Le questioni indentitarie verso il voto americano

La storia di Donald Trump sugli immigrati che mangiano i gatti in Ohio è una specie di variazione della vecchia frase sui comunisti che mangiano i bambini. L’URSS era effettivamente il nemico della guerra fredda – e Putin l’ha riportata lì con l’invasione dell’Ucraina, cosa che Trump sembra restio a riconoscere. Sui migranti il discorso è più complicato: sono stati una fonte decisiva di crescita e vitalità per l’America; oggi sono anche diventati un fattore di estremo disagio, per numeri fuori controllo. Chiunque abbia viaggiato un po’ nelle città degli Stati Uniti se ne rende conto. Resta indimenticabile l’ultimo libro di Samuel Huntington sulla identità americana, segnata dal declino della classe bianca originaria a favore della crescita degli ispanici: “Who are we?”, chi siamo? si chiedeva già nel 2005 uno dei più brillanti politologi americani di fronte alla trasformazione delle città della costa Ovest, con lo spagnolo come lingua ormai dominante in California, maggiore economia sub-nazionale al mondo.

 

Questo rende vulnerabile Kamala Harris, che ha avuto come vice-presidente di Joe Biden una delega, in verità vaga, ad occuparsi delle “cause di fondo” delle migrazioni dal centro-America. Harris non è stata, come accusa Trump, lo “zar del confine”, questo ruolo spettava al Segretario all’interno Alejandro Mayorkas. Comunque un ruolo l’ha avuto e naturalmente è apparsa troppo dura ai liberal (“meglio che stiate a casa”, ha consigliato nella sua prima missione in Guatemala) e troppo molle ai repubblicani (la regolarizzazione come male minore). E’ stata comunque inefficace. Invece di battere su questo tasto, Donald Trump, ispirato dal suo vice J.D. Vance, ha insistito nell’ormai storico dibattito di Philadelphia sulla storia dei gatti (e dei cani).

I gatti sembrano una specie di ossessione. Le donne senza figli sono chiamate da Donald “gattare”, cosa che si è rivelata un boomerang. Si vedrà quanto conterà, per Kamala Harris, l’endorsement di Taylor Swift, con i suoi 284 milioni di followers su Instagram. In questa epoca di non senso, Taylor Swift si è firmata “Childless Cat Lady”, prendendo Trump letteralmente per i fondelli. Kamala Harris ha un’inclinazione abbastanza simile, distante dal perfezionismo algido di Hillary Clinton. Il contrasto fra il sorriso di Kamala e il ghigno corrucciato di Donald resterà la fotografia di uno scontro che è stato vinto dalla vice-presidente per i demeriti del rivale, più che per meriti propri.

Che poi questo le basti a vincere si vedrà ed è difficile da prevedere, visto che tutto dipenderà da poche centinaia di migliaia di voti in un pugno di Stati in bilico. Trump non ha ancora perso e Harris non ha ancora vinto. E visto che il sentimento dominante di un paese in crisi di fiducia e provato dall’aumento del costo della vita propende nettamente per il “change”, è da discutere se il cambiamento possa essere rappresentato dal vice-presidente di Joe Biden o dall’ex presidente dell’amministrazione precedente.

 

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Nessuno dei due, insomma, è un cambio vero. Trump fa leva sulle paure (l’aumento dei prezzi alimentari e delle case, la terza guerra mondiale alle porte, i migranti che mangiano i gatti, appunto); Harris scommette di potersi presentare come esponente di una nuova generazione di leader, prendendo le distanze da Biden e proponendo in modo vago una economia delle opportunità fondata su ricette in parte populiste.

Ciascuno dei due, in un paese così polarizzato, ha il doppio problema di portare i propri a votare e di conquistare una quota piccola ma determinante di elettori indecisi nei sette Stati in bilico. Harris, per vincere, deve tenersi il “Blue Wall”: Pennsylvania (decisiva e dove i due candidati sono testa a testa), Michigan e Winsconsin (dove Kamala è in lieve vantaggio). Se perdesse la Pennsylvania può solo sperare di recuperare con la North Carolina, tornata in gioco. Trump farà fatica a raggiungere la fatidica soglia dei 270 voti elettorali necessari per assicurarsi la presidenza senza la Georgia, dove è stato rinviato il processo contro l’ex-presidente per il presunto tentativo del 2020 di alterare i risultati del voto.

 

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L’importanza della Pennsylvania spiega perché Trump insista su un punto debole di Harris: la sua posizione iniziale (2020) a favore di un bando del “fracking”, fonte della ricchezza energetica dello Stato. Harris ha poi cambiato posizione, ma quanto verrà ritenuta credibile? Il suo punto forte sicuro è il diritto all’aborto, il che significa voto delle donne e di parte delle minoranze afro-americane.

Sulla politica estera la sua scelta è di sostanziale continuità, con qualche distinguo da Biden e nette differenze da Trump, Cina a parte. I giochi restano aperti. E paradossalmente due mesi sono lunghi, visto il peso che potrebbero avere eventi imprevisti. Fra gatti e bambini, sarà una campagna decisiva per il volto dell’America e il suo rapporto col mondo.

 

 

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