L’ambiguità strategica di Macron alla prova della Cina

Cosa pensare della missione (congiunta? parallela?) di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen in Cina alla corte di Xi Jinping? Per cominciare, dare una risposta alle due domande contenute nella parentesi non è semplice perché la visita è stata congiunta per un brevissimo periodo di tempo. Per la parte parallela il contrasto fra gli onori riservati al Presidente francese rispetto al trattamento molto più modesto della Presidente della Commissione, è stato invece visibile anche all’osservatore più distratto. Da questo punto vista, nulla di nuovo. Le autocrazie sono per principio ostili alle istituzioni europee; in parte perché non ne capiscono la logica, in parte perché preferiscono trattare con gli stati membri. Un’Europa divisa è più conveniente.

Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen

 

Associando parzialmente la Presidente della Commissione, Macron voleva dare al suo viaggio una dimensione “europea”, come fece nel 2008 Nicolas Sarkozy che si fece accompagnare da José Barroso, allora Presidente della Commissione, nel viaggio a Mosca con cui cercò di calmare la crisi creata dall’invasione russa della Georgia. Il successo “europeo” di Sarkozy fu favorito anche dal fatto che molti altri membri dell’UE e in particolare la Germania e l’Italia condividevano allora un atteggiamento conciliante nei confronti di Vladimir Putin, mentre ai nuovi membri provenienti da est non si prestava all’epoca molto ascolto. È legittimo domandarsi perché l’attuale Presidente della Commissione, molto diversa dal più compiacente Barroso, si sia prestata al gioco. Dal suo punto di vista, il risultato non è però negativo. Essere anche se parzialmente in coppia con Macron ha dato alla sua missione una risonanza mediatica che una trasferta isolata non le avrebbe garantito e ha amplificato il senso del messaggio consegnato ai cinesi; una posizione ricalcata sul discorso pronunciato alla vigilia della partenza e che rappresenta un netto indurimento della posizione europea sulla questione cinese.

La missione in Cina sarà tuttavia soprattutto ricordata per la parziale ma evidente discrepanza con il messaggio consegnato da Macron. I due leader europei hanno detto cose simili sui rapporti industriali e commerciali, nonché sull’auspicio di ottenere che la Cina eserciti una pressione su Putin per cessare l’aggressione dell’Ucraina; auspicio rimasto peraltro completamente senza risposta. La divergenza è stata invece macroscopica per quanto riguarda gli aspetti geopolitici, gli equilibri dell’Indopacifico e in particolare la fondamentale questione di Taiwan. Con un palese riferimento all’isola contestata, von der Leyen  ha chiesto con fermezza che vengano rispettati gli equilibri esistenti nel Mar della Cina. Macron ha invece scelto un colloquio con alcuni giornalisti per riaffermare la sua tradizionale rivendicazione di una “autonomia strategica” dell’Europa nel senso di evitare il vassallaggio nei confronti degli Stati Uniti in conflitti “che non ci riguardano direttamente”; anche qui il riferimento a Taiwan era evidente ma con un significato in palese contrasto con quello della Presidente della Commissione. Macron ha peraltro lasciato intendere che considerava la Cina e gli USA ugualmente responsabili di una pericolosa accelerazione delle tensioni.

L’autonomia strategica dell’Europa è da sempre il marchio di fabbrica della politica europea di Macron, proposta che peraltro si è sempre guardato dal definire con precisione. Da un certo punto di vista l’idea è semplice e non contestabile: in un mondo in rapido mutamento, l’Europa deve affermare collettivamente il proprio interesse e agire di conseguenza. Tutto ciò è abbastanza agevole da definire nelle sue implicazioni economiche e industriali. È del resto questo l’aspetto su cui si è raccolto in Europa il maggiore consenso e la maggiore convergenza. Pur fra numerose difficoltà, l’UE è infatti avviata a ridefinire la sua politica commerciale e industriale di fronte alle molteplici sfide della transizione climatica, del ritardo tecnologico, della minaccia cinese e del protezionismo americano. E’ probabile che il compromesso finale riprenderà un certo numero di idee francesi, anche se in un senso meno dirigista e protezionista di quanto preconizzato a Parigi. Macron può quindi giustamente rivendicare un successo su quel fronte.

 

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Tutto è invece molto più complicato per quanto riguarda le implicazioni geopolitiche, in particolare in rapporto agli Stati Unti e alla NATO. Si tratta in realtà di un problema francese che rimonta all’origine della costruzione europea. Nessuno ha mai dimenticato il forte contrasto fra la Francia di Charles De Gaulle e gli altri membri dell’allora CEE (Germania, Italia, Benelux) che negli anni ’60 del secolo scorso fece fallire il “piano Fouchet”, primo tentativo di coordinamento europeo nella politica estera, proprio sulla questione dei rapporti con gli Stati Uniti e la NATO. Ciò non impedì il proseguimento dell’integrazione economica, ma ritardò di parecchi decenni ogni volontà europea di politica estera comune. Il fallimento del tentativo gollista di trascinare gli altri europei sulla via del distacco dagli USA aprì in seguito la strada a un lento riavvicinamento francese alla NATO, fino alla decisione di Sarkozy, nel marzo 2009, di reintegrare le strutture militari dell’alleanza. L’effetto duraturo è stato però di dividere gli europei e di alimentare i sospetti americani verso ogni tentativo europeo di rafforzare la loro cooperazione in materia militare.

Oggi la situazione è completamente cambiata. L’integrazione economica non basta più e deve essere completata da una politica estera e di sicurezza comune. L’autonomia strategica lanciata da Macron avrebbe potuto essere l’occasione per comporre definitivamente la divisione fra europei se fosse stata formulata nel senso della costruzione di un “pilastro europeo” all’interno della NATO; un pilastro capace di dialogare con l’alleato americano se non in condizioni di parità, almeno su basi sufficienti per far valere i nostri interessi. La formulazione data da Macron, pur evitando i toni di aperto contrasto caratteristici di De Gaulle, è invece, fin dall’inizio, sufficientemente carica di ambiguità per creare più sospetti che consenso. Agli occhi dei partner europei della Francia l’autonomia strategica di Macron appare formulata in termini compatibili con l’idea del pilastro europeo della NATO, ma secondo il contesto e le circostanze anche di una volontà di distacco dagli USA. Quanto questa seconda versione sia irrealistica e velleitaria, almeno nel prevedibile futuro, è evidente a tutti. Essa è difatti oggetto di numerose smentite, ma ce n’è abbastanza per intrattenere la diffidenza.

Velleità di maggiore distacco dagli USA sono fenomeni ricorrenti nella politica europea e sono in generale funzione di vere o percepite debolezze, confusioni o errori americani. La presidenza Trump ha certamente fornito un forte impulso a queste tentazioni. Tutto è cambiato non solo con l’avvento di Joe Biden, ma soprattutto con l’aggressione russa all’Ucraina. In verità Macron ha tentato anche in quella occasione di giocare la carta dell’ambiguità, incontrando Putin pochi giorni prima dell’invasione. Le armi hanno rapidamente messo fuori gioco ogni pur lodevole velleità diplomatica. Come sappiamo, contrariamente a ciò che Putin palesemente si aspettava, intorno al sostegno all’Ucraina si è realizzata una forte unità europea e occidentale. Sforzo unitario a cui la Francia si è prontamente unita malgrado qualche intemperanza verbale sulla necessità di “non umiliare la Russia”. Molti hanno pensato che questa vicenda avesse permesso di consolidare l’unità degli europei e allo stesso tempo confermare l’impegno americano in Europa. L’altro fatto nuovo è stato l’impegno di numerosi alleati dell’America nell’Indopacifico, come Giappone, Australia e Corea del Sud, nel sostegno occidentale all’Ucraina.

Contemporaneamente e in coincidenza con il rafforzamento dei rapporti fra la Russia e la Cina, la NATO con il consenso di tutti i suoi membri ha cominciato a integrare nella sua strategia il mantenimento degli equilibri nell’Indopacifico; parallelamente, l’UE ha progressivamente indurito il suo atteggiamento verso Pechino sul piano economico ma anche geopolitico.

Si può immaginare che certi richiami alla tradizione gollista possano essere popolari in Francia, anche se questa volta critiche autorevoli non sono mancate ugualmente all’interno. All’esterno le dichiarazioni di Macron hanno invece prodotto una diffusa costernazione. L’ambiguità ha rifatto la sua apparizione nell’idea che nelle vicende asiatiche la Francia e l’Europa dovessero essere allo stesso tempo “potenze d’equilibrio ma non equidistanti”. Tutto ciò in un momento in cui negli Stati Uniti si levano voci (per ora soprattutto da parte repubblicana) per sostenere che l’impegno americano a difesa dell’Ucraina rischia di indebolire il contenimento della Cina nell’Indopacifico e reclamano un maggiore impegno europeo, finanziario e militare a sostegno della strategia della NATO. Ciò che più sorprende nelle dichiarazioni di Macron è da un lato l’affermazione che USA e Cina sarebbero ugualmente responsabili dell’aumento delle tensioni intorno a Taiwan, e dall’altro l’implicito assunto che i due teatri, Europa e Indopacifico, dovrebbero essere separati dal punto di vista degli interessi europei. Affermazione che del resto sorprende da parte dell’unico Paese europeo che ha ancora interessi territoriali nell’Indopacifico e che quindi dovrebbe nutrire giustificate preoccupazioni per l’espansionismo cinese.

Del resto, i paralleli fra la vicenda ucraina e il problema di Taiwan sono troppo numerosi per essere ignorati. Come nel caso dell’Ucraina, veri o presunti errori compiuti dall’Occidente dopo la caduta del comunismo non possono in alcun modo spiegare l’imperialismo russo, così l’eventuale tentativo di annessione violenta di Taiwan sarà interamente dettato dalla dinamica interna del nazionalismo cinese e non da vere o presunte “accelerazioni occidentali”. Nulla infatti fa temere che gli Stati Uniti si apprestino a superare la “linea rossa” da tutti accettata del riconoscimento dell’indipendenza di Taiwan. Come in Europa, anche in Asia l’unico modo per evitare che la situazione degeneri è un’accorta combinazione di dialogo e deterrenza; elemento quest’ultimo che è mancato nei confronti della Russia di Putin con le note conseguenze. D’altronde, l’ironia della sorte ha voluto che la Cina iniziasse manovre militari molto aggressive al largo dell’isola il giorno dopo le dichiarazioni di Macron.

 

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In alcune circostanze, l’ambiguità di Macron può essere più utile della chiarezza gollista e, malgrado numerose virulente critiche dei media e del mondo politico americano, la Casa Bianca si è affrettata a minimizzare e a riaffermare la vicinanza con l’alleato. È infatti evidente che malgrado tutto Macron resta sempre quanto di meglio il complesso panorama politico francese può fornire in materia di europeismo e atlantismo. In Europa è però visibile una diffusa diffidenza. Ciò è grave perché la fiducia reciproca è da sempre il principale carburante dell’integrazione europea.

Nell’intervista di Macron, fra le altre cose sorprende l’affermazione di “aver vinto la battaglia ideologica”. In politica le idee valgono esclusivamente per gli effetti che producono. In questo caso, nessuna “autonomia strategica” dell’UE è concepibile se non è basata sul consenso di una larga maggioranza di Paesi membri. Episodi come questo pongono invece la Francia piuttosto ai margini del contesto europeo, creano incertezza invece di consenso e aumentano le divisioni invece di ridurle. Ciò è tanto più vero visto che il radicale riesame della politica tedesca indotto dall’invasione dell’Ucraina investe ormai anche una revisione, sia pure prudente e graduale, della tradizionale politica di interdipendenza economica e commerciale con la Cina. La verità è che quel tanto di consenso europeo che esiste sulla questione cinese è stato meglio espresso dalle parole della Presidente della Commissione e non del Presidente francese. Le autorità cinesi farebbero bene a tenerne conto.

Trattare l’anomalia francese sarebbe evidentemente più semplice se, come ai tempi del contrasto con De Gaulle, ci fosse una chiara unità d’intenti degli altri membri dell’UE. Purtroppo non è così. Nei prossimi anni l’economia dell’Unione Europea dovrà fare i conti con varie sfide concomitanti: la transizione climatica, il ritardo tecnologico e una ricostruzione dell’Ucraina che si preannuncia molto onerosa. Ciò condurrà inevitabilmente a complicare i rapporti nord-sud all’interno dell’UE con la necessità di scelte difficili. Più grave ancora è il mai risolto problema del rapporto est-ovest. L’integrazione dei nuovi membri non si è mai completamente realizzata; il loro rapporto con il nazionalismo e la democrazia è ancora fragile, contraddittorio e distante da quello faticosamente maturato nella parte occidentale del continente.

Con la complicazione che la mutata situazione geopolitica rende il loro ruolo assolutamente essenziale. Il tutto con la prospettiva, certo a lungo termine ma ineluttabile, di un nuovo ancora più complesso allargamento all’Ucraina, alla Moldova e ai Balcani. Le potenziali divisioni dell’Europa sono davvero importanti. Per aiutare a risolverle sarebbe davvero necessario avere una Francia al centro e non ai margini del dibattito europeo.

 

 

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