Il summit sul clima che il Presidente Biden ha voluto organizzare il 22-23 aprile ha ottenuto almeno un successo tattico, e forse perfino strategico: la partecipazione (virtuale, come tutto il summit) dei leader di Cina e Russia, nonostante la fase piuttosto tesa dei rapporti con gli Stati Uniti. La logica sottostante a questa apparente contraddizione è stata espressa chiaramente da Washington nei giorni scorsi, quando in visita a Shanghai l’inviato speciale John Kerry ha dichiarato “We have big disagreements with China on some key issues, absolutely. But climate has to stand alone“. Una breve frase cattura così un intero approccio ai problemi globali che vedremo all’opera nei prossimi anni.
Su questo sfondo, si deve fare chiarezza su un punto che a volte viene sottovalutato: è la Cina, non certo la Russia, il punto focale delle scelte strategiche di Washington. Il governo di Pechino gestisce infatti un’economia che, dopo oltre un ventennio di crescita portentosa, ha tuttora un notevole potenziale dinamico (pur con seri problemi interni, causati in gran parte da un sistema politico sclerotico a partito unico).
La Cina è soprattutto un Paese che guarda al futuro, il che non garantisce affatto che riuscirà a plasmarlo a suo piacimento ma ne aumenta comunque l’influenza sul resto del mondo, a cominciare dall’Asia. Mosca, invece, è la capitale di una ex-superpotenza frustrata e insicura il cui PIL è oggi circa un sesto di quello cinese, con prospettive di crescita nettamente peggiori, e che sta per essere superato da quello dell’Indonesia. E’ importante ricordare questi dati di base perché è proprio l’intero assetto della geopolitica e dell’economia globale che determinerà le politiche ambientali e la transizione verso la sostenibilità.
In particolare, USA e Cina assommano circa il 45% delle emissioni globali che influenzano il clima, oltre ad essere le due maggiori economie del pianeta. Si discute molto, almeno da quattro anni, di un possibile “decoupling” proprio tra questi due giganti economici. Vi sono molte ragioni per cui un vero strappo, con una rottura totale delle lunghe filiere produttive, è in realtà poco conveniente per tutti (Europa compresa, certamente). E’ anche vero, come insegnano sia la storia sia la teoria dei giochi, che a volte l’esito dei rapporti strategici non è intenzionale e non avvantaggia in effetti nessuna delle potenze coinvolte (tranne in senso puramente relativo). Eppure si può essere cautamente ottimisti rispetto al grande dossier del cambiamento climatico e dei modelli di sviluppo sostenibile: sia Washington che Pechino hanno un fortissimo interesse a perseguire alcuni obiettivi ambientali per i quali hanno semplicemente bisogno assoluto della collaborazione reciproca.
Ciò significa che il famigerato “decoupling” si scontra quantomeno con la complessa realtà delle politiche ambientali – che a loro volta riguardano l’energia, l’industria, la tecnologia più avanzata, e in ultima analisi gli standard di vita di miliardi di persone. Il cambiamento climatico non rispetta quasi per nulla le frontiere statuali, e molte delle soluzioni finora immaginate richiedono sforzi congiunti e “regole del gioco” accettate da tutti. E’ una constatazione a cui non possono sottrarsi nemmeno i fautori dello scontro a tutto campo che avessero un ruolo decisionale a Washington o a Pechino.
Come possiamo allora descrivere le relazioni USA-Cina a seguito delle discussioni del 22-23 aprile? La risposta è ibrida: sono relazioni di competizione e cooperazione, il che non dovrebbe stupire se si comprende che il conflitto è solo uno degli esiti possibili quando ci sono interessi divergenti. In altre parole, Stati Uniti e Cina hanno iniziato a competere (anche) in un modo molto specifico, cioè in termini di qualità della vita.
Si tratta, a ben guardare, della competizione tra modelli socio-economici nella prospettiva di un nuovo modello di crescita e di sviluppo: la migliore sintesi del concetto di “soft power” per il XXI secolo. Mentre il conflitto geopolitico è pericoloso, può trasformarsi in “escalation” e sfuggire di mano, la competizione di per sé è spesso benefica. Dunque, ben venga un po’ di rincorsa USA-Cina a chi potrà intestarsi il titolo di economia più ricca, tecnologicamente avanzata e sostenibile – tenendo conto che le tre cose vanno praticamente di pari passo nel medio e lungo termine.
E’ chiaro che gli impegni politici e gli obiettivi quantitativi ad alto valore simbolico vanno valutati sulla base dei fatti. Non bastano le dichiarazioni del leader a trasformare i sistemi produttivi e le abitudini di vita. Ad esempio, la International Energy Agency nel suo ultimo rapporto prospetta che l’anno 2021 registrerà il picco storico del consumo di carbone (con la Cina come maggiore responsabile): in sostanza, nel breve termine la ripresa post-pandemia sarà sospinta soprattutto dalla più inquinante delle energie fossili. E’ vero che altri trend sono ben più incoraggianti, in particolare per la produzione di energia elettrica che si sta spostando verso le fonti rinnovabili o meno inquinanti. Il quadro mondiale è dunque davvero in transizione, e gli accordi multilaterali serviranno a orientare le scelte dei governi, delle imprese e dei consumatori.
Intanto, questo summit di aprile ha confermato che esiste quantomeno la possibilità di separare alcuni dossier globali di comune interesse dai contrasti geostrategici con una Cina fortemente nazionalista e assertiva, che certo restano preoccupanti (dal Mar cinese meridionale ai diritti umani, dalla sicurezza cyber alle risorse naturali fino alle grandi reti infrastrutturali).
Rimarcare le differenze, e talvolta anche ricorrere a sanzioni o rappresaglie mirate, non impedisce che si facciano sforzi negoziali per raggiungere compromessi. Dopo le prime settimane in carica per l’amministrazione Biden, che sono state caratterizzate da un simultaneo indurimento dei toni verso Pechino e Mosca, emerge ora un altro aspetto della proiezione globale americana che ricerca al tempo stesso alcuni “beni comuni” più che la contrapposizione. D’altra parte, la politica internazionale è spesso colorata di sfumature di grigio, e per ora il rapporto con la Cina si può definire una “pace fredda” piuttosto che uno scontro frontale – come abbiamo scritto sul numero 92 di Aspenia.
E’ essenziale adottare una visione d’insieme per comprendere appieno quanto il sistema globale (economico ma anche politico) sia interdipendente, anche se fenomeni come la pandemia tuttora in corso e appunto i cambiamenti climatici dovrebbero renderlo del tutto evidente. La difficoltà sta forse nel restare ancorati ai dati locali e più immediati pur senza dimenticare il contesto. Giusto poche ore prima che si tenesse il summit sul clima, il rover Perseverance è riuscito per la prima volta a estrarre una piccola quantità di ossigeno respirabile dall’atmosfera di Marte. E’ un fatto che ci ricorda l’importanza di guardare anche in alto e lontano.