I contorni di un’agenda politica per il team Biden

Mentre gli Stati Uniti si dividono sui risultati elettorali e il partito repubblicano conduce una battaglia di retroguardia volta probabilmente a mobilitare l’elettorato in vista del ballottaggio per i due seggi del Senato in Georgia (o con l’intento di organizzare una rivolta contro la nuova amministrazione simile a quella del Tea Party nel 2010), il president-elect Joe Biden è alle prese con la routine. Per un vincitore delle elezioni questo significa: lavorare alla propria cerchia ristretta, con il futuro chief-of-staff Ron Klain a fare da apripista e una serie di figure esperte e già sperimentate negli anni di Obama a seguire, farsi un’idea di quale sarà l’amministrazione verificando le vicende professionali e umane di centinaia di persone, lavorare a un programma dei cento giorni.

 

La nuova amministrazione in campo

Le prime nomine indicano la volontà di avere un gruppo compatto, abituato a lavorare a Washington e non troppo compromesso dalle cosiddette revolving doors, le porte girevoli che portano i politici a remunerative consulenze nel settore privato per poi tornare a fare i politici. La futura Segretario al Tesoro Janet Yellen è tra le poche figure che hanno ricoperto questo ruolo a non aver lavorato per una banca privata. L’amministrazione sarà anche molto difforme, somiglierà all’America, ma questo non ha nulla di straordinario: Cuomo, Giuliani, lo stesso Biden per fare pochi esempi, sono il prodotto di una diversità che già dal secolo scorso si è riflessa nella politica, e nei corridoi di Washington (specie tra i democratici), avere staff composti di asiatici, musulmani, donne, neri e ispanici non è affatto strano.

Janet Yellen, ex presidente della Federal Reserve

 

In testa, per forza di cose, ci sono il Coronavirus e la crisi economica da esso generata. La curva del contagio che tocca ormai soprattutto Stati che hanno votato repubblicano, potrebbe indurre il leader del Senato Mitch McConnell a concordare con la leader della Camera Nancy Pelosi e il presidente eletto un pacchetto di stimolo economico già prima dell’insediamento del 20 gennaio. L’ipotesi c’è, tutti gli esperti dicono sia urgente e necessario, ma tutti gli attori importanti faranno valutazioni sugli effetti che un eventuale compromesso avrà sul voto per i due senatori della Georgia che con il voto della vicepresidente Kamala Harris potrebbero garantire la maggioranza ai Democratici. Attenuare gli effetti della crisi attraverso l’intervento pubblico potrebbe poi favorire il neo-presidente, che nelle prime settimane si troverebbe a dover gestire una situazione meno drammatica.

Non mostrare nessuna volontà di compromesso da parte repubblicana è una buona idea o è vero il contrario? Il muro contro muro mobiliterebbe gli elettori democratici della Georgia che vedrebbero nella necessità di ottenere una maggioranza una condizione indispensabile per consentire a Biden di lavorare? Aprire a Biden significherebbe porre le basi per un ruolo più importante del Congresso e di una maggiore capacità dei Repubblicani di influenzare l’agenda dell’amministrazione. Certo, l’atteggiamento tenuto nei giorni successivi al voto lascia qualche dubbio su questa volontà di compromesso, sebbene McConnell e Biden abbiano lavorato assieme in numerose occasioni, compresi i rischi di shutdown (esercizio provvisorio) del governo federale durante la presidenza Obama.

Dal ballottaggio in Georgia tra David Perdue (a sinistra), il senatore uscente Repubblicano, e il Democratico Jon Ossoff, dipenderanno molti dei futuri equilibri del Senato e della presidenza Biden

 

A colpi di ordini esecutivi

Tralasciamo la Georgia e le trattative dunque e vediamo su cosa lavora il transition team. Innanzitutto le cose semplici: attraverso una serie di ordini esecutivi, il presidente Biden potrà disfare alcune delle scelte isolazioniste fatte dal presidente Trump, facendo tornare gli Stati Uniti nel consesso globale. I primi passi saranno dunque il ritorno nell’Organizzazione Mondiale della Sanità e negli Accordi di Parigi sul clima. Allo stesso modo si potrà intervenire su decine di regole in materia ambientale cancellate o le restrizioni in materia di immigrazione introdotte da Trump con i suoi ordini esecutivi. Si tratta di grandi temi simbolici (e non solo) che aiuteranno a restituire un poco di smalto all’immagine dell’America nel mondo.

Questo e molte altre cose si potranno fare a colpi di ordini esecutivi, per il resto molto dipenderà dalla capacità del presidente di interloquire con i Repubblicani (o dal voto della Georgia). Il difetto degli ordini firmati dal presidente, come abbiamo visto durante gli anni di Trump e la loro natura precaria: il presidente in carica ha cancellato quelli del suo predecessore e Biden farà lo stesso.

Un altro aspetto difficile da affrontare in termini politici ma sul quale forse non sarebbe difficile trovare il consenso degli americani è l’introduzione di una public option, un’assicurazione pubblica accessibile a tutti come alternativa alle assicurazioni sanitarie private. Molto difficile da far passare in Congresso, ma forse facile da far accettare agli americani: nulla cambierebbe per chi è soddisfatto della propria situazione.

 

Il clima e la carta John Kerry

Il piano più ambizioso dell’agenda Biden è quello relativo al clima. Non perché sia allo studio un Green New Deal, l’ambiziosa e poco dettagliata cornice contenuta in una risoluzione votata dalla Camera e avanzata dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez, ma perché l’idea del presidente eletto è quella di rendere il cambiamento climatico una variabile che riguarda ogni politica pubblica. Non solo potenziare le agenzie che si occupano di ambiente dunque. Un piano di infrastrutture che crei lavoro e che renda le città e le campagne meno vulnerabili ai fenomeni meteorologici estremi potrebbe essere una delle azioni più ambiziose intraprese dalla nuova amministrazione e, come si legge in un rapporto/piano operativo prodotto da un gruppo di esperti in vista delle elezioni, molte cose si possono fare riorganizzando la macchina amministrativa. Facilitare l’investimento nell’auto elettrica, introdurre norme sulle nuove costruzioni e creare una struttura simile ai Domestic Policy Council e National Economic Council.

Su questo terreno Biden potrebbe trovare un alleato in alcuni governatori repubblicani vogliosi di veder arrivare risorse federali e alle prese con gli effetti del cambiamento climatico. Ma far passare progetti di spesa ambiziosi senza un Senato a maggioranza democratica non sarà facile. La nomina di John Kerry a inviato speciale del presidente per il clima e la sua inclusione nel National Security Council sono un’indicazione di centralità della questione climatica che potrebbe divenire il tratto caratterizzante gli anni di Biden.

John Kerry e Joe Biden

 

Nel suo semi annual Financial Stability Report (novembre 2020), la Federal Reserve ha introdotto il cambiamento climatico come variabile di rischio nel lungo termine della stabilità finanziaria una scelta probabilmente promossa da Lael Brainard, unico membro del Board rimasto dagli anni di Obama. L’atteggiamento di Brainard sul clima e le sue battaglie contro il depotenziamento della legge Dodd-Frank in materia di banche e finanza non sono bastate a garantirle una nomina al Tesoro ventilata da molti: l’attenzione alla disoccupazione e le idee sulla necessità di intervento in economia in tempo di crisi hanno fatto cadere la scelta su Yellen – tra l’altro più gradita alla sinistra del partito.

 

L’ora delle scelte

Un secondo capitolo cruciale dell’amministrazione a venire riguarda il commercio internazionale. È possibile che il neo-presidente approfitti di alcune delle tariffe introdotte da Trump combinandole con incentivi alle imprese che sposteranno la produzione in America. Il tema è delicato e Biden dovrà trovare l’equilibrio tra la necessità di far rientrare le guerre commerciali accennate dall’amministrazione repubblicana e la volontà di rilanciare il settore manifatturiero. È anche, ma non solo, in questo ambito, che si giocherà il futuro dei rapporti con la Cina, la principale questione internazionale sul tavolo. L’idea di Biden sembra quella di volersi coordinare più e meglio con l’Europa e altri alleati, anch’essi preoccupati per il crescente protagonismo della Cina di Xi.

Regole per la finanza e tasse sono due aspetti delicati sui quali l’amministrazione entrante dovrà muoversi: in materia di finanza si tratta probabilmente di restituire senso e centralità alle norme introdotte sotto Obama e all’agenzia per la protezione dei consumatori di prodotti finanziari.

La vittoria dei Democratici e di Biden, lo abbiamo visto in maniera plastica ad Atlanta, Philadelphia e Detroit, è figlia del voto delle città a grande presenza di afroamericani. Si tratta di metropoli dove il tema della violenza poliziesca nei confronti dei neri è centrale. L’amministrazione Biden dovrà affrontare il tema pena rifilare l’ennesima delusione al proprio elettorato più fedele. Le idee sono soprattutto quelle di modificare le forme di addestramento, reclutare membri della polizia più legati alle comunità e magari smetterla di trasferire gli armamenti in eccesso dal Pentagono ai Dipartimenti locali – la ragione per cui talvolta i poliziotti sembrano dei soldati in tenuta da combattimento.

La legalizzazione della marijuana a livello federale svuoterebbe le carceri ed eliminerebbe un problema enorme dalle strade delle città americane. Il 3 novembre quattro Stati, per referendum, hanno votato in questa direzione, portando il numero totale degli antiproibizionisti a quindici. Nel 2022 si voterà in almeno altri sei Stati, facilitando il compito all’amministrazione. Lavorare alla trasformazione del sistema giudiziario è comunque un progetto di medio periodo, non sono solo le norme a dover cambiare, ma l’organizzazione, la cultura e il modus operandi dei singoli dipartimenti di polizia.

C’è infine l’enorme domanda relativa al settore tecnologico. Gli ambiti sono almeno tre e tutti delicati: la diffusione di informazioni false e le possibili interferenze straniere (sicurezza nazionale e anche pluralismo dell’informazione), l’oligopolio dei Big Tech che con il Coronavirus ha assunto caratteristiche nuove, la competizione con la Cina sullo sviluppo tecnologico e sulla penetrazione nei mercati internazionali (software, hardware e anche e-commerce e mercato dei dati). Ci sono pochi dubbi che la luna di miele obamiana con la Silicon Valley sia finita e su questo terreno l’amministrazione Biden potrebbe trovare consensi tra i Repubblicani.

Si tratta di una serie di questioni intrecciate tra loro e di difficile risoluzione nell’ambito nazionale e potenziali foriere di tensione con Europa e Cina. Ma anche su questo, l’amministrazione guidata da un presidente nato all’epoca della radio, dovrà svolgere un ruolo per traghettare gli Stati Uniti verso qualcosa di nuovo.

 

 

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