Ad una settimana dal referendum con il quale il popolo britannico ha votato in favore dell’abbandono dell’Unione europea, le istituzioni comunitarie e alcuni governi degli Stati membri incalzano Londra a intavolare il prima possibile i negoziati per definire i termini della fuoriuscita – e dunque le condizioni alle quali almeno parte del diritto UE potrà continuare ad applicarsi nel Regno Unito.
Mentre Oltremanica il n.10 di Downing Street prende tempo, a Bruxelles e Berlino si comincia a ragionare su quali possano essere gli scenari praticabili non soltanto da un punto di vista tecnico-giuridico, ma anche e soprattutto politico, in modo da mantenere Londra nell’orbita europea senza per questo autorizzare fenomeni di cherry-picking. Così li ha chiamati la Cancelliera parlando al Bundestag, riferendosi al rischio di incentivare altri Stati membri a seguire la stessa strada di comodo.
A questo proposito, poche ore dopo aver appreso l’esito del voto, i quotidiani tedeschi hanno rilanciato la notizia in base alla quale il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble avrebbe messo a punto una strategia per condurre le trattative post-Brexit con il governo britannico. Quanto finora rivelato dalla stampa lascia tuttavia credere che anche la Germania non abbia ancora assunto una posizione chiara e che sia stata presa piuttosto alla sprovvista dall’esito del referendum. Il documento del dicastero guidato da Schäuble si limita infatti ad affermazioni di principio, come la necessità di garantire al Regno Unito uno status di membro associato, senza però alcun automatismo nell’accesso al mercato unico. Per il resto, fissa alcuni punti di discussione senza alcuna proposta concreta, come la questione non priva di valore simbolico se il Regno Unito debba o meno ottenere la presidenza di turno del Consiglio UE nel 2017, o indica problemi specifici come la riorganizzazione delle missioni militari UE a partecipazione o a guida britannica.
In generale, l’atteggiamento del governo federale è stato finora abbastanza morbido e non privo di pragmatismo. Al di là delle dichiarazioni di rito con le quali la signora Merkel ha lamentato la profonda ferita subita dall’Europa a causa del referendum britannico, è prevalsa sin da subito la volontà di non drammatizzarne eccessivamente l’esito, dal momento che le conseguenze sul piano politico e giuridico non sono affatto scontate; e dipendono dalle doti diplomatiche delle controparti, non da ultimo proprio da come la Germania si porrà nei confronti della Gran Bretagna nei prossimi mesi.
D’altra parte, la Cancelliera tedesca non ha mai fatto mistero di preferire un’Europa a due velocità rispetto a un’unione forzata di Stati membri che si mettono di traverso rispetto all’adozione di alcune decisioni gradite a Berlino. Allo stesso modo, anche Wolfgang Schäuble viene spesso ricordato in Europa per il documento scritto nel 1994 con uno dei teorici della politica europea della CDU, Karl Lamers, sulla necessità di seguire geometrie variabili e creare una “Kerneuropa”, ossia un nocciolo duro di Stati membri che approfondiscano l’integrazione prima e di più degli altri. A questo proposito, il partito socialdemocratico vorrebbe cogliere al volo l’esito del referendum per riannodare i fili ormai sciolti del dibattito sulla “ever closer Union” insieme con Francia, Italia e Benelux. Al momento, tuttavia, il Partito Cristianodemocratico e quello Cristianosociale frenano, vedendo nel Brexit accelerato un rischio di disintegrazione ulteriore dell’Unione più che un’occasione per una rinnovata tensione unitaria.
A dirla tutta, Angela Merkel e Wolfgang Schäuble guardano intanto con scetticismo al connubio franco-italiano, in quanto sospettato di voler approfittare della fuoriuscita del Regno Unito per dirigere l’UE verso lidi più cari alla socialdemocrazia, ossia per modificare il Patto di Stabilità e Crescita e mitigare le politiche di austerità con nuovi interventi di stampo keynesiano.
Come già accaduto in passato, la Cancelliera gioca quindi non soltanto una partita europea, bensì anche una partita di politica interna, non da ultimo in vista delle prossime elezioni federali che si terranno nel settembre 2017: accelerare troppo i tempi della fuoriuscita del Regno Unito provocherebbe da un lato un contraccolpo piuttosto pesante per il PIL tedesco (calcoli di questi giorni dei principali istituti economici parlano di mezzo punto percentuale all’anno) mentre, dal punto di vista politico, significherebbe regalare ulteriore spazio di manovra agli avversari della SPD, momentaneamente alleati nella grande coalizione.
Ecco perché la cabina di regia sul Brexit è passata immediatamente al Ministero delle Finanze e non a quello degli Esteri; intanto, la signora Merkel, a differenza dei Presidenti della Commissione europea e del Parlamento europeo, ha preferito mantenere un profilo basso, usare toni concilianti e non punitivi, senza perciò invitare formalmente il governo britannico ad attivare la procedura di cui all’art. 50 TUE, bensì lasciando il tempo necessario al Regno Unito per un eventuale ripensamento.