La strategia di “ripartenza” dei vicini più fortunati dell’Italia, come Germania e Austria, si può così sintetizzare: riaprire con nuove modalità anche i settori che comportano rischi non trascurabili, come ristorazione e scuole, perché una continuazione del lockdown produrrebbe danni insostenibili; ma tenersi pronti a tirare il freno di emergenza.
Non è chiaro se l’Italia ha una strategia. Dall’estero si ha l’impressione che il governo si lasci guidare non solo dal principio di precauzione, il che è più che comprensibile, ma anche da una tendenza a sottovalutare il pericolo di crollo di vasti settori dell’economia e a concentrarsi su soluzioni assistenzialistiche, quasi che l’emergenza coronavirus giustificasse qualsiasi livello di deficit e qualsiasi pretesa di trasferimenti di ricchezza da Nord a Sud. In effetti il neonato decreto “di aprile” è costituito in massima parte da esenzioni fiscali, indennizzi, bonus vari, certo necessari per evitare povertà e fallimenti e per stimolare la domanda, ma che offre poco in termini di rilancio di attività produttive colpite dalle restrizioni.
L’Europa è consapevole della necessità di interventi massicci, e infatti si è già mossa con i noti strumenti e con l’avvio di una riflessione sul Recovery Fund. Non c’è dubbio che maggiori risorse dovranno andare, con buona pace della Corte di Karlsruhe, ai paesi più colpiti, in primis Italia e Spagna. Ma anche le proiezioni più ottimistiche circa il volume di quegli aiuti non lasciano margini all’economia italiana per un eccessivo prolungamento della paralisi di certi settori produttivi, fra cui il turismo e la ristorazione.
Per rilanciare l’economia, l’Austria ha messo in campo un pacchetto da 38 miliardi (che a parità di popolazione corrisponderebbero per l’Italia a circa 260 miliardi), ma probabilmente verrà ancora integrato. In Germania si parla di oltre mille miliardi, e ciononostante si prevede un calo del PIL del 5-6%. Entrambi avevano prima della crisi bilanci in attivo, e non hanno mai imposto la chiusura obbligatoria delle industrie. L’Italia, che parte da una situazione pre-Covid assai meno solida, con un tasso di disoccupazione più che doppio e un sistema bancario gravato da un alto indice di crediti deteriorati, avrà bisogno di un volume di risorse in deficit dello stesso ordine di grandezza, anche se procederà speditamente – più di quanto stia facendo – a rimettere in piedi tutti i settori produttivi.
Quello più in bilico è il settore turistico, che costituisce il 6% del PIL, con l’indotto il 13%. Per un confronto: l’industria vale il 23%, l’agricoltura il 2% del PIL.
L’Austria, dove il settore ha un peso analogo, sta incoraggiando gli operatori ad attrezzarsi per salvare la stagione turistica sin dal mese prossimo, ed è riuscita a convincere la Germania, sinora riluttante, a fissare una data per l’apertura della frontiera; il 13 maggio il Ministro degli Interni tedesco Horst Seehofer ha annunciato che, a meno di un peggioramento della situazione sanitaria, da metà giugno verranno liberalizzati i viaggi con Austria, Svizzera e Francia (le altre frontiere della Germania sono già aperte). Con i turisti tedeschi assicurati, e i propri cittadini propensi a restare nel paese, il settore alberghiero austriaco conta su una stagione molto positiva. Quanto al turismo in uscita, si prevede che si sblocchi entro giugno verso la Croazia e in luglio verso la Grecia. Italia e Spagna sono esplicitamente escluse dai piani attuali.
Il governo italiano prende tempo anche per quanto riguarda il turismo interno, e punta ad una apertura ritardata della stagione, proprio quando la necessità di diluire gli assembramenti ne consiglierebbe la dilatazione.
Per gli stabilimenti balneari sono ora state elaborate regole adeguate. Non potendosi tornare alle spiagge sovraffollate delle altre estati, l’offerta sarà ridotta, e in base alle leggi del mercato è giusto che i prezzi salgano. Molte famiglie che durante il lockdown hanno risparmiato su cene al ristorante, viaggi e benzina saranno disposte a pagare di più per ombrellone e lettini. Il bonus vacanze per le famiglie meno abbienti va nella direzione opposta.
E’ auspicabile che si pensi anche a regole che rendano sicuri e attraenti i soggiorni in località montane. Sia per le vacanze al mare che per quelle in montagna un primo passo deve essere lo sblocco degli spostamenti da regione a regione. Un passo che il Governo ritiene al momento prematuro.
Il turismo domestico occupa più di metà del settore, ma anche quello di provenienza estera è importante, soprattutto per certe regioni. Se non lo si vuole abbandonare a priori per tutto il 2020 (come sembra rassegnato a fare il Presidente del Consiglio Conte, ma si può sperare in un ripensamento), sono necessari almeno due presupposti: primo, che l’apertura sia preceduta da un periodo di collaudo riservato alla clientela domestica, tale da dare una immagine di normalizzazione e di efficienza (siamo quindi già in ritardo); secondo, che si passi al più presto ad una differenziazione su base regionale.
La distinzione fra zone verdi e rosse è stata già adottata in Francia; in Germania i Laender si muovono in ordine sparso, avendo tassi di infezione molto diversi. Ancorare la Sardegna, la Sicilia e la Calabria ai destini della Lombardia avrebbe un costo economico e sociale ingiustificato.
Quando, in ipotesi, avremo sbloccato l’arrivo in queste regioni di villeggianti dal Lazio e da altre parti d’Italia, ad eccezione di zone dichiarate “rosse”, non ci sarà una ragione logica per proteggerle dall’afflusso di turisti da Germania, Austria, o Svizzera.
Al contrario, dovremmo puntare a convincere quei governi che determinate regioni italiane vanno messe sullo stesso piano delle isole greche, del Portogallo, della Croazia, nostri concorrenti che forse già a partire dal prossimo luglio sperano di accogliere i turisti tedeschi. I quali devono essere invitati a venire in Alto Adige, non dirottati sul Tirolo austriaco.
Un’opinione, questa, esattamente antitetica a quella espressa, più autorevolmente, dal presidente Conte in conferenza stampa. La sua aspettativa che tutti i paesi dell’Unione si sentano in dovere di tenere chiuse le loro frontiere fino a quando il Nord-Italia sarà sfebbrato, o che Roma possa decidere per gli altri (“non lo permetteremo!”), non appare però realistica. Anche Bruxelles è favorevole ad un ripristino graduale dello spazio Schengen.