Volodymyr Zelensky non può più sperare di vincere solo sul piano militare. Se vorrà negoziare una pace in tempi relativamente rapidi, non riuscirà ad imporla ma dovrà a un certo punto trattare con Mosca, in modo diretto o indiretto. Voci ufficiose sostengono che un compromesso territoriale non viene più escluso a priori da Kiev. Il punto decisivo è che, per contemplare un accordo da posizioni favorevoli, l’Ucraina deve prima recuperare terreno militare. Conteranno i nuovi aiuti da Washington (il pacchetto da 60 miliardi di dollari, approvato in extremis dal Senato con luce verde di Donald Trump), la disponibilità dei sistemi d’arma promessi e l’autorizzazione a colpire con missili americani e britannici obiettivi limitati in Russia. Esiste qualche primo segnale, sul campo, di ripresa ucraina. Intanto l’America ha firmato con Kiev un accordo di sicurezza bilaterale: meno impegnativo di quanto Zelensky potesse sperare ma che comunque prevede una cooperazione militare decennale. Altre garanzie verranno dal prossimo vertice NATO di luglio.
Dopo mesi di ritardi, Europa e Stati Uniti aumentano anche la pressione economica. Il G7 ha finalmente approvato l’accordo di massima per utilizzare i profitti delle riserve congelate della Banca centrale di Russia come garanzia di prestiti all’Ucraina (per circa 50 miliardi di dollari). Kiev, in grave difficoltà finanziaria, sta intanto cercando di negoziare con il Fondo Monetario Internazionale un accordo di ristrutturazione del debito.
Attraverso impegni a lungo termine, gli alleati di Kiev cercano di “isolare” il sostegno all’Ucraina dalle scosse interne ai sistemi politici occidentali. Così da dimostrare al Cremlino che il tempo non gioca a favore della Russia. A Mosca conviene davvero scommettere su una guerra lunga? Europa e USA tentano di provare il contrario, obbligando Putin a porsi seriamente il problema delle conseguenze della guerra su un sistema militare-industriale già messo a dura prova. La logica di questa pressione ricorda la prima guerra fredda.
Rispetto ad allora, però, Pechino gioca oggi con Mosca. Fino a quando Xi Jinping riterrà di potere trarre vantaggi dal conflitto in Ucraina, la pressione euro-atlantica avrà effetti parziali. Si può smuovere la Cina? Secondo Washington, un modo di farlo è di aumentare il prezzo dell’appoggio cinese alla Russia, con nuove sanzioni contro banche e imprese della Repubblica Popolare in affari con Mosca. Gli europei, al G7, hanno accettato l’impostazione americana ma si muovono con cautela. La Cina potrebbe in teoria convergere sui tre punti della Conferenza di Lucerna, nella prossima tappa che Riyad si è candidata a presiedere: sicurezza nucleare, sicurezza alimentare e rispetto del principio dell’integrità territoriale – lente attraverso cui Pechino difende le sue rivendicazioni su Taiwan (quale parte di un’unica Cina). L’integrità territoriale rientra del resto nelle linee per una pace in Ucraina presentate da Xi tempo fa.
Putin ha parallelamente avanzato una sua proposta massimalista (quindi una non proposta): riconoscere l’annessione alla Russia di quattro province dell’Ucraina che Mosca non controlla interamente neppure sul piano militare. Con l’Ucraina che resterebbe neutrale. Non è la premessa di una trattativa accettabile. Ma perfino il Cremlino, mentre pretende una resa, sembra consapevole che dovrà prima o poi negoziare.
Quando e come dipenderà dagli equilibri di forze sul terreno e dai costi del conflitto. Come esito di una guerra che interessa gli equilibri europei e globali, non si può escludere uno scenario di tipo “coreano” (dal precedente del cessate il fuoco del 1953 nella penisola asiatica): un armistizio negoziato, con una limitata perdita territoriale per Kiev – che la comunità internazionale non potrà in ogni caso riconoscere sul piano formale. E’ uno scenario plausibile solo se l’Ucraina indipendente otterrà solide e credibili garanzie di sicurezza occidentali; e sarà progressivamente ancorata allo spazio europeo.
*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 19/06/2024