Risorse, sanzioni, influenza: le incognite russe in Africa

In questi ultimi due anni, in cui la Federazione Russa ha tentato l’annessione di varie parti del territorio ucraino mediante una guerra su larga scala, l’Unione Europea ha attivato numerose misure per indebolire Mosca: tra queste, l’invio di armi e munizioni all’Ucraina e l’applicazione di provvedimenti per l’isolamento economico della Russia. Ad oggi, il Consiglio Europeo, in accordo con la Commissione, ha approvato 14 pacchetti di sanzioni, l’ultimo a giugno 2024, che includono misure economiche, diplomatiche e individuali, volte a impedire qualsiasi sostegno alla macchina politico-economico-militare del regime russo.

Particolare di una mappa politica dell’Africa in russo.

 

La Russia e il continente africano nell’attuale scenario globale

Le sanzioni di carattere economico sono le più discusse tra i politici e i media dei Paesi europei (e dei loro alleati), poiché le loro ripercussioni si estendono oltre i confini russi, ostacolando i rapporti commerciali anche con Paesi terzi non membri dell’UE. Questo tipo di sanzioni mira a colpire soprattutto il mercato russo delle materie prime e dell’energia, poiché il greggio e il gas sono le principali fonti di entrata per Mosca. Dal 5 dicembre 2022, l’acquisto, l’importazione o il trasferimento di petrolio greggio e dei prodotti petroliferi trasportati via mare dalla Russia ai Paesi dell’UE è vietato. L’unica eccezione riguarda le importazioni di petrolio fornito mediante oleodotto, data la mancanza di alternative per alcuni Paesi. Nel complesso, il divieto riguarda il 90% delle attuali importazioni europee di petrolio dalla Russia e colpisce un quarto di tutte le esportazioni russe di carbone a livello mondiale.

Conseguentemente, le esportazioni russe di gas verso i Paesi dell’UE sono calate del 30% mentre quelle del petrolio sono diminuite di circa il 60% rispetto ai valori del 2022. La Russia ha quindi dirottato la maggior parte delle sue esportazioni verso l’Asia e l’Africa, rinnovando il suo mercato e cercando nuovi alleati contro la NATO, definita, nel documento della “Dottrina della politica estera russa” del 2023, la principale ragione di deterioramento delle relazioni russo-occidentali. Lo scorso anno, le esportazioni di idrocarburi russi verso l’Asia sono aumentate del 56%, e del 144% verso l’Africa, rispetto all’anno precedente. Nello specifico, nel continente africano, il greggio russo a basso costo ha attirato anche Paesi che possiedono grandi riserve di idrocarburi, tra cui la Libia, l’Egitto e la Nigeria, il più grande produttore africano di petrolio dell’OPEC+.

In questo scenario internazionale in continua evoluzione, il continente africano sta assumendo un ruolo sempre più cruciale sia per l’Occidente che per le nuove potenze emergenti, tra cui la Russia, la Cina e i Paesi del Golfo. Oltre a costituire un enorme bacino per la manodopera a basso costo infatti, l’Africa è uno dei mercati energetici in più rapida crescita al mondo, con immense risorse di idrocarburi, di terre rare – essenziali per la produzione delle tecnologie innovative – e di energia pulita, come il sole e il vento.

 

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Al momento, il principale partner economico è la Cina, la quale promette infrastrutture e prestiti in cambio dello sfruttamento delle risorse minerarie dei Paesi africani. L’UE e gli USA hanno tentato di rinnovare le relazioni con il continente africano, accogliendo l’Unione Africana come membro permanente del G20; Washington ha aumentato il numero di visite diplomatiche e stipulando accordi commerciali e di sviluppo socio-sanitario, mentre l’Unione prova la strada della cooperazione energetica. La presenza della Russia in Africa invece è nota per il ruolo della milizia mercenaria del Gruppo Wagner, attraverso i quali il Cremlino ha stretto diversi accordi con i capi di almeno tredici Paesi del Continente per la protezione delle giunte al potere in cambio dello sfruttamento delle risorse locali.

Diversi studi hanno identificato l’arrivo della Wagner in Africa nel periodo successivo alla fine del regime di Gheddafi in Libia (dunque fin dal 2011), dove i mercenari hanno affiancato le milizie del generale Khalifa Haftar nella guerra contro il governo di Tripoli riconosciuto dalla maggioranza dei Paesi occidentali. Negli anni, il gruppo ha esteso la sua influenza nel continente africano, approfittando del disimpegno americano durante il mandato di Donald Trump e delle proteste locali contro i militari francesi, percepiti come rappresentanti di una (ex) potenza coloniale. Gli accordi tra la Wagner e i governi africani si basano su scambio di armi, addestramento militare e mezzi per trasportare i capitali delle élite all’estero, oltre che per condizionare l’opinione pubblica a loro favore, in cambio dell’accesso allo sfruttamento di risorse naturali quali oro, diamanti, terre rare, uranio e litio.

Dalla morte del capo dei mercenari Yevgeny Prigozhin nell’agosto 2023, il gruppo ha perso molto potere in patria, ma il Cremlino ne ha tutelata la posizione in Africa per non perdere le sue relazioni diplomatiche con le giunte golpiste in Paesi come la Libia (quantomeno in Cirenaica), la Repubblica Centrafricana, il Sudan e il Mali. Tuttavia, il gruppo armato è stato sottoposto a notevoli cambiamenti, che hanno inevitabilmente inciso nelle sue attività sia in Russia che all’estero. In primis, la milizia da privata è passata sotto il diretto controllo del ministero della Difesa russo. In questo modo, il governo di Putin limita i rischi di nuovi ammutinamenti o tentativi di golpe, ma dovrà anche assumersi la responsabilità delle azioni dei militari reclutati essendo ora parte della milizia ufficiale riconosciuta a livello internazionale. Inoltre, la milizia ha cambiato nome: non più gruppo Wagner, ma “Afrikanskij Korpus” o Corpi di Spedizione. Come la denominazione precedente, anche i due nuovi nomi rimandano al nazismo, nello specifico, secondo le interpretazioni prevalenti, all’unità militare tedesca “Afrika Korps” che combatté in Africa tra il 1941 e il 1943.

Attività del gruppo Wagner in Africa. Fonte: The Economist.

 

La carta dell’energia

La cooperazione energetica tra la Russia e i Paesi africani è condotta sia a livello bilaterale che attraverso l’OPEC+ e altre piattaforme e forum. Dal 2022, le importazioni dei prodotti raffinati russi in Africa sono aumentate di 14 volte. Prima della guerra in Ucraina, la Russia esportava 33.000 b/g di prodotti raffinati in Africa, in gran parte benzina. A marzo 2023, le esportazioni erano salite a 420.000 b/g.

Tra le compagnie petrolifere e del gas russe che operano in Africa si contano Gazprom, Rosneft e Lukoil, che stanno realizzando progetti in Algeria, Angola, Ghana, Egitto, Camerun, Costa d’Avorio, Nigeria, Repubblica del Congo, Sierra Leone e Libia. Tuttavia, è importante considerare che le società russe non sono partner ufficiali in nessuno dei principali progetti africani di petrolio e gas.

Il settore delle centrali nucleari civili è un elemento chiave della strategia energetica Russia e viene prevalentemente gestito dalla società statale Rosatom. Fondata nel 2007, a oggi Rosatom raggruppa oltre 360 imprese russe e conduce 42 progetti di energia nucleare in costruzione a livello globale. Nel 2012, ha aperto un ufficio in Sud Africa per identificare partner e fornitori per estendere la sua influenza sul continente africano.

 

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Negli anni, la Russia ha firmato accordi di cooperazione con 20 Paesi, tra cui Egitto, Nigeria e Burkina Faso, i quali hanno firmato anche i piani preliminari per la costruzione degli impianti nucleari con il supporto della tecnologia russa, come aveva fatto il Sudafrica attraverso l’Accordo intergovernativo sulla partnership strategica e la cooperazione nell’energia nucleare del 2014 per la realizzazione di otto reattori nucleari, dopo il primo già costruito da Rosatom. Tre anni dopo, questo accordo è stato dichiarato incostituzionale, ma il governo del Sudafrica ha affermato che il nucleare continuerà a far parte del mix energetico nazionale.

In Egitto, Rosatom sta costruendo la centrale nucleare El Dabaa, alla quale fornirà combustibile nucleare russo per l’intero ciclo di vita dell’impianto. Inoltre, istruirà il personale e supporterà i partner egiziani nella manutenzione e nell’assistenza dell’impianto nel primo decennio di attività. La società statale inoltre fornisce assistenza per l’implementazione di centrali galleggianti nei Paesi costieri e partecipa a gare d’appalto per nuovi progetti. Oltre agli impianti, Rosatom ha firmato accordi anche per l’istituzione di centri di ricerca nucleare, come quello in Ruanda che si focalizzerà sull’uso del nucleare nel campo medico e agricolo.

Mosca ha incluso nell’agenda della cooperazione energetica con l’Africa anche lo sviluppo di progetti congiunti nel settore delle energie rinnovabili e a basse emissioni di carbonio, proponendo la costruzione di impianti solari ed eolici. Ad esempio, lo scorso maggio, NovaWind, la divisione interna della Rosatom che si occupa di energia pulita, ha iniziato la costruzione di un impianto solare da 200 MW in Mali, che si estenderà su 314 ettari di terreno vicino alla capitale Bamako. Quello delle rinnovabili non è al momento un punto di forza dell’industria russa, ma questi sforzi sono comunque indicativi di un’ambizione di ampliare la propria influenza.

La presenza russa in Africa

 

Le relazioni energetiche della Russia con l’Africa sono cambiate in modo significativo dal primo Russia-Africa Summit del 2019, quando furono firmati i primi accordi per l’esplorazione, la raffinazione e la commercializzazione di petrolio e gas. Se da un lato i Paesi africani costituiscono l’opportunità di nuovi mercati e partenariati energetici per la Russia, visto il blocco dei rapporti con l’Occidente, dall’altra possono diventare validi concorrenti nel mercato del greggio con i loro prezzi competitivi e i nuovi accordi con i Paesi europei e la Cina. Infatti, la guerra in Ucraina sta spingendo i Paesi europei a rivedere le relazioni con il vicino continente, rivalutando accordi commerciali e intensificando gli scambi di risorse energetiche, proponendo anche nuovi progetti sostenibili, come lo sviluppo di centrali a idrogeno.

Se però da una parte i rappresentanti dei Governi della Germania, dell’Italia, della Spagna e di altri membri dell’Unione Europea si recano in visite diplomatiche dalle controparti africane per stipulare accordi per la produzione di idrogeno e lo scambio di terre rare con investimenti infrastrutturali, dall’altra controversie per la protezione ambientale, come la questione della CBAM, minacciano lo sviluppo della cooperazione. I CBAM sono un insieme di provvedimenti di politica commerciale volti a limitare attività economiche ad alte emissioni di CO2. Con queste misure, l’UE vuole applicare sia prezzi correttivi alle importazioni in base alla loro quantità di carbonio, sia sconti fiscali per i produttori nazionali che rispettano gli standard ambientali. Nonostante l’UE abbia assicurato che l’introduzione dei CBAM sarà graduale, con un periodo transitorio di circa due anni tra il 2023 e 2025, l’approccio rimane molto criticato dalle economie in via di sviluppo, che sostengono ostacoli il commercio internazionale.

 

Un’arena per la competizione con l’Occidente

L’impegno della Russia nel continente africano fa parte della sua più ampia strategia per riaffermare la propria immagine sulla scena internazionale, rompendo l’isolamento diplomatico ed economico imposto dall’Occidente e facendosi portavoce di un “mondo multipolare”, in cui i Paesi in via di sviluppo stanno guadagnando importanza. Come noto, tale strategia viene applicata anche dalla Cina, che propone un modello di sviluppo alternativo a quello delle potenze occidentali – pur senza riuscire in effetti a imporlo, ad oggi, e forse neppure a precisarne i contorni. In questo schema, il continente africano si identifica non solo come un immenso serbatoio di risorse energetiche e di manodopera, ma anche come un’arena di rivalità, in cui le potenze mondiali si contendono la cooperazione dei governi locali.

Come Pechino, anche Mosca utilizza una narrativa anti-coloniale e anti-imperialista per attirarsi il favore dell’opinione pubblica africana. Molti Paesi africani hanno accolto positivamente le milizie Wagner e sono favorevoli al commercio con la Russia, anche se la situazione di precarietà dovuta alla prolungata guerra in Ucraina sta istillando dubbi in diversi di loro riguardo alla cooperazione con il Cremlino. Durante l’ultimo Vertice Africa-Russia del 2023, i rappresentanti russi non sono infatti riusciti a rispondere a diverse preoccupazioni dei leader africani. I 17 capi di Stato africani – molti meno dei 43 che si erano presentati al primo Vertice nel 2019 – hanno criticato il mancato rinnovamento dell’accordo sulle esportazioni del grano nel Mar Nero, ma anche il prolungato sfruttamento delle loro risorse minerarie da parte di Mosca e la presenza del Gruppo Wagner, non sempre di aiuto per l’equilibrio politico delle nazioni africane.

In risposta, Putin ha ricordato l’aiuto finanziario da parte della Russia per lo sviluppo di centrali nucleari a uso civile e ha promesso di raddoppiare il traffico commerciale, oltre all’invio gratuito di circa 50mila tonnellate di cereali a sei paesi africani: Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea, suoi alleati. Tuttavia, i leader africani hanno chiesto il ripristino dell’accordo per il passaggio del grano ucraino attraverso il Mar Nero. Infine, alcuni rappresentanti africani hanno ribadito la necessità di aprire i negoziati per la pace nel conflitto russo-ucraino, proposta che avevano già presentato a Kiev con una delegazione guidata dal Presidente sudafricano Ramaphosa, ma che non aveva suscitato l’attenzione di ambo le parti in guerra.

Su questo sfondo, le prospettive sono contraddittorie.

Nel 2019 Putin aveva dichiarato di voler raddoppiare gli scambi commerciali tra Russia e Africa, che allora ammontavano a 16,8 miliardi di dollari. Tuttavia, tra il 2018 e il 2021 sono aumentati solo di un quarto, raggiungendo i 17,7 miliardi di dollari. Nel 2023 sono giunti a 24,6miliardi, ma il costo della guerra in Ucraina minaccia ulteriormente la capacità della Russia di investire in progetti energetici a lungo termine ad alta intensità di capitale in Africa.

Il futuro sviluppo dei legami economici russo-africani è ostacolato dalle sanzioni occidentali contro la Federazione Russa e i Paesi terzi che commerciano con essa, oltre che dalla limitata disponibilità finanziaria di Mosca dovuta allo sforzo bellico in Ucraina. Le conseguenze della guerra sono già visibili. Tra il 2022 e 2023, gli investimenti diretti esteri (IDE) in Africa sono diminuiti del 44% e meno dell’1% provengono dalla Russia: il destino delle relazioni tra il Continente africano e la Russia resta incerto.

Infine, qualora l’UE, e gli altri membri del G7 (che ad oggi hanno attuato misure piuttosto simili a quelle europee), sviluppassero ulteriormente i loro legami con i Paesi africani nell’ambito energetico e loro stessi divenissero più indipendenti nella lavorazione e raffinazione delle materie prime, la Russia perderebbe il suo ruolo centrale di esportatore di idrocarburi.

 

 

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