La controffensiva ucraina è iniziata ma le incognite sul campo di battaglia sono ancora molte. Il Cremlino e il Ministero della Difesa russo parlano di perdite altissime di uomini e mezzi tra le file dell’esercito di Kiev. Gli ucraini derubricano le affermazioni della controparte a mera propaganda e lasciano intendere che siamo ancora in una fase preliminare della manovra d’attacco.
Intanto dalla Verkhovna Rada (il Parlamento ucraino) hanno imposto il silenzio. Funzionari locali e nazionali, militari, forze di polizia, a tutti è stato detto di non parlare della controffensiva. Soprattutto con i giornalisti, in quanto «si rischia di nuocere alle azioni dei nostri uomini al fronte», come ha dichiarato a inizio giugno il consigliere del presidente Zelensky, Andryi Yermak. Poco dopo gli aveva fatto eco il capo, di fronte ai leader riuniti in Moldavia, «quando inizierà, ve ne accorgerete». Difatti era quasi impossibile estorcere dettagli nei pressi delle aree di frontiera tra i territori controllati da Kiev e quelli occupati, ma con il passare dei giorni i movimenti nei pressi dei nuovi fronti sono diventati troppo evidenti.
Il primo a rompere gli indugi è stato, a sorpresa, il Presidente russo Vladimir Putin. «Possiamo dire con certezza che la controffensiva ucraina è iniziata» ha dichiarato all’agenzia russa Ria Novosti il 9 giugno il capo del Cremlino. «Eppure» aveva aggiunto, «tutti i tentativi di controffensiva (effettuati finora dalle forze di Kiev, ndr) sono falliti e hanno causato perdite impressionanti di uomini» alla controparte. Anche l’ultima frase del rapido aggiornamento concesso da Putin è degna di nota: «ma il potenziale offensivo delle truppe del regime di Kiev rimane». Quindi, dobbiamo dedurre che a Mosca non considerano più l’esercito ucraino tanto debole. Certo, interrogato su quest’aspetto qualsiasi politico russo risponderebbe che dipende dalle armi della NATO fornite in quantità massiccia all’Ucraina negli ultimi 16 mesi. Molti alti funzionari vicini a Putin, l’ex Presidente Medvedev in testa, continuano infatti a ripetere che «se le forniture di armi occidentali cessassero, la guerra in Ucraina si concluderebbe molto presto». Il che potrebbe essere considerato vero solo dal punto di vista dell’apparato industriale bellico: Kiev non dispone di fabbriche in grado di far fronte a un conflitto su larga scala come quello in atto. Ma pensare che l’esercito ucraino possa arrendersi è, almeno al momento, una velleità dell’aggressore. Ne è la prova il fatto che stiamo parlando di controffensiva, non di ritirata.
A tale proposito, gli analisti militari si interrogano da mesi su quali siano gli obiettivi reali dello Stato maggiore ucraino. Nonostante tutti concordino sul fatto che non ci troviamo ancora di fronte al culmine della manovra, per ora si indicano quattro direttrici d’avanzamento, forse anche cinque, tutte concentrate tra l’est e il sud del Paese. A metà giugno i funzionari di Kiev hanno annunciato la riconquista di sette villaggi nel Donetsk e una nuova avanzata nei pressi di Bakhmut. Su quest’ultima c’è molto scetticismo, perché se è vero che tagliare ogni possibilità di ulteriore avanzamento ai russi nel Donetsk è importante, che prezzo è disposto a pagare il Comando supremo di Kiev in termini di vite umane? D’altronde Bakhmut non è la linea d’offensiva principale ed è per questo che è importante tentare di delineare un quadro il più possibile esaustivo dei possibili sviluppi sul campo nelle prossime settimane.
Il cosiddetto «fronte sud» abbraccia una porzione di territorio vastissima e si è delineato a partire dalla primavera scorsa, dopo la caduta di Mariupol, subendo una modifica importante dopo la riconquista di Kherson ovest, lo scorso novembre. Da quel momento abbiamo una linea quasi dritta che corre dalle sponde del Dnipro nella parte est dell’oblast di Kherson e arriva fino al Mar d’Azov, alla regione russa di Rostov sul Don. A metà circa di questo territorio occupato si trova Melitopol, secondo molti analisti l’obiettivo principale dell’attuale controffensiva ucraina. Riconquistarla significherebbe riuscire a spezzare in due il controllo russo sulla costa orientale del Mar Nero e isolare Kherson est, da cui partono bombardamenti costanti verso i territori controllati dalle truppe di Kiev. Inoltre, taglierebbe fuori la Crimea dai rifornimenti che attualmente arrivano via terra a causa del danneggiamento del ponte di Kerch.
Un obiettivo ambizioso, in un’area dove le truppe russe hanno passato gli ultimi mesi a costruire trincee e linee di difesa fortificate con denti di drago e campi minati. La maggior parte degli analisti sono concordi nel giudicare queste linee di difesa ben fornite e difficili da penetrare. Tuttavia c’è chi ritiene, come l’ex capo delle truppe statunitensi in Europa Ben Hodges, che vi sia troppa poca profondità tra la prima linea e le retrovie. La vicinanza del Mar Nero, in buona sostanza, potrebbe impedire alle truppe russe di riorganizzarsi efficacemente qualora la controparte dovesse riuscire a sfondare. Appunto, se dovesse riuscirci: non è scontato, si tratta sicuramente del compito più arduo che i militari di Kiev sono chiamati a portare a termine dall’inizio della guerra. Attaccare è più difficile che difendere e necessita di reparti più preparati, di più armi, di un’organizzazione molto complessa.
Ma quando Putin parla di «potenziale offensivo» non si riferisce solo al valore dimostrato finora dalle truppe ucraine. Il messaggio evoca le sei divisioni, tra i 60 e i 70 mila soldati ucraini, addestrati nei Paesi NATO negli ultimi mesi. Decine di migliaia di uomini che da tempo conoscono solo un obiettivo: riconquistare territori. E per quello si sono addestrate a tutti i livelli: tattica, strategia, uso degli armamenti, logistica, informatica e riparazione dei mezzi, intelligence. Dove sono concentrati, ufficialmente, non lo sappiamo. Possiamo supporre che si trovino in parte nella regione di Zaporizhzhia dove sono in corso scontri a sud dell’omonima capitale regionale, tra Orikhiv e Guliaipole.
Stando ad alcune ricostruzioni (russe) gli ucraini in quest’area sarebbero riusciti a riconquistare qualche chilometro di terreno, senza tuttavia aver acquisito nuove posizioni strategiche significative. Alcuni militari ucraini hanno pubblicato dei video sui social network con le facce stravolte e le occhiaie di chi non dorme da almeno due giorni con l’invito a «non parlare di ciò che non si capisce dal proprio divano». «Quando succederà, lo vedrete» aggiungono anche loro. Il dato significativo è che anche questi piccoli messaggi vogliono dire che qualcosa sta succedendo. Dopo l’attentato del 6 giugno alla diga di Nova Kakhovka, sul fiume Dnipro, sembrava che gli ucraini dovessero modificare i propri piani. Tentare di passare sulla sponda orientale del fiume non sarebbe stato più possibile; ora invece c’è chi ritiene che con il fiume in ritirata a monte della diga, un attraversamento in quei punti potrebbe addirittura essere più semplice; al netto delle difese russe in attesa nei pressi della riva orientale.
Più a est, c’è Mariupol. A metà giugno gli ucraini hanno accusato i russi di aver fatto saltare un’altra diga, sul fiume Mokri Yala (ma potrebbe essersi trattato anche dell’apertura di una chiusa). Secondo i funzionari di Kiev le truppe di Mosca l’avrebbero fatto per rallentare l’avanzata ucraina, ma senza successo. Anzi, alcuni uomini vicini al presidente Zelensky hanno lasciato intendere che il porto del Mar d’Azov è uno degli obiettivi. Ma finora su quest’asse è successo ben poco. Si vedono gli ucraini continuare ad attaccare al confine con l’oblast di Zaporizhzhia, nel tentativo di fare breccia da nord-ovest e, forse, ricongiungersi con le truppe del Donbass, ma è presto per dirlo.
Nell’est, invece, ci sarebbero stati i risultati più concreti. «In direzione di Bakhmut, le nostre truppe continuano le loro operazioni d’assalto» ha scritto su Telegram la viceministra della Difesa Hanna Malyar nelle scorse settimane. Quotidianamente si leggono report che indicano la quantità di terreno riconquistato dai soldati ucraini, soprattutto sui fianchi di Bakhmut, nel tentativo evidente di chiudere la città e lasciare i soldati russi senza rifornimenti in modo da costringerli alla ritirata. La cittadina ha un valore simbolico, questo è certo, ma forse lo Stato maggiore ucraino in questo momento ha bisogno più di concretezza che di simbolismo. Nelle vicinanze dovrebbero essere stati liberati i villaggi di Makarovka, Nekuchne e Blagodatnoye. Paesini di campagna, nulla di significativo dal punto di vista tattico, ma gli annunci servono anche a far capire all’estero che la grande manovra è partita.
Perché, in fondo, l’Occidente si attende che Kiev riesca a ottenere dei risultati. Le forniture di armi senza precedenti nei mesi scorsi, le dichiarazioni di supporto «fino alla fine e ad ogni costo» vanno tutte in questa direzione. I governanti dei Paesi NATO hanno bisogno di dimostrare alle rispettive opinioni pubbliche che l’Ucraina è in grado di vincere, che i miliardi spesi per le forniture militari e per i rincari dell’energia e del grano sono un sacrificio duro ma fruttuoso. E se l’Ucraina non dovesse ottenere alcun risultato degno di nota? A tale domanda, almeno ufficialmente, nessuno vuole rispondere al momento. Si continua a dire che non importa, che la NATO è con Kiev fino alla vittoria. Ma sappiamo che non è così, e anche Zelensky e lo Stato maggiore ucraino lo sanno. Per questi ultimi è diventato fondamentale dimostrare che la fine della guerra può avvenire anche sul campo di battaglia o, perlomeno, che prima di sedersi a un eventuale tavolo negoziale ci sia spazio per un riassestamento che tolga al Cremlino la possibilità di dettare condizioni.
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Anche in virtù di queste ultime considerazioni, le notizie diffuse recentemente dalla CNN rispetto alle perdite di mezzi occidentali nei reparti dell’esercito ucraino sono state accolte con preoccupazione. Secondo l’emittente americana, infatti, le forze di Kiev avrebbe perso almeno 16 veicoli corazzati di trasporto truppe Bradley dall’inizio delle manovre. Circa il 15% della disponibilità totale delle forze di Zelensky, rivelano alcune fonti, calcolando in 106 il totale di questi mezzi forniti dagli USA. Secondo il presidente russo Putin, inoltre, le perdite attuali della controparte nei primi giorni di attacchi sarebbero «pressoché catastrofiche» e ammonterebbero a 160 carri armati e 360 veicoli blindati. Le notizie non sono verificabili in maniera indipendente: quindi i numeri forniti dal Cremlino vanno recepiti con cautela.
È un fatto che il prezzo di un’offensiva è sicuramente molto alto. Nel caso dei mezzi corazzati Bradley, ad esempio, il Pentagono aveva parlato di un «veicolo che avrà un ruolo di primo piano nell’offensiva primaverile» poiché tale blindato permette di trasportare fino a 10 uomini al fronte e offre una copertura di fuoco importante, anche contro i carri armati. Un mezzo agile e capiente ma in grado di difendere effettivamente un gruppo tattico o una squadra e di trasportarle sulla linea dei combattimenti. Avere grande disponibilità di Bradley significa poter compiere incursioni rapide, magari con le truppe addestrate proprio dai Paesi Nato negli ultimi mesi. Perderne quasi 1 su 6 in nemmeno due settimane di controffensiva potrebbe essere un problema, malgrado il nuovo annuncio di Washington di ulteriori 325 milioni di dollari di aiuti militari. Inoltre, dopo l’annuncio della Gran Bretagna di aprile, anche Washington ha vagheggiato la possibilità di fornire proiettili all’uranio impoverito agli artiglieri ucraini. Il che ha, ovviamente, causato reazioni durissime di Mosca che ha accusato la NATO di «comportamento irresponsabile e crimini di guerra». Ironia della sorte, da qualche mese le accuse non sono soltanto incociate, ma tra le capovolte della propaganda a volte finiscono per essere identiche.
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In ultima analisi, è ancora presto per esprimere un giudizio sulla controffensiva ucraina, ma sappiamo già che questa avrà un effetto decisivo sullo sviluppo del conflitto. Gli alleati occidentali di Kiev probabilmente baseranno la propria strategia di supporto basandosi sui risultati sul campo dei militari ucraini nei prossimi mesi. Il Comando russo, invece, mirerà a tenere il più saldamente possibile i territori occupati in modo da poterli reclamare se la guerra dovesse congelarsi dopo l’estate o, anche se al momento appare improbabile, da tentare nuove avanzate in autunno. Tutto ciò mentre le città ucraine continuano a essere bombardate quasi ogni giorno e i civili nelle retrovie continuano a morire.