L’Occidente deciso a sostenere Kiev, ma per quanto?

Le prospettive di una pace onorevole per l’Ucraina, da sempre incerte, appaiono oggi ancora più problematiche. Non solo per l’impasse sui campi di battaglia, ma anche a causa di fattori di politica interna dei Paesi che da circa un anno e mezzo tentano di dissuadere Mosca dal persistere nel suo piano di conquista.

Le forniture americane ed europee di materiale bellico all’Ucraina sono necessarie se la si vuole aiutare non solo a diminuire le distruzioni prodotte dagli attacchi missilistici, ma anche a condurre una controffensiva. Quindi servono non solo sistemi anti-missile, ma anche carri armati, munizioni per l’artiglieria, aerei.

 

L’obiettivo non è di liberare tutti i territori occupati infliggendo alla Russia una umiliante sconfitta, ma consentire alle forze ucraine sostanziosi successi tattici (ad esempio la liberazione di Melitopol) in modo da convincere i vertici militari russi che la continuazione della guerra di logoramento non porta a nulla. Con la speranza non che Vladimir Putin venga a più miti consigli, ma che i generali gli impongano una via di uscita “onorevole” dal conflitto, e che la Cina decida finalmente di assumere il ruolo di “onesto sensale”, nel senso bismarckiano.

L’ipotesi più realistica è che una mediazione sino-americana (o sino-turca?) porti ad un ridimensionamento delle annessioni, nel migliore dei casi con il ritorno alla linea di demarcazione pre-24 febbraio 2022, cioè con la rinuncia russa alle regioni di Zaporija e Kherson e parte di quelle di Donetsk e Luhansk, nonché della Crimea, mentre ai restanti territori occupati verrebbe applicato un regime provvisorio sotto egida ONU o OSCE nell’attesa (probabilmente molto lunga) che si realizzino le condizioni per plebisciti che siano “free and fair”.

Dunque anche i fautori di massicci aiuti militari al Paese aggredito non puntano realmente a un pieno ritiro russo sino ai confini pre-2014 (quelli che Mosca nel 1994 con il Memorandum di Budapest aveva garantito di rispettare e difendere), ma piuttosto ad un compromesso territoriale non troppo penalizzante per l’Ucraina, anche se per ora tale concetto, pubblicamente, è tabù. Paradossalmente, molti “pacifisti” assicurano invece di volere una pace “giusta”, rispettosa dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Purtroppo, la maturazione, nella capitale di uno Stato invasore, di come un ritiro sia inevitabile richiede in genere che l’impasse militare duri anni, come dimostrano gli esempi del Vietnam e dell’Afghanistan. Perciò una strategia militare occidentale che miri solo a logorare la Russia e la sua determinazione a proseguire la sua impresa bellica (benché frutto di un calcolo sbagliato) non può essere vincente.

Il suddetto scenario alternativo, di una controffensiva ucraina che costringa l’esercito russo ad un forte arretramento, sì da suscitare una fronda nei vertici militari russi,  avrebbe richiesto forniture più massicce e tempestive di armi offensive. La preoccupazione di mantenere entro limiti tollerabili per Mosca e per le nostre opinioni pubbliche il coinvolgimento nel conflitto ha invece imposto remore qualitative a tali forniture.

 

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Putin e i suoi consiglieri fanno affidamento su queste remore, e anzi ora contano sull’assottigliarsi del flusso anche sul piano quantitativo. Sia perché i vari ministri della Difesa europei (non solo il nostro) vedono già il fondo del barile, sia perché gli elettori (nel 2024 ci sono appuntamenti elettorali in vari paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, oltre a quello per il Parlamento Europeo) mostrano una certa stanchezza nella solidarietà verso l’Ucraina, e reclamano altre priorità.

Ma la svolta decisiva è evidentemente quella prodotta dal recente “golpe” dei Repubblicani più estremisti nella Camera dei Rappresentanti USA, come dai sondaggi che fanno apparire in bilico la rielezione di Joe Biden. Putin non può che essere imbaldanzito dalla prospettiva di un presidente repubblicano in salsa MAGA, con ogni probabilità lo stesso Trump.

 

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La tesi di una disponibilità russa ad una soluzione negoziata che i “guerrafondai” occidentali si ostinerebbero ad ignorare è dunque priva di qualsiasi fondamento. Mosca ha buone ragioni per sperare di vincere il braccio di ferro fra circa un anno, forse molto prima. L’Europa e il governo Biden vedono vacillare la propria strategia ma non possono (per ora) dargliela vinta. Altre decine di migliaia di ucraini e russi moriranno al fronte, inutilmente.

 

 

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