C’è una caratteristica che rende il voto del 2012 parzialmente diverso dai precedenti: i nuovi dati sulla popolazione residente hanno modificato la distribuzione dei “grandi elettori” assegnati a ciascuno stato all’interno del Collegio elettorale. Attraverso i dati del censimento 2010 è stata aggiornata la composizione numerica di deputati alla Camera, dove ogni membro dell’Unione detiene un numero di seggi proporzionale ai propri abitanti (il numero totale dei seggi deve comunque essere sempre di 435). Si deve tener conto di questa situazione nel fare previsioni sull’esito delle prossime elezioni.
Diciotto stati hanno subito variazioni al numero di deputati da mandare a Washington. Otto di questi hanno guadagnato seggi (Arizona, Florida, Georgia, Nevada, South Carolina, Texas, Utah e Washington), mentre dieci stati hanno perso almeno un rappresentante (Illinois, Iowa, Louisiana, Massachusetts, Michigan, Missouri, New Jersey, New York, Ohio e Pennsylvania). Lo stato che ha maggiormente incrementato il proprio peso politico è stato il Texas, che può fregiarsi di un saldo positivo di ben quattro seggi. La Florida ha ottenuto due seggi in più, mentre New York e Ohio hanno sofferto la perdita di due rappresentanti. Tutti gli altri stati elencati hanno visto il proprio numero di seggi diminuire o aumentare di una sola unità.
Poiché il numero di grandi elettori detenuto da ciascuno stato è pari al numero dei deputati più il numero dei senatori che quello stato elegge, è evidente come il censimento decennale influenzi anche la composizione del Collegio elettorale e quindi il peso che ogni stato detiene ai fini dell’elezione presidenziale.
Per verificare i possibili effetti che la redistribuzione dei seggi potrebbe avere a livello presidenziale è utile suddividere in tre gruppi gli stati il cui numero di seggi congressuali è cambiato in seguito al censimento del 2010. Nel primo gruppo vi sono gli stati che nelle ultime tre tornate elettorali sono sempre stati conquistati dai candidati democratici, nel secondo quelli che nelle stesse elezioni hanno sempre votato repubblicano, e nel terzo quegli stati che dal 2000 al 2008 hanno prodotto esiti elettorali non uniformi e che quindi possono essere considerati come contendibili. Dall’analisi emerge come i Democratici perdano sei grandi elettori da stati che hanno sempre conquistato nelle ultime tre elezioni presidenziali (un seggio in meno in Illinois, Massachusetts, Michigan, New Jersey, Pennsylvania, due seggi in meno a New York e un solo grande elettore in più nello stato di Washington), mentre i Repubblicani ne guadagnano altrettanti (saldo positivo di un seggio in Arizona, Georgia, Louisiana, Missouri, South Carolina, Utah, quattro seggi in più in Texas). Il saldo negli stati contendibili rimarrebbe invece inalterato (con Florida e Nevada che guadagnano seggi mentre Iowa e Ohio che ne perdono). Tenendo conto quindi degli esiti delle ultime tre elezioni presidenziali, i Democratici scenderebbero a 242 seggi nel Collegio elettorale considerati come probabili a fronte dei 181 ritenuti saldamente repubblicani e dei 115 indecisi. Si tratta di un saldo che può apparire modesto nei numeri ma che, nell’ipotesi di un’elezione incerta, potrebbe rivelarsi determinante per l’esito finale.
Un’analisi accurata dei dati demografici relativi ai singoli stati americani mostra inoltre come il Collegio elettorale sia un’istituzione che abbia tendenzialmente sempre favorito i Repubblicani. L’insieme dei 50 stati e del Distretto di Columbia può anch’esso essere diviso in tre gruppi. Nel primo gruppo ci sono tutti quegli stati che nelle ultime tre elezioni hanno sempre votato repubblicano e che valgono 170 grandi elettori. Nel gruppo degli stati contendibili (che contano per 182 grandi elettori) vi sono tutti quegli stati che tra il 2000 e il 2008 hanno votato almeno una volta per uno dei candidati dei due partiti, più Michigan, Minnesota, Pennsylvania e Wisconsin, dove i risultati elettorali sono stati spesso in bilico. Infine, gli stati tradizionalmente democratici che valgono 186 grandi elettori.
Facendo riferimento ai dati di affluenza al voto delle scorse presidenziali, i 170 grandi elettori espressi dagli stati “repubblicani” rappresentano 34.718.117 elettori, i 182 grandi elettori degli stati contendibili sono espressione di 51.220.298 votanti, mentre gli stati tradizionalmente democratici eleggono 186 grandi elettori votati, nel 2008, da 45.524.707 cittadini americani. Da questo emerge come gli stati democratici assegnino in media 4,1 grandi elettori per milione di votanti a fronte dei 4,9 grandi elettori che gli stati che votano repubblicano garantiscono per ogni milione di propri elettori. Anche considerando tutti i potenziali elettori la tendenza non cambia: per ogni milione di aventi diritto al voto gli stati repubblicani esprimono 2,42 grandi elettori, gli stati contendibili 2,36, quelli democratici 2,24. In sostanza, grazie alla composizione del Collegio elettorale, i Repubblicani godono di una sovra rappresentazione di quasi il 20%.
Si tratta di una stortura derivante dai compromessi raggiunti oltre duecento anni fa in sede costituzionale. Allora, la necessità di tutelare i piccoli stati e lo spirito federale della neonata Unione diede origine a una composizione del Collegio elettorale che favorisce le zone rurali e meno abitate del paese, dato che il totale di 538 grandi elettori è intoccabile. A titolo esemplificativo, va ricordato come la California abbia una popolazione 66 volte superiore al Wyoming ma una rappresentanza nel collegio elettorale che è di sole 18 volte superiore. Poiché la gran parte di questi piccoli stati vota repubblicano, ecco spiegato il relativo vantaggio per il GOP nelle elezioni presidenziali.
Il Collegio elettorale è un’istituzione che è stata più volte oggetto di proposte di riforma, ma nessuna di esse è mai giunta a compimento. La sua rilevanza è tale che, dato il sistema winner-take-all, le caratteristiche del Collegio elettorale influenzano anche la struttura e l’organizzazione delle campagne elettorali. I candidati tendono a concentrare sforzi e risorse economiche negli stati contendibili, specie in quelli più popolosi, che assegnano un maggior numero di grandi elettori. Ne consegue che negli stati più piccoli o scarsamente contendibili le campagne dei candidati siano quasi assenti. L’attuale configurazione ha quindi significativi effetti sulla partecipazione elettorale e pone seri dubbi sulla natura democratica dell’intero sistema. Infatti, negli stati marginali, l’irrilevanza ai fini elettorali costituisce un forte disincentivo a votare. Cosa che probabilmente non accadrebbe in presenza di un meccanismo basato sul voto popolare nazionale. I sostenitori dell’attuale sistema sostengono però che il voto popolare trasferirebbe semplicemente il focus delle campagne elettorali dai grandi swing states alle città più popolose, marginalizzando le aree rurali. Un altro aspetto fondamentale dell’attuale sistema è la forte subalternità dei partiti minori. Di fatto il winner-take-all garantisce il bipartitismo a ogni livello.
Tabella 1: Elenco degli stati il cui numero dei seggi alla Camera dei Rappresentanti è cambiato in seguito al censimento del 2010.
Fonte: Nostra elaborazione su dati Usa.gov.
Tabella 2: Suddivisione degli stati americani per tradizione di voto recente (2000, 2004, 2008) e distribuzione del numero dei Grandi Elettori.
Fonte: Silver (2011).