Un nuovo cortile di casa per la Cina: il Laos

Per capire davvero cos’è e come è già in essere il progetto cinese delle Nuove Vie della Seta (BRI) non bisogna andare a Pechino o nella Shanghai Free-Trade Zone. Bisogna andare a Boten – una minuscola cittadina del Laos al confine con lo Yunnan che è stata in passato una Special Economic Zone.

Era il 2002 e il borgo contadino, diventato zona speciale su pressione cinese, divenne un ricettacolo di giocatori d’azzardo, prostitute, faccendieri e spacciatori per lo più cinesi che ne avevano fatto la capitale del gioco al di là del confine. Vietato sia in Laos sia in Cina, l’azzardo era diventato la meta di migliaia di cinesi e, con loro, di tutto lo spiacevole corollario. In seguito sia Vientiane sia Pechino avrebbero chiuso l’esperimento diventato imbarazzante per entrambi i governi e abbandonato la città dal 2011, lasciandola al degrado sotto l’acqua e il sole di quelle latitudini.

Nel 2013 però le autorità laotiane intervengono di nuovo, e fanno di Boten una Specific Economic Zone. L’area si restringe e ne viene ridisegnato il destino che comincia a confondersi con il progetto BRI, annunciato come piano organico per i collegamenti terrestri e marittimi mondiali proprio nell’autunno di quell’anno da Xi Jinping.

La trasformazione di Boten in un nuovo hub del commercio cinese richiede tempo. Ma nel 2019 è già una realtà che lascia a bocca aperta. Quando la visitiamo, circondata da un Laos ancora fortemente povero e rurale, Boten è una promessa di modernità, sviluppo, ricchezza: grattacieli in costruzione, duty free con prezzi in yuan, alberghi di lusso accanto a una frontiera che non dorme mai: i caselli di un’autostrada che sta per arrivare sono ancora incellofanati ma pronti per essere aperti. E, soprattutto, c’è una grande area per una stazione ferroviaria che anticipa la promessa di una linea rapida (160 km orari per i treni  passeggeri e 120 per i merci) che correrà sino alla capitale Vientiane e che consentirà di coprire in 4 ore una distanza che su gomma ne richiede almeno tre volte tante.

La linea ferroviaria rapida in costruzione tra il confine cinese e Vientiane attraversa una regione boscosa e accidentata

 

A Boten la potenza infrastrutturale della Cina è già una realtà che prosegue con centinaia di piloni di cemento armato, decine di tunnel, oltre 150 ponti previsti. Gli sbancamenti per le aree di parcheggio dei mezzi pesanti disegnano a macchia di leopardo il nuovo volto delle campagne laotiane e annunciano l’arrivo del cavallo d’acciaio che collegherà Pechino, attraverso la città di Kunming nello Yunnan, a Singapore. E’ solo una parte del corridoio economico Nanning-Singapore (o China-Indochina Peninsula Economic Corridor – CICPEC) che è uno dei sei grandi corridoi previsti dalla BRI in cooperazione coi Paesi dell’Asean. L’idea è collegare la regione sud-occidentale relativamente sottosviluppata della Cina (Kunming nello Yunnan e Nanning nello Guangxi) a tutta una serie di Paesi (compresi Vietnam, Cambogia e Myanmar) con al centro la ferrovia che correrà dal cuore della Repubblica Popolare sino a Singapore via Bangkok e Kuala Lumpur. In totale un’operazione che coprirà quasi 4mila chilometri e che richiede svariati miliardi. In Laos il costo previsto è di circa sei miliardi di dollari per 427 km, frutto di una joint venture Cina-Laos con un contratto assegnato al China Railway Group. La costruzione è iniziata nel 2016. Il completamento è previsto nel 2021.

“Il progetto ferroviario – scrive il sito di analisi canadese Geopoliticalmonitor – è un affare molto grande per un’economia piccola e sottosviluppata come il Laos. Il governo laotiano è impegnato per il 30% del costo”, ma sarebbe il 40% secondo la Nikkei Asian Review. Gran parte del denaro proviene da prestiti della Export-Import Bank of China e da altre banche cinesi. Il Laos è già fortemente indebitato con un debito pubblico di circa il 70% del PIL che si accompagna a un forte deficit di bilancio. La linea ferroviaria è la più grande opera infrastrutturale mai intrapresa dal Laos, e il suo costo totale è pari a oltre un terzo dei PIL del Paese.

A Vientiane hanno deciso di lanciarsi in quest’opera anche perché le dorsali a Ovest e a Est del tratto centrale per Singapore consentiranno a un Paese senza il mare di arrivare al Myanmar ma, soprattutto, alla città portuale di Danang in Vietnam. La cosa non è priva di rischi: non solo la cosiddetta debt trap, la trappola del debito da molti temuta (la Malaysia ha già messo in questione alcuni accordi BRI e la Thailandia sta ritardando i lavori) ma perché le ricadute a breve sono incerte. E’ già una realtà, comune ai progetti cinesi, l’impiego di manodopera locale solo nei ranghi più bassi: scelta giustificata da Pechino, che esporta i suoi operai specializzati e ingegneri, col fatto che il Laos non ha quadri preparati.

“Progetti di investimento in infrastrutture di trasporto, una zona economica di confine, dighe per energia idroelettrica, scuole e ospedali militari indicano un’ampliamento dei legami (del Laos) con cinesi”, scrive la rivista specializzata The Diplomat chiedendosi cosa i laotiani potranno guadagnare dal profitto sicuro che trarranno i cinesi dall’energia idroelettrica prodotta sul Mekong e dallo sfruttamento di  miniere e piantagioni di gomma. Intanto il debito sale. Per l’ampliamento della centrale idroelettrica di Nam Ou ad esempio – il più lungo tra gli affluenti di sinistra del Mekong nel Paese – o per rinnovare tratti stradali nel Nord del Laos per i quali c’è in ballo un prestito approvato per 40 milioni di dollari con la Asian Investment Infrastructure Bank (AIIB) di Pechino. “Nel complesso – scrive ancora The Diplomat – la Cina è il più grande investitore estero e fornitore di aiuti del Laos, e il suo secondo partner commerciale. In un Paese dove l’agricoltura di sussistenza è una parte considerevole dell’economia, l’impegno della Cina potrebbe portare opportunità di trasformazione. Ma a quale costo?” La domanda è legittima.

I laotiani però ci credono: del resto la Thailandia rimane il maggior partner commerciale del Paese e sono forti i legami politici con Hanoi che risalgono alla Guerra del Vietnam quando il Pathet Lao, il movimento comunista che poi prese il potere, garantiva il famoso “Sentiero di Ho Chi Minh” che riforniva le retrovie nel Vietnam del Sud passando per Laos e Cambogia. Il Vietnam, che ha rapporti pragmatici con i cinesi ma che non si è dimenticato i continui conflitti con Pechino, sta gestendo con attenzione i suoi rapporti col grande parente del Nord e non è difficile credere che abbia messo in guardia anche Vientiane.

Nel contempo la ferrovia e gli investimenti sono una promessa di sviluppo e prosperità per uno dei Paesi più poveri ed emarginati di tutto il Sudest asiatico. Il solo effetto sul comparto turistico, in cui i laotiani stanno investendo parecchio, sarà inevitabilmente forte perché sul tragitto per Vientiane una fermata prevista è a Luang Prabang, antica capitale e gioiello tutelato dall’Unesco. Oggi nella sola Thailandia, i turisti cinesi sono più di dieci milioni l’anno, quasi un terzo del totale di chi visita il regno del Siam. Molti ci vanno in aereo. A breve potranno andarci in treno e fare qualche tappa anche in Laos.

 

Il progetto del corridoio ferroviario che collegherà Pechino e la costa cinese con Singapore attraverso Laos, Thailandia e Malesia

 

 

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