dogane della Repubblica Popolare Cinese (2022).

[3] TRENDS IN INTERNATIONAL ARMS TRANSFERS, 2019, P.D. Wezeman, A. Fleurant, A. Kuimova, D. Lopes da Silva, N. Tian and S.T. Wezeman, Stockholm International Peace Research Institute, marzo 2020.

[4] THE RUSSIAN FEDERATION’S MILITARY BASES ABROAD, A.Rogozińska e A. Ksawery Olech, Institute of New Europe, 2020.

[5] THE DISSEMINATION OF RUSSIAN-SOURCED NEWS IN AFRICA, K. Limonier, Institut de Recherche Stratégique de l’Ecole Militaire, 29 gennaio 2019.

[6] Evidence of Russia-Linked Influence Operations in Africa, S. Grossman, D. Bush e R. DiResta, Stanford Internet Observatory, 29 ottobre 2019.

[7] Russia’s Economic Engagement with Africa, Africa Economic Brief, H. Ben Barka, 11 maggio 2011.

[8] State of Prey Proxies, Predators, and Profiteers in the Central African Republic, N. Dukhan, The Sentry, ottobre 2020.

[9] Russian Arms Sales and Defense Industry, A. S. Bowen, Congressional Research Service, 14 ottobre 2021.