Le opzioni che si restringono per la classe media

La classe media in Occidente si sta restringendo (shrinking in anglo- americano). La famiglia tipica genitore 1 & 2 e progenie 1 & 2 stanno divenendo più poveri, e la tendenza di anno in anno non si inverte. Il tema era già emerso prima della pandemia, ma oggi, dopo due anni di Quantitative Easing (QE) euro-americano, la crisi ucraina, l’assedio economico alla Russia… l’incredibile onda del credito facile culminato nei QE per favorire la ripresa dopo la pandemia si sta ritirando velocemente. Ciò che resta sul terreno sono i detriti di una speculazione finanziaria e digitale senza eguali, una sequela di trimestrali dove il denaro cresceva sugli alberi, e una classe media che ri-scopre di essere in affanno. Per comprendere cosa accade alla classe media cerchiamo di mappare i dossier più evidenti e recenti, indici dei problemi di una famiglia media.

 

Shrinkflation: mamma mi si sono ristretti i biscotti

Ho una gatta persiana: è viziata quindi mangia carne grass-fed oppure scatolette di patè di una marca piuttosto famosa. La carne negli ultimi due anni ha raddoppiato di prezzo ma si sa: la qualità costa. Quello che mi ha turbato è la confezione di patè di carne con “cuore tenero”. Prima del Covid la confezione di 85 grammi (peso netto) aveva effettivamente 82-3 sani grammi di patè. Oggi la apro e il cilindro di patè allegramente galleggia nel brodino di cottura. Per scrupolo ne ho aperto una seconda confezione: stesso scenario.

Ho aspettato una settimana: altro negozio, stessa marca e stesso effetto.

La shrinkflation è il metodo più politicamente corretto che i brand del FMCG (Fast Moving Consumer Goods, ovvero quei prodotti che sono venduti nei negozi e hanno una data di scadenza definita nel tempo) hanno di mantenere i margini, mantenere il prezzo alla vendita e sperare che il consumatore non si accorga di essere munto. Ci sono vari metodi che si usano nelle strategie di shrinkflation: variare di qualche grammo la quantità di prodotto finito nella confezione (dal 3% sino al 10%), aggiungere più materia di costo inferiore o liquido, aumentare l’involucro internamente (tante piccole confezioni per mantenere la freschezza degli snack). Il risultato finale non cambia.

Il fenomeno negli Stati Uniti è in atto da anni ma, dopo la pandemia, ha violentemente accelerato, come riportano le maggiori testate americane. L’impoverimento della classe media passa anche da questo banale trucco di marketing o meglio packaging. A parità di potere di acquisto, il prezzo del prodotto non aumenta, ma la quantità realmente acquistata di cibo, detersivo o dentifricio diminuisce. Di fatto la shrinkflation erode la capacità di acquisto del consumatore, tentando con il meccanismo psicologico della non correzione del prezzo di non scoraggiarne la spesa. L’utente finale si ritroverà apparentemente rassicurato ma dovrà optare per un acquisto più frequente del prodotto “ristretto”.

 

L’usato è sintomo di povertà?

Sino a una ventina di anni fa c’erano due tipi di persone che acquistavano abbigliamento, scarpe o accessori usati: coloro che compravano una Gucci anni 40’, pagandola cifre a 4 zeri, e i poveri che compravano nei mercatini dell’usato. La prima categoria di compratori è “sana” e rappresenta una scelta di consumi: chi di noi non sogna di trovare una Herman Miller originale, per poche centinaia di euro, al mercatino dell’antiquariato di Milano? La seconda categoria di compratori è quella che dovrebbe preoccuparci: comprare abiti di fast fashion per pochi euro/dollari difficilmente si può definire una scelta volontaria e felice. La mia non è una critica ma una considerazione tristemente economica.

Una famiglia media composta da genitore 1 & 2 e progenie 1 & 2 ha sempre più difficoltà a pagare utenze, affitto/mutuo, beni alimentari ed eventuali costi scolastici. Consideriamo lo scenario americano, di norma più ricco rispetto a quello europeo: il 75% delle famiglie che guadagnano dai 30mila ai 100mila dollari dichiarano che le loro entrate non sono allineate con l’aumento del costo della vita, e il 77% ritiene che ci sarà una recessione nell’ultimo trimestre del 2022 (Primerica).Quindi si risparmia dove si può. L’abbigliamento è ovviamente una voce rilevante per tagliare le spese. Lo scenario americano ci offre dei numeri agghiaccianti.

 

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ThredUP, un sito di e-commerce che vende abbigliamento usato, stima il mercato dell’usato in circa 24$ miliardi nel 2018 e prevede una crescita a 64 miliardi di dollari entro il 2028. Stime più precise possono essere desunte dal sito governativo americano che traccia le vendite al dettaglio. Post-2008 gli e-commerce e le app che vendono cose usate (inizialmente vestiti, ora sono inclusi anche mobilio, prodotti di cosmesi, prodotti hi-tech) sono aumentanti con una velocità estrema. Nel mondo dei consumi al dettaglio occidentali, possiamo rilevare che questo segmento di vendite ha avuto la crescita più rapida rispetto ai prodotti “nuovi”.

Anche le tecniche di vendita delle app, per attrarre nuovi utenti, si sono fatte più eleganti. Dove prima si parlava di “usato” oggi si parla, in inglese, di “preloved“ (amati precedentemente). Ovviamente non manca un tocco di greenwashing: sulla scia di un falso senso di sostenibilità si fa riferimento a quanto la moda “preloved” sia amica dell’ambiente, in quanto non richiede altre materie prime per produrre i capi in vendita.

Il target di questa industria dell’usato “economico” erano i giovani: millennial, Generazione Z o la emergente Generazione A. Facendo leva sulla combinazione di decresciuto potere di acquisto e la mentalità consumistica del “comprare sempre qualcosa da mostrare (o instagrammare)” queste app spopolano nelle giovani generazioni. Se escludiamo la fascia alta di prodotti di moda (dalla sedia di Miller alle Gucci anni 40’) la platea di compratori di usato si sta ampliando e in modo esasperato.

Di recente anche il cibo quasi scaduto è diventato merce per app ed e-commerce. Dove non arrivano i supermercati con il banchetto dell’“ancora buono”, per mia osservazione sempre molto affollato, arrivano le app che ti mandano cestelli e sacchetti “a sorpresa” con dentro croissaint, pane, focacce e altri beni giornalieri, che possono essere ancora consumati.

Sia ben chiaro, è un bene non sprecare questo cibo: ovunque operano associazioni benefiche che raccolgono questi prodotti e li processano per chi ha difficoltà ad acquistare persino il cibo; una cosa lodevole che ha il mio massimo rispetto.

Tuttavia quando il “cibo quasi nuovo” viene re-immesso nel mercato, e c’è gente disposta a comprarlo, ci si può lecitamente domandare se ciò accada per una scelta “ecologicamente sostenibile, molto “Gaia Friendly” del consumatore, oppure per una “non scelta”: un azione obbligata frutto di una carenza economica. Non dimentichiamo che molti siti di e-commerce e app di cose o cibo usato permettono anche di pagare a rate senza interessi, una nuova forma di indebitamento che comincia a lasciare cadaveri sulle strade…

 

Compra ora, paghi dopo…forse

L’industria del Buy Now Pay Later (BNPL) si è fortemente sviluppata negli anni tra la crisi del 2008 e la pandemia ed è esplosa nell’ultimo periodo, complice l’esser sequestrati in casa, con la possibilità di dare sfogo alle proprie manie consumistiche solo sui siti di acquisto online.

Il BNPL non è né più né meno una soluzione di rateizzazione degli acquisti. La novità è che l’industria del BNPL, facendo leva sullo strumento digitale e la capacità di calcolo del cloud, valorizza i dati e le scelte degli utenti. La rateizzazione della spesa per un acquisto non è di per sé sintomatico di povertà. Inizialmente gli operatori di BNPL come Klarna avevano come target utenti che compravano tecnologia (nuova o usata) come cellulari, computer portatili e altri beni con ticket di spesa importanti. Tuttavia negli ultimi mesi Klarna, per espandersi in America con maggior celerità, ha cominciato a posizionarsi su una platea più “subprime” (ossia con incerta capacità di pagare le rate) creando sinergie e partnership con aziende che servizi e prodotti di consumo legati a esigenze più basilari come cibo, carburante, etc.

Le transazioni con BNPL su piattaforme come Affirm, Apple, PayPal, Zip e Klarna si stimano in almeno 100 miliardi di dollari l’anno. Le stime conservative suggeriscono che il mercato in pochi anni potrebbe raggiungere e superare 1000 miliardi di dollari a livello mondiale (in particolare in Occidente). Spesso, tuttavia, il servizio non prevede un controllo del credito dell’utente. In pratica le singole compagnie di BNPL diventano “pagatori” per conto di clienti la cui storia e solvibilità è dibattibile. Le piattaforme BNPL, per conquistare fette di mercato, caricano al merchant tra l’1,5% e il 7% sul prezzo di transazione, secondo la ricerca della Kansas City Federal Reserve. Il servizio ha dei vantaggi evidenti per i merchants (ovvero i negozianti, coloro che vendono prodotti al dettaglio) che possono migliorare le performance di vendita ed evitare la sindrome del “carrello abbandonato”.

 

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Malgrado un anno di furore, da maggio 2022 le cose hanno cominciato a degradarsi per le piattaforme BNPL. Come ha spiegato di recente Blomberg, Klarna, che opera in oltre 20 mercati, aumenterà nel 2022 le sue perdite del 2021, che ammontavano a oltre 400 milioni di dollari. Anche le altre BNPL sono in perdita. Affirm ha riportato perdite di circa 430 milioni al termine dell’anno fiscale (giugno 2021), Afterpay invece 345 milioni in perdita nel 2021. A luglio Klarna è andata a chieder soldi al mercato e qui sono nati i problemi. Nel 2021 era valutata 45 miliardi di dollari, ma dopo le sue espansioni con clienti “subprime”, o quanto meno con un’affidabilità creditizia non perfetta, la sua valutazione nel 2022 è scesa a 6,7 miliardi, un crollo dell’85% circa in meno di un anno.

 

Rischio default

Quello che è emerso è che i maggiori utilizzatori dei BNPL sono nuovi poveri, o se preferite working poors: persone che pur lavorando faticano ad arrivare a fine mese e, con i conti già in rosso, utilizzano questo sistema di indebitamento per tirare avanti al meglio. Il problema di questa strategia emerge nel raggio di un anno: se una singola soluzione di BNPL può alleggerire il budget mensile, spalmando la spesa su diversi mesi, quando il BNPL viene usato sistematicamente diventa una trappola viziosa, dove le rate vanno a sommarsi le une sulle altre e alla fine il consumatore, se subprime, rischia il default sui suoi debiti. Per quanto non si parli di cifre importanti, a livello di singolo nucleo familiare, quando consideriamo la qualità dei debitori delle maggiori BNPL si comprende come questo sistema sia pericoloso. Anche in questo caso coloro che rischiano di più sono i nuovi poveri che, attratti da una soluzione senza interessi, sono portati ad un acquisto non sempre pianificato.

Vi sono altri fenomeni che, specialmente in occidente, confermano il depauperamento della classe media: la crescita storica dei working poors dalle aree depresse degli Stati Uniti sino alle periferie di Francoforte, l’inflazione causata dalla crisi ucraina, la stagnazione degli stipendi, la nuova bolla dei subprime americana legata alle minoranze etniche. Un tema che si dovrà trattare in modo approfondito in altre analisi ma di fatto una bolla in crescita. In pratica grazie a una legge del 1974, poi aggiornata, alle minoranze etniche americane (ispanici e afro americani in particolare) il governo garantisce dei “grant” per l’accesso all’acquisto della prima casa. BoA è tra le prime banche ad aver approfittato del sistema integrando questi grant in una politica di “anticipo zero (in pratica un nuovo modello di subprime), dove l’anticipo viene reso disponibile dalle banche stesse, previa due diligence sulla “accessibilità” dei richiedenti ai programmi di grant statali.

I multiformi fenomeni elencati in precedenza si sono sviluppati in pochi anni. Sono indice che il sistema sta attraversando un’ineludibile e irreversibile discesa verso il basso, che necessariamente si rifletterà (anzi, già lo fa) sugli orientamenti sociali e i comportamenti elettorali.

 

 

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