La “stablecoin” USA e i possibili impatti

Il Sen. Tim Sott[1], presidente del comitato per gli affari bancari e finanziari del senato americano, ha pubblicato un breve articolo sul Washington Examiner il 12 giugno 2025, con cui ha descritto la visione politica dietro il “Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins Act” (GENIUS Act)[2] che sarebbe stato approvato circa un mese dopo, il 18 luglio 2025, con l’entrata in vigore prevista entro 120 giorni dall’emanazione dei necessari regolamenti tecnici o 18 mesi dalla promulgazione al più tardi[3].

 

Secondo i promotori (che includono anche alcuni esponenti democratici[4]) e l’attuale amministrazione americana[5] era necessario un intervento legislativo per mettere ordine nel mondo dei sistemi di pagamento digitali e prevenire le situazioni illecite. Infatti, secondo i suoi sponsor, il GENIUS Act rafforzerebbe la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, portando le criptovalute, e, in particolare, le stablecoin a fini di pagamento, fuori da quella che era percepita come una vasta “area grigia” normativa non conforme con i moderni requisiti antiriciclaggio, migliorando la capacità del Dipartimento del Tesoro di monitorare il settore finanziario.

Ma davvero questa nuova legge è adeguata a questi obiettivi, o, piuttosto, come sollevato da alcuni oppositori, rappresenta rischi sia di trasparenza che per la politica monetaria? In effetti, il diavolo è nei dettagli: il Genius Act è un framework legislativo per regolare, sui mercati degli Stati Uniti, gli strumenti finanziari definiti come “stablecoin”, che sono una tipologia di asset digitale di carattere privatistico, utilizzabile come mezzo di pagamento. La differenza principale tra questi e le criptovalute (ad esempio il BitCoin) è che queste ultime sono prive di ogni sottostante, mentre le “stablecoin” sono garantite da panieri di titoli di stato primari o equipollenti.

 

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Ma ciò vuol dire anche che, se il settore si sviluppasse, molti emittenti di stablecoin potranno, implicitamente, fungere da stabilizzatore per le scadenze del debito americano: infatti essi dovranno detenere ingenti quantità di titoli del Tesoro, che potrebbero essere anche a breve scadenza (dati i vincoli di liquidabilità) ma finirebbero per comportarsi come i depositi delle banche, e, quindi, agli occhi del Tesoro diventare una massa di titoli detenuti quasi in perpetuo e sempre rinnovati.

Infatti, se fino ad oggi, in pratica, gli emittenti di questa tipologia di strumento agivano in una situazione di assenza di regole, e la loro accettazione dipendeva dalla fiducia del mercato negli emittenti, nel nuovo contesto, si è creato uno schema di garanzie e controlli a beneficio degli utenti americani che dovrebbe rendere molto affidabile l’utilizzo di questi strumenti. Il che implicherà, nel tempo, una probabile transizione da stablecoin da utilizzare solo come strumenti di pagamento a forme di investimento (quasi che detenerli sia simile ad un conto corrente in dollari, pur non avendo una banca necessariamente come controparte). Questo però richiederà del tempo e che non accadano gravi eventi avversi. Le previsioni di importanti società di consulenza americane come Oliver Wyman indicano un orizzonte minimo di 3-5 anni per una diffusione significativa.

Vengono, però, spontanee due considerazioni: una circa il “come”, ovvero cosa offrono le nuove stablecoin rispetto a quanto esistente per catturare la fiducia di operatori, utenti e mercati in generale (anche non americani); una seconda circa i possibili effetti collaterali di questa svolta. In particolare, se il dollaro e la politica monetaria americana ne saranno condizionati e come, se positivamente o con rischi oggi non percepibili.

Circa il primo aspetto, quello rilevante circa la “fiducia” dei mercati, va detto che i regolamenti finali delle autorità di controllo usciranno entro l’anno, per cui per ora non si può ancora dare un commento conclusivo. Però si deve riconoscere che il Genius Act prevede già che gli emittenti di “stablecoin” siano soggetti a un requisito di copertura obbligatoria del valore degli asset emessi al 100% (“one-to-one”), nella forma di asset “liquidi e di alta qualità” (come dollari statunitensi o titoli di stato del Tesoro americano), che devono essere parte di una contabilità separata (legalmente probabilmente dei trust fund creati all’uopo) trasparente, dato l’obbligo di reportistica mensile circa lo stato della composizione delle riserve – soggetto a verifica di auditor esterni – per i grandi emittenti. La legge dispone anche che i futuri emittenti abbiano una licenza (federale e statale) che li definisca “emittenti di stablecoin autorizzati” e proibisce a eventuali operatori non autorizzati di emettere stablecoin di pagamento negli Stati Uniti.

Quindi, in teoria almeno, gli emittenti avranno una qualche forma di regolamentazione, anche se meno forte di quella delle banche e, per ora almeno, priva di forme di garanzia esterne. Infatti – e si tratta di comparare strumenti molto diversi tra loro – per definizione un conto corrente bancario gode di una garanzia – negli USA quella della Federal Deposit Insurance Corporation – a determinate condizioni, mentre le stablecoin dovrebbero poter contare sulla regola dell’ “one-to-one” (a ogni stablecoin deve corrispondere valore equivalente in titoli pubblici o equipollenti). Tuttavia, già in passato si è constatato che in momenti di volatilità dei tassi i valori di liquidazione dei titoli di stato – i migliori “safe asset” – possono non corrispondere al 100% con il nominale. La crisi della Silicon Valley Bank fu determinata proprio da un problema di liquidità di questo tipo. Quindi è ipotizzabile che, almeno in una prima fase, gli emittenti di stablecoin dovranno sottoscrivere titoli di stato a breve/brevissimo termine, più immuni da rischi di deprezzamento in caso di shock sui tassi. Ma è solo un’ipotesi.

 

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Inoltre, dato che le stablecoin dovrebbero mantenere per definizione un valore stabile (l’equivalente in dollari, ad esempio, di quanto sottoscritto), ma non sono considerate in alcun modo valuta nazionale, depositi o titoli di stato (il loro sottostante) secondo la legge federale, esse non sono (nè possono essere rappresentate come tali) garantite o supportate dal governo degli Stati Uniti o da forme di assicurazione di natura legale o pubblica. Ciò implica che il rischio effettivo dell’uso di questi strumenti rientra nel settore privato a tutti gli effetti e che, mentre accettare la valuta nazionale (il dollaro) come pagamento che sciolga il pagante da ogni obbligazione legale è un dato di legge, l’accettare una stablecoin dipende dalla volontà libera del creditore (che potrebbe anche rifiutarla e chiedere la valuta legale). Questo pone dei quesiti circa la fiducia dei mercati e circa le motivazioni per utilizzarle in alternativa al canale bancario, ad esempio.

Per cui – volendo limitarsi a considerazioni di livello generale, e in attesa della prova sui mercati – la legge è certamente un grande passo in avanti, e rende più appetibili e sicuri questi strumenti, ma c’è da attendersi che servano eventuali forme di ulteriore affinamento in sede regolatoria[6] e per passare il test dei mercati.

Circa il secondo quesito, ovvero l’impatto sul dollaro, sulla politica monetaria e sulle banche americane e straniere operanti negli USA, questo è tema su cui il tempo potrà dare risposte conclusive. Tuttavia, possiamo certamente fare alcune considerazioni già ora: se i nuovi strumenti “funzionassero” e, nel tempo si assistesse alla loro trasformazione in forme alternative di detenzione della liquidità essi potrebbero fungere da fattori di allungamento della durata del debito USA, dato che gli emittenti acquisterebbero quantitativi importanti di debito che tenderebbero a rinnovare sempre, salvo crisi. Se questo avvenisse, probabilmente l’effetto sarebbe positivo per le finanze pubbliche americane, e non vi sarebbero rischi eccessivi per la politica monetaria, dato che la massa di dollari resterebbe non influenzata da questi strumenti. Forse i depositi bancari si ridurrebbero, ma non è detto che ciò non sia forse positivo per i mercati, almeno in termini di competizione.

Inoltre, se le stablecoin fossero anche detenute dall’estero, il che è probabile, questo ridurrebbe la pressione sui dollari in termini di impatti sui tassi di cambio, almeno in teoria, e, al contempo parte del debito americano detenuto nel mondo si stabilizzerebbe convertendosi in questi strumenti. Tutto bene quindi? In realtà ci sono tantissimi quesiti e aree grigie che riguardano come questi strumenti saranno utilizzati e cosa succederebbe se vi fossero shock improvvisi e conversioni di massa. Infatti, se si volesse fare un paragone storico, andrebbe considerato che il comportamento dei mercati rispetto alle stablecoin sarà probabilmente simile a quello dei detentori di dollari negli anni ’60, che premevano per convertirli in oro, dato il deficit continuo degli Stati Uniti. Alla fine, come sappiamo, proprio per queste ragioni nell’agosto 1971 l’amministrazione Nixon decise di sospendere indefinitamente la convertibilità del dollaro in oro.

In conclusione, oggi è difficile prevedere se questi strumenti avranno successo o resteranno marginali, e se il loro successo eventuale sarà interno agli Stati Uniti o diventerà internazionale come forse l’amministrazione americana spererebbe. E andrebbe poi compreso se la regolamentazione bancaria ne sarà condizionata: infatti, il detenere titoli di stato in bilancio per le banche non costituisce impegno di capitale, ma detenere stablecoin anche se garantite sui titoli non dovrebbe consentire la stessa situazione, dato che vi è un rischio di controparte e un rischio potenziale di liquidità.

Inoltre, vi sono importanti aree del mondo – a cominciare dall’eurozona – dove le banche centrali stanno lanciando versioni digitali delle loro valute ufficiali: si dovrà qui verificare se i mercati preferiranno tali strumenti – con le loro implicite garanzie, quindi comparabili al denaro contante – o vedranno nella flessibilità internazionale delle stablecoin, specie come strumento di pagamento verso e per le aree del mondo meno “banchizzate”, un valore tale da compensare almeno parzialmente i possibili rischi.

 

 


Note:

[1] Per la pagina ufficiale del sen. Scott in cui anticipa il tema vedi: https://www.scott.senate.gov/media-center/press-releases/sen-scott-champions-historic-senate-passage-of-genius-act/ – va aggiunto che la proposta originale del Genius Act veniva soprattutto dal sen. Bill Hagerty (R-KY), che la aveva presentata formalmente il 4 febbraio 2025 riprendendo idee già emerse precedentemente (https://www.congress.gov/bill/119th-congress/senate-bill/394).

[2] Per il testo finale della legge si veda: https://www.govinfo.gov/content/pkg/PLAW-119publ27/pdf/PLAW-119publ27.pdf

[3] Vedi: https://www.orrick.com/en/Insights/2025/07/Stablecoin-Framework-Signed-into-Law

[4] Tra essi i Sen. Kirsten Gillibrand (D-NY) e Angela Alsobrooks (D-MD).

[5] Fact Sheet: President Donald J. Trump Signs GENIUS Act into Law – The White House

[6] Dati i passaggi di attuazione previsti dal dispositivo legale, che richiedono una serie di provvedimenti da parte dei regolatori americani, le fattispecie definite nel GENIUS Act saranno formalmente in vigore entro i 18 mesi dalla firma del presidente (18 luglio 2025) o, se la data è precedente, 120 giorni dopo che le disposizioni regolatorie e attuative finali saranno state  ufficializzate dai regolatori federali competenti sulle stablecoin.

 

 

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