Il pontificato di Bergoglio letto attraverso l’enciclica Fratelli Tutti

“Perdimus Papam”. Una delle innumerevoli iconiche prime pagine con cui i media di tutto il mondo hanno commentato la morte di Jorge Mario Bergoglio coglie nel segno, meglio di altre, un aspetto centrale del papato appena concluso. E cioè la creazione, attraverso la costruzione e la diffusione di una narrativa politica e ideologica ben definita, di una precisa comunità ideale di riferimento. Oggi restata appunto come orfana: perdimus. Perché l’eredità di Francesco è soprattutto politica, e può essere colta al meglio attraverso la sua enciclica-testamento, “Fratelli Tutti”.

“Fratelli tutti”: una citazione appunto di san Francesco, che così a volte si rivolgeva al suo pubblico. Per cominciare, è utile una precisazione: il continuo richiamo al francescanesimo evoca povertà, modestia, persino ascetismo. Ma il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio sapeva benissimo che in realtà l’ordine dei francescani fu del tutto inserito nel mondo e nelle sue contraddizioni – proprio come la vita e la personalità di san Francesco, del resto. Un ordine che non rinunciava al suo posto nelle gerarchie dell’epoca, tantomeno alle proprietà, nonché alla sua capacità di influenzare non da fuori e dal basso, ma da dentro e da sopra, ad esempio dalle più prestigiose università, la cultura e il potere.

La parola d’ordine dell’enciclica è “fraternità”. Va tenuto presente un decisivo elemento di contesto: siamo nel 2020, in piena pandemia, proprio quando il papa si trovò a celebrare messa a piazza San Pietro nella più assoluta solitudine – immagine memorabile, ma anche esperienza che deve aver colpito un uomo a suo agio come pochi con le folle e con le persone. Fratelli Tutti è la terza enciclica del papa, ma l’unica globale, quasi geopolitica potremmo dire. La prima, Lumen Fidei (2013), uscì poco dopo l’insediamento, frutto della collaborazione col predecessore Joseph Ratzinger. La seconda, Laudato si’ (2015), già “francescana”, era sì politica ma concentrata su una questione, l’ambiente e la conservazione del pianeta. La quarta, Dilexit nos (2024), vira sul tema della devozione al sacro cuore di Gesù, tradotto come necessità di pietà collettiva.

Il papa officia la cerimonia del Venerdì Santo sul sagrato di San Pietro il 10 Aprile 2020

 

Il testo si divide in due parti: l’individuazione dei mali del mondo – “mali sociali”, specificatamente – e che fare per combatterli. Qui si apre un parallelismo interessante, spesso sottovalutato. Bergoglio addita l’individualismo dei privilegiati, che annega nell’indifferenza il destino dei più vulnerabili. “Il papa degli ultimi”, è stato chiamato per questi riferimenti che molti hanno in mente. Ma anche, allo stesso modo, Bergoglio condanna il populismo di chi incendia l’ira delle persone, ma soltanto per servirsi “del popolo” per il proprio tornaconto: in realtà quindi disprezzandolo, allo scopo di trascinarlo e disunirlo in tendenze regressive.

Per quanto siano parole di richiamo planetario, per comprenderne interamente la portata non va dimenticata una specifica loro dimensione: quella relativa al continente americano. Dove il cattolicesimo, tra l’altro, ha ben altra vitalità e influenza che in Europa. Attaccando l’individualismo neoliberista e il populismo conservatore, il papa attacca frontalmente quelle chiese evangeliche che in America Latina, su mandato ideologico-economico dei Repubblicani USA, hanno ormai tolto alla chiesa cattolica un terzo della sua base, e diventano sempre più influenti nelle dinamiche politiche locali. Ad esempio, furono decisive nella messa in stato d’accusa della presidente Dilma Rousseff in Brasile e nella successiva vittoria elettorale di Jair Bolsonaro. Il presidente argentino Javier Milei, che ha indetto sette giorni di lutto per la morte del papa connazionale, benché lo avesse definito “il rappresentante del demonio nella casa di dio”, alle chiese evangeliche ha tolto le tasse e regalato centinaia di milioni: alcuni loro rappresentanti sono stati eletti tra le sue fila.

Di conseguenza, con Donald Trump, un altro volto riconoscibile di questa contrapposizione, i rapporti sono stati pessimi fin da subito. Gli Stati Uniti non sono solo il punto d’origine dell’offensiva evangelica, ma anche il luogo dove decine di milioni di latinos incarnano il dilemma religioso e lo portano dritto dentro la politica della prima potenza mondiale. Nel febbraio 2016, appena insediato Trump dopo la vittoria contro Hillary Clinton, Bergoglio scrisse: “non muri, ma ponti, servono all’umanità” – il muro con il Messico era stato al centro della campagna elettorale. Il nuovo presidente rispose furioso: “Quando l’ISIS ti colpirà rimpiangerai di non avere uno come me in Vaticano”. Bergoglio continuò senza sosta a schierarsi a favore della tutela delle minoranze e dell’accoglienza degli immigrati – bersagli d’eccellenza della narrativa e della politica trumpiana anche oggi.

I rapporti non sono mai migliorati, anzi. 10 febbraio 2025: Bergoglio scrive una lettera agli arcivescovi americani. Di nuovo, Trump si è appena insediato. Il papa li esorta a difendere la dignità umana e a rifiutare l’identificazione tra immigrati e criminali, al centro della campagna elettorale contro Biden. Poco prima, la nuova Segretaria di Stato Kristi Noem, riferendosi alle persone entrate nel Paese senza permesso, aveva già detto che avrebbe “ripulito gli USA” da quella “spazzatura”. Gli arcivescovi americani denunciano in tribunale la decisione della Casa Bianca (con cui aprono una battaglia fatta di articoli, note, dichiarazioni) di togliere fondi all’assistenza agli immigrati. Il Vicepresidente JD Vance, convertito al cattolicesimo sei anni fa, tira in ballo sant’Agostino e san Tommaso per dichiarare, a fondamento delle sue politiche razziste e discriminatorie: “prima ami la tua famiglia, poi i vicini, poi la tua comunità. Il resto se proprio hai tempo”. Chi lo avrebbe mai detto: un quarto del Ventunesimo secolo, e la religione torna a dare forma allo scontro politico.

Torniamo a Fratelli Tutti. Per Vance la religione è, come per gli ultra-nazionalisti russi, un modo per indirizzare la nazione dall’alto di un governo autoritario – dice infatti che il giorno del suo battesimo è stato quello in cui è entrato a far parte “della Resistenza”, resistenza alla perdita di potere della “città di dio” dei bianchi, fondativa secondo lui dell'”America originaria”. Bergoglio, invece, a questa visione selettiva, diseguale e gerarchica, oppone e rafforza l’universalismo classico della chiesa romana: la religione come chiave per costruire “le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno”. E’ la fraternità, aperta a tutti senza eccezioni, non ai vicini e basta, che permetterà all’umanità di compiere l’impresa titanica che ha di fronte: salvare l’umanità e il pianeta.

L’amore non ha ordine, dice Roma contro Washington. Il programma è questo, il papa non si risparmia di criticare la trickle down economy e tutta la base teorica del liberismo, in modo molto puntuale. Ma scorrendo l’enciclica proteggere anziani e malati, dare assistenza ai migranti, condonare il debito ai Paesi in via di sviluppo, sradicare il razzismo e l’oppressione delle donne, farla finita con le guerre e la pena di morte, ripristinare il diritto internazionale. E già che ci siamo anche riformare l’ONU e le istituzioni economiche globali: il buon samaritano, questa la parabola ispiratrice del testo, citata da Bergoglio nelle più svariate occasioni, non può mica accollarsi tutto sulle sue spalle. Servono delle “case ospitali” in cui egli possa agire.

Ecco dunque il senso ultimo del messaggio politico di Francesco. Una religione che riappaia come guida e rifugio in un’epoca assetata di punti di riferimento. “Amore politico”, ripetuto chiaro e tondo. Una religione etimologica – “Religare”: riunire, raggrupare – contro la disgregazione originata dalle forze del caos. Il conclave che viene sarà un terreno di scontro di queste opposte tendenze.

 

 

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