A meno di una settimana dall’aggressione all’Ucraina condotta dalla Russia di Vladimir Putin con la collaborazione della Bielorussia, è avvenuto il primo tentativo delle due parti per cominciare dei colloqui che ci auguriamo possano portare alla cessazione delle ostilità. In questo breve lasso di tempo, la situazione sia nei luoghi di guerra che nell’arena internazionale ha visto delle evoluzioni davvero inattese e imprevedibili. Le ricapitoliamo qui per inquadrare al meglio il contesto di questo inizio di trattative.
La situazione sul terreno
Le operazioni militari non stanno andando come desiderava il Cremlino. I soldati russi non sono riusciti a entrare a Kiev, né a tenere Kharkiv – la seconda città del Paese, proprio al confine con la Russia. L’invito di Putin all’esercito ucraino di rovesciare il “nazista drogato” Volodymyr Zelensky è caduto nel vuoto: Zelensky è ancora al suo posto, e il collasso istantaneo dell’Ucraina non c’è stato. Nonostante l’attacco di sorpresa, gli aggressori non sono riusciti ad annientare la capacità aerea dell’esercito ucraino, ancora attiva. Molte unità russe si sono perse, hanno finito i rifornimenti, e sono state attaccate e respinte dalla reazione dell’esercito ucraino, tutt’altro che trascurabile. Negli ultimi due giorni l’offensiva russa ha rallentato, per riorganizzarsi e attendere nuovi uomini e mezzi, e gli ucraini ne hanno approfittato per riprendere due città che erano state occupate dai russi: Kharkiv e Kherson (sulla strada tra la Crimea e Odessa).
Questo quadro non significa naturalmente che l’Ucraina stia “vincendo”. Non bisogna cadere in facili mitizzazioni della situazione sul campo. L’esercito russo mantiene tutta la sua grande superiorità qualitativa e quantitativa. Inoltre, tradizionalmente, i russi tendono a mandare per prime le truppe peggio organizzate, per poi far subentrare contingenti più efficienti, che stanno arrivando.
Leggi anche: Il senso di Putin per una crisi provocata ad arte
E la Russia non ha dispiegato tutto il suo potenziale di attacco: potrebbe lanciare i suoi carri armati contro Kiev, ad esempio, o bombardare a tappeto coi missili le città ucraine, come ha fatto a Grozny in Cecenia nel 1999, mirando sui mercati e gli ospedali per convincere gli ucraini ad arrendersi subito. Se non l’ha fatto, è forse perché la cosa non quadrerebbe molto con l’aura di protettore dell’Ucraina e dei russi che la abitano di cui si è voluto ammantare Vladimir Putin. Certo, il tempo non gioca in favore della Russia: una capitolazione istantanea dell’Ucraina sarebbe stata ideale, per il Cremlino.
La tenuta dell’Ucraina e di Zelensky
Tra i punti fermi che le eventuali trattative non potranno trascurare c’è poi la resistenza dello stato ucraino. Se qualcuno pensava che l’invasione russa avrebbe tolto il terreno sotto i piedi dal presidente Zelensky, ha evidentemente fatto male i suoi calcoli. L’esercito ucraino – almeno in questi primi cinque giorni – ha reagito. Gli ucraini, che nelle settimane precedenti non sembravano così contenti del loro presidente, si sono stretti a lui nel nome della resistenza all’invasore. Anche i membri dell’opposizione si sono mostrati per le strade armati, e hanno espresso l’esigenza di dimenticare ogni divisione politica di fronte alla minaccia suprema. Perfino l’ex presidente Petro Poroshenko si è fatto vedere nelle strade di Kiev, circondato da un gruppo di trecento uomini armati di kalashnikov, dicendosi deciso a contribuire alla resistenza. Si sono moltiplicati i video di cittadini pronti ad armarsi, e a raggiungere i corpi di volontari in sostegno all’esercito – intenzione espressa dallo stesso sindaco di Kiev.
Leggi anche: Come l’Ucraina arriva alla guerra
E se il fronte interno tiene, molto si deve anche al comportamento del presidente Zelensky, che seppur sotto attacco e cosciente di essere l’obbiettivo numero uno di Vladimir Putin, si è mostrato fermo al suo posto, determinato a restare nella capitale, capace di rivolgersi ai suoi cittadini da pari a pari, ispirando fiducia e sicurezza. Molti avrebbero scommesso il contrario: Zelensky fino al 2019 era un attore comico. Di origine ebraica, irriverente, istrionico, fuori dalle logiche del potere, inesperto, irrituale, giovanile. Un anti-Putin incarnato. Come in una tragedia greca, oggi i due opposti si trovano uno contro l’altro.
Ed è Zelensky che finora sta vincendo la fondamentale battaglia mediatica del conflitto: attivissimo sui social media, ha pubblicato video girati di fronte ai palazzi del governo di Kiev, per smentire le dicerie sulla sua fuga e per incoraggiare e invitare alla resistenza gli ucraini. Ha postato sui social media i resoconti di tutte le sue chiamate ai leader europei e occidentali, nei quali chiedeva sostegno all’Ucraina: molto condivisi, sono stati importantissimi per spingere l’opinione pubblica di Europa e Stati Uniti chiaramente dalla parte dell’Ucraina. Di fronte a lui Vladimir Putin: glaciale, enigmatico, spaventoso, immobile, chiuso nelle stanze del Cremlino, incapace di articolare una narrazione che andasse oltre la “de-nazificazione” dell’Ucraina, fino ad arrivare a chiedere il golpe e ad agitare la minaccia atomica contro il Paese “fratello”.
La reazione dell’Occidente e dell’opinione pubblica
Questa evoluzione ha di certo contribuito all’inattesa reazione europea all’aggressione della Russia. Se il 24 febbraio, giorno dell’invasione, gli europei ancora discutevano su quali beni di lusso sanzionare, dopo soli cinque giorni gli Stati della UE hanno trovato l’accordo sull’acquisto e invio di armi all’Ucraina per un ammontare di 450 milioni di euro; arriveranno passando per la Polonia. Una novità assoluta per l’Unione Europea, che si va ad aggiungere all’accordo trovato in tutta fretta sull’esclusione parziale della finanza russa dal sistema di pagamenti internazionale SWIFT, e alla decisione di accogliere tutti i rifugiati dall’Ucraina, senza limite, sul territorio dell’UE. Tre passi di grande portata e significato verso l’unità politica del continente, mossi grazie a Vladimir Putin – e questo risultato rimarrà, a prescindere da come si concluderà il conflitto nel breve periodo.
A spingere gli stati europei c’è stata anche la vasta reazione delle opinioni pubbliche, dimostrata non solo sulle reti sociali ma anche in enormi manifestazioni di piazza, come quella che ha visto mezzo milione di persone nel Tiergarten di Berlino. Prima ancora dell’UE, i singoli stati hanno deciso, uno dopo l’altro, di spedire aiuti militari, logistici e sanitari all’Ucraina – e a non impedire che l’Unione facesse altrettanto. Tra questi spicca proprio la Germania, che in un batter di ciglia ha abbandonato la sua decennale politica del non-sostegno armato a stati in guerra per spedire 1000 armi anti-carro e 500 missili terra-aria a Kiev, e raddoppiare le sue spese militari. Perfino alcune multinazionali, come l’inglese British Petroleum, stanno togliendo i loro capitali dalle aziende russe.
Senza dimenticare che una sorprendente reazione contro l’attacco all’Ucraina c’è stata anche in Russia. In pochi giorni sono almeno seimila le persone arrestate per aver manifestato contro la guerra nelle città russe. Hanno preso posizione contro la guerra alcuni personaggi della vita pubblica, come Oxxxymoron, il rapper più popolare del Paese: per protesta ha cancellato sei concerti. E Ian Nepomniachtchi, lo scacchista in testa al ranking nazionale, che ha scritto contro il “giovedì nero” della Russia. Nel frattempo, una lista lunghissima di eventi internazionali sportivi, culturali e di spettacolo che coinvolgevano squadre o personalità russe, o che dovevano tenersi in Russia – dalla finale di Champions League alle Olimpiadi di scacchi alle tournée estive del Bolshoi a Londra – è stata cancellata.
E’ questo il quadro della situazione al momento in cui le delegazioni procedono a incontrarsi. Quella ucraina è guidata dal ministro della Difesa Oleksii Reznikov. Quella russa, da Vladimir Medinski, ex ministro della Cultura e consigliere del Cremlino. I negoziatori partono da posizioni molto distanti: la smilitarizzazione e le dimissioni del presidente e del governo da parte russa, più il riconoscimento dell’annessione della Crimea. Il ritiro e la garanzia di autodeterminazione da parte ucraina.