Le molte norme di diritto bellico infrante in Ucraina

No, in guerra non è tutto concesso. La guerra ha le sue regole da rispettare – le avrebbe quantomeno, visto con quanta sfrontatezza il diritto internazionale umanitario è regolarmente oltraggiato nei conflitti moderni, sempre gravidi di crimini e di cadaveri di civili.

Non è concesso, per esempio, il diritto illimitato di scegliere metodi o mezzi di combattimento. In ogni tipo di conflitto e indipendentemente dalla legittimazione e dalle ragioni del ricorso alla forza, non si possono – nessuno può, in nessuna circostanza, dal momento che queste norme sono ormai cristallizzate nel diritto umanitario consuetudinario – impiegare “armi, proiettili e sostanze, nonché metodi e mezzi di guerra capaci di causare danni superflui o sofferenze inutili”, né quelli che siano “destinati a provocare, o dai quali ci si può attendere che provochino, danni diffusi, gravi e a lungo termine all’ambiente naturale”. E non è lecito neppure avvalersi di “metodi o mezzi di combattimento che non possono essere diretti contro un obiettivo militare determinato; o i cui effetti non possono essere limitati, e che sono, di conseguenza, atti a colpire indistintamente obiettivi militari e persone civili o beni di carattere civile”.

 

Numerosi trattati internazionali sono poi intervenuti a definire la messa al bando o a regolare l’utilizzo di specifiche armi nelle situazioni di confronto militare. Pensiamo, per citarne alcuni, alla Convenzione sul divieto e la limitazione dell’impiego di talune armi convenzionali “capaci di causare effetti traumatici eccessivi o di colpire in modo indiscriminato del 1980 e ai suoi Protocolli aggiuntivi. Ai pilastri dell’intero sistema di disarmo e non proliferazione delle armi di distruzione di massa, le Convenzioni sulle armi chimiche e biologiche (adottate rispettivamente nel 1993 e 1972), e il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (in vigore solo dal 2021). O, ancora, alle Convenzioni di Ottawa (del 1997) e Oslo (del 2008) che hanno sancito i divieti d’uso, detenzione, produzione e trasferimento, nonché l’obbligo di distruzione degli stock esistenti, di mine anti-persona e munizioni a grappolo.

Sebbene nessuno di questi accordi sia stato siglato né tantomeno ratificato da tutti i governi del mondo, molti di essi hanno finito assai spesso per definire regole fattesi parte integrante del diritto consuetudinario. E allora a nessuno è oggi concesso di impiegare, tra le altre, armi velenose, chimiche o biologiche, piuttosto che proiettili dum dum (i proiettili a espansione, conosciuti con il nome dell’Arsenale controllato dall’esercito coloniale inglese di stanza in India, quello di Dum Dum appunto, in cui furono progettati e prodotti alla fine XIX secolo) o armi laser accecanti. E rispetto a molte armi convenzionali sussistono limitazioni d’uso specifiche che non è permesso ad alcuno di violare, come è il caso delle armi incendiarie che non possono essere usate in funzione anti-persona o delle trappole esplosive che è proibito siano “in qualsiasi modo legate o associate a beni o persone aventi diritto a protezione speciale [..] o a oggetti che potrebbero attirare i civili”.

Infine, o innanzitutto, i principi di umanità e distinzione (con i suoi corollari, la proporzionalità e la precauzione) marcano le fondamenta del diritto bellico moderno e definiscono i limiti d’uso in conflitto di ogni tipo di arma. E neanche questi è concesso ignorare.

Insomma, anche nelle dinamiche intrinsecamente distruttive di un conflitto armato c’è una linea rossa segnata nella coscienza giuridica della comunità internazionale che resta invalicabile. E questo vale, varrebbe, anche per il conflitto d’Ucraina. Per le forze armate russe, e per quelle di Kiev.

 

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Dall’alba di questa guerra, però, si rincorrono le notizie di presunte violazioni al riguardo. Di mese in mese, quella linea rossa sembra spostarsi un po’ più in là. Fléchettes, bombe termo-bariche e munizioni incendiarie (comprese bombe al fosforo) usate nei pressi di insediamenti civili, munizioni chimiche, trappole esplosive piazzate nei giocattoli, nelle auto, nei cadaveri abbandonati. Sembrerebbe non mancare nulla.

Non mancano, soprattutto, mine e munizioni a grappolo. Armi tanto controverse quanto letali.

A nemmeno sessanta giorni dall’inizio del conflitto, il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, aveva già dichiarato: “in Ucraina, l’eredità di un solo mese di guerra – sotto forma di ordigni inesplosi, mine terrestri e munizioni a grappolo – richiederà decenni per essere affrontata, minacciando vite umane molto tempo dopo che le armi taceranno”. Un anno più tardi, tanto è emerso da un dettagliato rapporto di Globsec, l’Ucraina si era trasformata nel più grande territorio minato al mondo, superando Paesi a lungo primatisti sulla questione come Siria e Afghanistan. Il 30% del suolo ucraino era contaminato a quel punto, e i bilanci saranno per certo da rivedere al rialzo quando le ostilità saranno chiuse.

Tante, troppe, sono mine anti-persona. Piccoli congegni esplosivi collocati al suolo, progettati “principalmente per essere fatti esplodere dalla presenza, dalla vicinanza o dal contatto di una persona e che renderanno invalide, feriranno o uccideranno una o più persone”, così le descrive l’articolo 2 della Convenzione di Ottawa.

Sono 164 i Paesi che hanno bandito quelle che Kofi Annan definiva “armi abominevoli, che giacciono in silenzio sotto terra, in attesa di uccidere o mutilare civili innocenti, di solito donne e bambini ignari”. Ma è inquietante la disinvoltura con cui queste armi inumane e indiscriminate sono state e sono ancora utilizzate nei conflitti recenti. Non fa eccezione la guerra d’Ucraina. Le province di Chernihiv, Dnipropetrov, Donetsk, Kharkiv, Kherson, Kyiv, Luhansk, Mykolaiv, Odessa, Sumy e Zaporizhia sono quelle in cui l’impiego di mine anti-persona è stato verificato. Le usano tutti.

La Russia, soprattutto. Oltre 13 diversi tipi di mine anti-persona sono state ricondotte dagli analisti di Human Rights Watch all’esercito del Cremlino. Comprese mine esplosive PMN, capaci di uccidere o, quantomeno danneggiare gravemente gli arti inferiori della vittima per l’effetto dell’onda d’urto verso l’alto che deriva dalla detonazione a pressione; e mine a frammentazione delimitata OZM-72, che all’esplosione aggiungono la proiezione di migliaia di schegge di metallo, plastica o vetro per colpire sul più ampio raggio possibile attorno alla vittima principale.

Ma anche l’Ucraina è stata più volte richiamata – ancora da Human Rights Watch – ad “agire coerentemente al suo impegno espresso a non utilizzare mine anti-persona e ad indagare sull’uso di queste armi da parte dei suoi militari; chiamare i responsabili a risponderne”. Nonostante, a differenza della Russia, il Paese sia vincolato alla Convenzione sulla messa al bando avendola ratificata nel dicembre 2005, porterebbero la firma di Kiev – questo l’esito di una dedicata indagine dell’organizzazione – le PFM-01, più note come mine farfalla o mine petalo, ripetutamente lanciate su Izium e dintorni nel corso del 2022. “Hanno avuto conseguenze immediate e devastanti per i civili, anche strappando arti ai residenti mentre svolgevano la loro vita quotidiana”, ha dichiarato al Washington Post la direttrice della divisione Crisi e conflitti HRW, Ida Sawyer.

Poi, dicevamo, ci sono le munizioni a grappolo. Rientrano nella più ampia categoria delle armi esplosive con effetti ad ampio raggio che, dirette contro le aree popolate, stanno massacrando i civili di questo conflitto (l’ultima strage, lo scorso 6 settembre: 16 uccisi da un missile russo diretto sul mercato di Kostiantynivka, nel Donetsk).

Si tratta di armi progettate e usate per “saturare l’area”, vale a dire per investire un’area molto più vasta di quanto potrebbe farsi con una singola esplosione facendovi piovere contro una serie di piccole cariche (le bomblets) rilasciate da un vettore principale (il cluster). Meno colpi, più vittime – per farla breve. E poi c’è la questione delle tante bomblets che falliscono. Restano inesplose sul terreno, lasciate ad uccidere e mutilare civili, i bambini nel 71% dei casi, non di rado persino quelli nati che ormai la guerra era finita. A più di 40 anni dalla fine della guerra del Vietnam, solo un esempio tra tanti, Cambogia, Laos e Vietnam continuano a registrare vittime (quasi 65 mila solo in Cambogia dal 1979) di milioni di bomblets inesplose sparse sulle linee di combattimento, e servirà ancora almeno un secolo prima che la bonifica sia completata.

Sebbene 112 Paesi del mondo, ratificando la Convenzione di Oslo (la Nigeria e il Sudan in ultimo, quest’anno), le abbiano dichiarate illegali per la loro capacità di causare “danni inaccettabili ai civili”, il loro utilizzo nel conflitto d’Ucraina è ben noto dal giorno zero, ed è stato sdoganato lo scorso luglio con l’avvio della fornitura statunitense a Kiev (almeno formalmente accompagnata da una serie di precise limitazioni d’impiego) deciso nonostante la ferma opposizione da parte dei gruppi per i diritti umani e dell’ONU, come anche la posizione contraria di diversi governi (Cambogia e Laos, non a caso, tra gli altri), compresi gli alleati a favore dello sforzo bellico ucraino (il Canada, il più deciso sostenitore di Kiev, per esempio. E poi Regno Unito, Italia, Spagna, Germania).

È dovuto precisare che, come per le mine anti-persona, neppure sulle munizioni a grappolo grava ancora alcuno specifico divieto di natura consuetudinaria. Né tantomeno può imputarsi alla Russia, all’Ucraina (o agli USA, per il loro trasferimento) la violazione delle norme di un trattato cui non hanno mai aderito. Per contro, è largamente sostenuto che gli effetti indiscriminati prodotti inevitabilmente da quest’arma micidiale facciano del suo utilizzo in un’area abitata da civili una piena violazione del diritto internazionale umanitario e un potenziale crimine di guerra.

 

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Ecco, entrambi gli schieramenti sono stati travolti da una valanga di accuse in tal senso, lanciate prove alla mano dalle organizzazioni della società civile, dei media, persino delle Nazioni Unite. L’ultima denuncia risale a poche settimane fa: un attacco con munizioni a grappolo Smerch serie 9M55K con 72 sub-munizioni a frammentazione 9N235 sarebbe stato sferrato dall’esercito russo alle 09:55 dell’8 luglio contro un quartiere residenziale di Lyman, nel Donetsk, uccidendo nove civili e ferendone una dozzina. Prima c’erano state Vuhledar, Kharkiv, Mykolaiv, Chernihiv, Kherson. E su tutte Kramatorsk, dove l’8 aprile 2022 un missile balistico russo Tochka-U con una testata di munizioni a grappolo caduto su un’affollata stazione ferroviaria aveva lasciato sui binari 58 civili morti e oltre un centinaio di feriti. L’esercito ucraino invece le avrebbe usate soprattutto (ma non solo) nell’area di Izium, bombardando frequentemente la città e i villaggi vicini tra marzo e settembre 2022, non senza mietere vittime.

Nonostante il gran numero di eventi simili verificati – si parla di centinaia di attacchi – tanto Mosca quanto Palazzo Mariinskij continuano a rispedire le accuse al mittente. I numeri, però, raccontano tutta un’altra storia: nel 2022 l’Ucraina ha conquistato il primato mondiale per vittime da munizioni a grappolo, usate “ampiamente” dalla Russia e “in misura minore” anche dall’Ucraina. L’ultimo Cluster Munition Monitor conta lì 890 delle 1172 vittime di attacchi con munizioni a grappolo registrate a livello globale, senza considerare almeno altri 51 attacchi della stessa natura di cui morti e feriti non sono stati censiti. Il 93,3% erano civili.

È notizia delle ultime settimane che sul campo non mancheranno neppure le non meno problematiche munizioni perforanti all’uranio impoverito made in USA (comunque in dotazione all’esercito ucraino sin dallo scorso marzo, quando a dare il via alle spedizioni era stato il Regno Unito).

Sempre un po’ più in là, dunque. Intanto, il sangue di 9.614 civili morti e 17.535 feriti ha già bagnato il terreno ucraino dal 24 febbraio 2022 (dati ufficiali OHCHR aggiornati al 10 settembre 2023). Le cifre reali sono “notevolmente più elevate”, e probabilmente neanche la fine del più grande conflitto che l’Europa abbia conosciuto dalla Seconda guerra mondiale ce le consegnerà.

 

 

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