Nel Partito Democratico, due Americhe a confronto

Dopo il confuso caucus dell’Iowa, il piccolo stato del New Hampshire ha risposto con un’affluenza alle urne superiore di 40 mila voti rispetto al 2016, per la nomination del candidato Democratico che sfiderà il presidente Trump alle elezioni del prossimo novembre. Coerentemente con le previsioni, il risultato sancisce la vittoria di Bernie Sanders, senatore del confinante stato del Vermont, ma la classifica ha rivelato qualche sorpresa, a cominciare dalla conferma del buon momento del giovane Pete Buttigieg.

L’Iowa e il New Hampshire non sono rappresentativi dell’elettorato americano (si tratta di due stati con una bassa densità di popolazione a maggioranza bianca), ma la loro importanza nella corsa alle presidenziali risiede nel fatto che, votando per primi, hanno la possibilità di imprimere una certa direzione alla gara. Tuttavia a una riflessione più profonda si può guardare a questo risultato di Sanders e Buttigieg come la rappresentazione del conflitto tra due Americhe diverse sedute scomode tra i banchi del sistema bi-partitico statunitense, l’una rivoluzionaria, l’altra moderata.

Bernie Sanders è un indipendente affiliato al Partito Democratico che fa paura a molti perché si definisce “socialista”. Il suo messaggio (e quello della senatrice Warren) presenta alcuni elementi di convergenza con la retorica del populismo di sinistra in Europa nella sua visione della società e nelle tendenze anti-sistema. La protagonista della retorica di Sanders è infatti la classe lavoratrice dimenticata dalla politica, in netta contrapposizione con i ricchi che approfittano di un sistema “truccato” a loro vantaggio.  La risposta è un modello di società strutturato intorno ai valori dell’assistenza collettiva che fanno tremare i pilastri dell’individualismo e della libertà di scelta che hanno sempre contraddistinto la politica e la società americane.

Come Joe Biden, Sanders è molto popolare tra gli afroamericani e i latini, che oggettivamente si ritrovano in condizioni economiche e di salute più svantaggiate, in parte a causa dei retaggi delle politiche di segregazione razziale. Sanders si appella agli elettori di un’America che ha conosciuto gli effetti delle disuguaglianze sociali sulla propria pelle, e che negli ultimi 40 anni ha visto crescere il potere delle lobby e di quell’1% della popolazione che detiene risorse pari a quelle di tutto il restante 90%, dove il livello dei salari non è cresciuto di pari passo con quello degli affitti e delle rette universitarie. Inoltre, Sanders intercetta la frustrazione di un elettorato che si sente lontano dal processo decisionale che avviene nella capitale, spesso appannaggio di gruppi di pressione e di quella fetta di società che può permettersi i college più prestigiosi.

Per far fronte a questo crescente disagio, la visione di Sanders prevede una sanità pubblica gratuita per tutti, un piano Marshall per l’istruzione con la cancellazione dei debiti degli studenti, un salario minimo di 15 dollari/ora che si rivolge ai lavoratori sottopagati dei fast-food, dei call center e delle grandi catene di negozi.

Tuttavia, se la sanità fosse davvero come la immagina Sanders – operazione comunque difficile da mettere in piedi in quattro anni – è inevitabile prevedere un aumento generale delle tasse e il singolo americano non avrebbe più l’opzione di scegliere di non sottoscrivere una polizza.

Anche se durante i comizi in New Hampshire il senatore del Vermont ha già tentato di abbassare i toni, le politiche che suggerisce spaventano i mercati e le grandi lobby delle assicurazioni sanitarie e del farmaco, e le banche che lucrano sui prestiti agli studenti. Per quanto tali questioni rivestano un’importanza fondamentale per l’elettorato Democratico, i candidati come Buttigieg, Amy Klobuchar, Joe Biden e di recente Michael Bloomberg propongono soluzioni diverse che esprimono l’anima più moderata del Partito Democratico rispetto alle posizioni di Sanders e le idee di Elizabeth Warren.

Pete Buttigieg e Bernie Sanders

 

Il secondo classificato del New Hampshire, Pete Buttiegieg rappresenta molto bene questa seconda corrente. E’ un misto di visioni tradizionali e progressiste che si intrecciano in un viso giovane e da outsider che però è ben connesso con l’establishment che dice di voler cambiare. Pete si professa cristiano, ha servito come luogotenente nell’esercito in Afghanistan (un valore per molti americani), ha frequentato l’università di Harvard e ha lavorato per McKinsey. Allo stesso tempo, la sua giovinezza e il fatto di essere omosessuale (è sposato con un uomo), oltre alla sua esperienza di sindaco di una cittadina del Mid-West gli conferiscono un tocco progressista che si lega alla sua apparente estraneità ai giochi di potere di Washington – diversamente dai suoi concorrenti che hanno esperienza pluriennale nel Congresso.

Il messaggio portante di Buttigieg è quello di una riconciliazione dell’America, intesa come appianamento dei conflitti economici ma soprattutto politici, etnici, e religiosi emersi già prima della presidenza Trump, e acuitisi negli ultimi tre anni. Il tutto con uno stile comunicativo e un carisma che alcuni hanno paragonato a quelli di John Kennedy. Il problema è che, al momento, questo candidato moderato non sembra attirare consensi dalle categorie più emarginate e dall’elettorato afroamericano (Buttigieg non ha mai risposto nel merito allo squilibrio tra bianchi e neri negli arresti per spaccio di Marijuana nella città di cui è sindaco). Anche sulla politica estera, dove sostiene di beneficiare della sua esperienza di veterano dell’Afghanistan, Buttigieg si arena su risposte che appaiono articolate ma generiche, che lo avvicinano all’establishment più di quanto vorrebbe (è vero, del resto, che i suoi consiglieri vengono dai migliori think tank del Paese).

Il punto di forza della ricetta-Buttigieg è che non mette in discussione i valori tradizionali americani: è d’accordo su stipendi più alti per i docenti e un’istruzione più alla portata di tutti, ma non parla della cancellazione del debito agli studenti; comprende il problema dell’accesso alle cure e su questo propone una soluzione pubblica accanto a una privata, proprio per dare a ciascuno la possibilità di scegliere il pubblico o mantenere la propria polizza. In molti ne apprezzano l’intelligenza, la capacità di ascoltare e l’approccio inclusivo, e i suoi messaggi di empatia, razionalità e appartenenza sono portatori sani di speranza per il futuro.

Tuttavia la sua inesperienza rende difficile prevedere come sarebbe da presidente, se e come gestirebbe gli equilibri di potere al Congresso e come metterebbe in pratica la sua visione di un’America che fa pace con il passato e con l’elettorato trumpiano.

La corsa alla nomination resta insomma assai aperta. Con il declino di Joe Biden, molti dei suoi sostenitori potrebbero facilmente passare nel campo di Bloomberg, restringendo così nettamente le chances di Buttigieg e della senatrice del Minnesota Amy Klobuchar (che a sorpresa ha doppiato i voti di Warren in New Hampshire); contemporaneamente la forza del messaggio della stessa Warren, dal contenuto molto simile a quello di Sanders ma molto meno estremo e divisivo, potrebbero farle riguadagnare terreno in attesa del Super Tuesday (3 marzo).

Tuttavia, l’enigmatica contrapposizione tra un’America rivoluzionaria e un’America moderata offerte dal New Hampshire resteranno un dilemma portante all’interno del Partito Democratico. Quel che è certo è che senza una discussione innovativa su salute pubblica, istruzione e lavoro sarà molto difficile strappare a Trump quell’elettorato dimenticato e disilluso che ha visto in lui un leader nuovo capace di dare forma e sfogo (probabilmente solo a parole) alle sue frustrazioni.

 

 

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