Questo intanto significa non fare perdere Kiev: la vittoria, soprattutto nei termini definiti da Volodymyr Zelensky (il recupero di tutto il territorio nei confini del 1991, Crimea inclusa), resta un concetto elusivo. Per poter reggere al terzo anno di aggressione russa, l’Ucraina ha bisogno di un flusso stabile e garantito di munizioni e armi occidentali. Prima di tutto, nuovi sistemi di difesa aerea (fra cui un sistema italiano Samp-T), a protezione di città e infrastrutture critiche. Kiev ha anche bisogno di colpire in modo mirato le installazioni russe da cui partono gli attacchi missilistici e i droni contro l’Ucraina. E necessita di capacità aeree: i primi F-16, attesi da mesi, sono in arrivo da Danimarca e Olanda. Sul piano navale, va rafforzata la possibilità di Kiev di colpire la flotta russa per impedirle di muoversi liberamente nel Mar Nero, minacciando soprattutto Odessa.
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E’ il piano militare complessivo che la NATO intende attuare, per aumentare e razionalizzare gli aiuti. Ed è il punto assolutamente decisivo oggi, al di là degli aggettivi (la parola magica è “irreversibile”) sul futuro avvicinamento dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica. Qualunque prospettiva di membership richiede la fine della guerra. E una conclusione negoziata del conflitto – che né Kiev né Mosca riusciranno a vincere sul piano militare – sarà pensabile solo quando l’Ucraina si troverà in condizioni più favorevoli sul terreno; e quando Putin sarà convinto di non avere più margini di progresso. Queste condizioni ancora non esistono, ragione per cui iniziative isolate alla Orban servono solo agli interessi del Cremlino.
C’era poi, nell’aria calda di Washington, un’agenda implicita: gestire gli effetti di un eventuale disimpegno americano nel caso di vittoria di Donald Trump il 5 novembre. Ciò vale per gli aiuti all’Ucraina, il cui coordinamento passerà dal Pentagono alla NATO. Ma vale più in generale: andrà costruita nel tempo una NATO più europea, ossia fondata su maggiori capacità militari dei membri europei dell’Alleanza Atlantica, che si è intanto allargata a Svezia e Finlandia. E’ fondamentale capire che questa “europeizzazione” della NATO è strategicamente necessaria anche a prescindere da chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti: le priorità di Washington si sposteranno comunque verso l’Indo-pacifico e la competizione con la Cina. Mosca e Pechino sanno perfettamente che il peggiore scenario per gli Stati Uniti sarebbe un conflitto simultaneo su due fronti. E l’Alleanza Atlantica è ancora troppo asimmetrica per reggere a rischi del genere.
Per questi motivi l’Europa, con il contributo rilevante della Gran Bretagna (anche con il nuovo governo laburista), e con l’ex premier olandese Mark Rutte alla guida della NATO, dovrà rafforzare le proprie capacità di difesa a Est e di proiezione a Sud: il fianco Mediterraneo, su cui l’Italia ha richiamato giustamente l’attenzione a Washington. In breve: l’Europa dovrà essere in grado di assumersi responsabilità di sicurezza e difesa anche senza un ruolo preminente delle forze armate americane – cosa che oggi non è preparata a fare. Saranno necessari nuovi investimenti nella base industriale della difesa europea. L’Italia, con il suo livello di spesa militare (1,5% del PIL), è in ritardo rispetto a gran parte dei Paesi alleati. E’ il momento di compiere, su questo, un salto culturale e politico: la sicurezza è un investimento necessario.
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A Washington Joe Biden, che è costretto a difendere la propria sopravvivenza politica, ha sottolineato che non c’è rischio maggiore, per la sicurezza occidentale, di una vittoria della Russia in Ucraina. Pechino, che appoggia Mosca in modo ambiguo – come sottolineato dalla NATO a Washington – ne trarrebbe lezioni incoraggianti per le sue mire su Taiwan. E’ la valenza strategica, non solo europea ma globale, della partita in corso. Che d’altra parte pone all’Alleanza atlantica il dilemma di sempre: come impedire la sconfitta dell’Ucraina e dissuadere la Russia senza entrare direttamente sul terreno (ipotesi cui la stragrande maggioranza di governi e opinioni pubbliche occidentali restano contrari) e senza rischiare un’escalation con una potenza nucleare ormai apertamente revisionista. Non è un dilemma di facile soluzione: il punto è di riuscire a dimostrare in modo credibile a Putin che l’Alleanza atlantica non cederà. Mentre il prezzo del confronto, per la Russia, aumenterà. Dalla costante auto-limitazione (sulle forniture di armi e sul loro utilizzo da parte ucraina) alla dissuasione di Mosca: il vertice di Washington delinea, almeno sulla carta, i contorni di questo passaggio.
E’ abbastanza probabile che la guerra finirà con una limitata perdita territoriale di Kiev, che non verrà riconosciuta formalmente. Ma una parte preponderante dell’Ucraina avrà salva la propria indipendenza e sarà progressivamente ancorata al mondo euro-atlantico, con le garanzie di sicurezza conseguenti. Non sarà la soluzione ideale, e i costi umani saranno stati comunque molto alti. Ma se il disegno di Putin era di azzerare la sovranità e l’identità nazionale dell’Ucraina, quel disegno si sarà dimostrato fallimentare.