Stati e numeri nella corsa alla presidenza: le speranze e i limiti di Mitt Romney

La nomination di Mitt Romney a candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti è ormai sicura. I sondaggi nazionali annunciano una sfida molto incerta con Barack Obama, e vi sono dei segnali che sembrerebbero corroborare le sue chances di vittoria alle elezioni di novembre.

Il primo dato è relativo al tasso di approvazione del presidente uscente. L’operato di Obama è giudicato positivo soltanto dal 48% degli americani e la tendenza degli ultimi giorni appare perfino in ulteriore calo. Dal 1937, cioè da quando l’istituto Gallup effettua questo tipo di rilevazioni, nessun presidente eccetto Truman è mai riuscito a farsi rieleggere con un job approval rating che all’inizio di aprile fosse inferiore al 50%. Il dato di Obama è simile a quello di Ford del 1976, al 48%. Il precedente di Harry Truman, che conquistò un secondo mandato risalendo da una popolarità del 36% a sette mesi dalle elezioni, viene considerato da molti analisti come un autentico outlier, tant’è che molti modelli predittivi dei risultati elettorali fanno cominciare le loro analisi dalla prima elezione di Eisenhower, proprio per non imbattersi nell’inatteso risultato del voto del 1948.

Un secondo dato potenzialmente allarmante per il presidente uscente è quello relativo alla polarizzazione ideologica che la sua azione governativa suscita nell’elettorato. Il suo terzo anno alla Casa Bianca è stato infatti valutato positivamente dall’80% dei Democratici e dal 12% dei Repubblicani. Si tratta di una tendenza emersa fin dal primo anno di presidenza: nel 2009, il tasso di approvazione era dell’88% tra i Democratici e del 23% tra i Repubblicani, mentre l’anno successivo si attestava sull’81% in casa democratica e sul 13% in casa repubblicana. L’attuale gap di sessantotto punti garantisce al terzo anno di amministrazione Obama il quarto posto nella graduatoria degli anni più “polarizzati” dai tempi di Eisenhower. Solo il quarto, il quinto e il sesto anno di amministrazione di George W. Bush sono stati caratterizzati da una superiore polarizzazione politica. Non è detto che questa polarizzazione sia necessariamente un segnale negativo per le speranze di rielezione del presidente uscente. Mettendo in relazione il primo mandato di Obama e il secondo mandato di George W. Bush, si potrebbe anche dedurre che ci si trovi di fronte a una certa continuità, in cui la polarizzazione è ormai caratteristica tipica della politica americana contemporanea, confermata anche dalla crescente polarizzazione del Congresso e dalla progressiva riduzione del numero di parlamentari moderati in entrambi gli schieramenti. Ma ripensando agli slogan della campagna 2008, in cui Obama si proponeva di “bring America together”, è evidente come il presidente uscente possa esporsi a specifici attacchi dell’avversario e si troverà certamente costretto a ricalibrare il suo messaggio elettorale.

Un terzo dato sul quale riflettere è relativo alla valenza effettiva delle rilevazioni che danno Obama e Romney alla pari nel computo nazionale dei consensi. In un sistema d’elezione indiretto fondato sul Collegio Elettorale, il dato sul testa-a-testa nazionale ha infatti scarsa efficacia predittiva. Occorre quindi entrare nello specifico della situazione stato per stato. Dei 538 Grandi Elettori che compongono il Collegio Elettorale, 233 vengono considerati saldamente democratici, 181 repubblicani mentre sono 124 quelli contendibili, in rappresentanza dei nove battleground states, cioè dei nove stati in cui si deciderà l’elezione 2012 e su cui si concentreranno gran parte delle spese e delle iniziative delle campagne elettorali dei candidati. Si tratta di Colorado, Florida, Iowa, Missouri, New Hampshire, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, Virginia. Un primo segnale favorevole ai Repubblicani è che dal gruppo degli “stati in bilico” si è già sfilato l’Indiana, che vale 11 Grandi Elettori e che nel 2008 vide prevalere Obama per circa 30.000 voti su McCain. Si tratta di uno stato che non votava democratico dal 1964 e che ora i sondaggi assegnano a Romney con uno scarto medio di otto-nove punti sull’avversario. Va infatti tenuto conto che quattro anni fa Barack Obama riuscì a imporsi in una serie di stati tradizionalmente conservatori, per lui difficili da riconfermare in questa tornata elettorale. Il North Carolina (15 Grandi Elettori), per esempio, venne conquistato nel 2008 con un margine dello 0,3%, ma era uno stato che non votava democratico dal 1976. Il Missouri (10) ha votato repubblicano in tutte le ultime tre presidenziali e i dati delle elezioni locali e congressuali danno l’idea di uno stato che sta gradualmente spostandosi sempre più a destra. Lo stesso Ohio (18) scelse George W. Bush nel 2000 e nel 2004. E anche qui le prime rilevazioni demoscopiche sembrerebbero sorridere ai Repubblicani. È probabile quindi che tutti questi stati appena elencati siano appannaggio di Romney, che perciò salirebbe a 224 Grandi Elettori.

Le buone notizie per Romney potrebbero però essere finite qui. In Colorado (9) e Iowa (6) i sondaggi assegnano a Obama un vantaggio stabilmente sopra i quattro punti. Il New Hampshire (4), pur essendo più conservatore sui temi fiscali rispetto agli altri stati del New England, è decisamente liberal su argomenti come i diritti degli omosessuali e l’aborto ed è quindi prevedibile che confermi la fiducia a Obama, anche in virtù dell’efficace attività legislativa democratica su queste issues sociali. Un caso particolare è rappresentato dalla Virginia (13), che sta subendo rilevanti cambiamenti demografici. Si tratta di uno stato che prima del 2008 non votava per un candidato democratico dal 1964. Da alcuni anni, però, per ragioni economiche e lavorative, un buon numero di residenti di Washington D.C. (città più democratica dell’Unione) si sta spostando a vivere nei quartieri a nord della Virginia, che di fatto si stanno trasformando in sobborghi della capitale. La Virginia sta quindi diventando uno stato sempre più democratico e anche qui è quindi probabile attendersi una conferma di Obama. Rimangono infine i due grandi swing states: la Pennsylvania (20) e la Florida (29). Per conquistare la presidenza, Romney dovrà vincerli entrambi, e non sarà facile: dal 1992 la Pennsylvania ha sempre votato per candidati democratici e quattro anni fa premiò Obama con un margine del 10%. In Florida la situazione appare più incerta, i sondaggi assegnano più chances ai Repubblicani ed è prevedibile un testa a testa fino all’ultimo.

Le speranze di Romney, alimentate dai sondaggi nazionali, dal basso tasso di approvazione presidenziale e dalla polarizzazione politica indotta nell’elettorato dalla figura di Obama, sembrerebbero quindi scontrarsi con la realtà numerica dei singoli stati e con gli obbligatori conteggi che il meccanismo del Collegio Elettorale impone.

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