Nei primi giorni dell’anno, Total ha deciso di evacuare il personale straniero del Mozambique LNG Project dalla penisola di Afungi, nella provincia mozambicana di Cabo Delgado, dove il colosso energetico francese è impegnato nello sviluppo di un giacimento offshore di gas naturale valutato 16,5 miliardi di euro. La decisione è giunta in seguito ad alcuni attacchi sferrati a pochi chilometri di distanza dal cantiere, lo scorso dicembre, dai jihadisti che da oltre tre anni insanguinano i distretti settentrionali e orientali della provincia.
Il conflitto in corso vede contrapposte le Forze Armate di Difesa del Mozambico, cioè quelle ufficiali dello Stato, e il gruppo armato Ansar al-Sunna, noto tra la popolazione anche come al-Shaabab pur non essendo affiliato all’omonima formazione somala. L’organizzazione terrorista è nata come movimento religioso nel 2015, a opera di seguaci di un predicatore radicale keniota, Aboud Rogo Mohammed. Lo scontro armato è cominciato due anni dopo con l’assalto a tre stazioni di polizia nella città costiera di Mocímboa da Praia, e da allora si è costantemente intensificato.
Le forze armate mozambicane non riescono a fermare gli insorti, alcune migliaia di miliziani divisi in gruppi autonomi, che hanno anzi aumentato il numero di attacchi e inflitto una cocente umiliazione ai soldati di Maputo; hanno infatti occupato, seppur temporaneamente, diverse città compresa Mocímboa da Praia, poco distante dalla frontiera settentrionale con la Tanzania. L’ingaggio da parte del governo anche di truppe mercenarie, prima i russi del Wagner Group e poi i sudafricani del Dyck Advisory Group, non è stato sufficiente a compensare la mancanza di risorse e di morale delle truppe ufficiali. Il capo dei contractor Lionel Dyck, nel corso di un’intervista rilasciata lo scorso anno, ha dichiarato che l’esercito nazionale “non è preparato e dispone di poche risorse” mentre “il nemico è organizzato, motivato e ben equipaggiato”.[1]
La guerra ha causato a oggi almeno 2.400 morti e oltre mezzo milione di sfollati, di cui molti fuggiti nelle vicine provincie di Nampula e Niassa dove si teme potrebbe espandersi la violenza. I jihadisti si sono macchiati di atrocità che includono massacri di civili, decapitazioni, mutilazioni e atti di cannibalismo. Le truppe governative e le milizie di autodifesa locali si sono purtroppo abbandonate anch’esse a episodi di violenza gratuita, come esecuzioni sommarie e stupri a danno di civili sospettati di connivenza col nemico.
C’è una molteplicità di cause interconnesse dietro lo scoppio dell’insurrezione e il suo virulento sviluppo. Cabo Delgado è tra le regioni più povere del paese, nonostante l’abbondanza di terre fertili e la presenza sia del giacimento di gas di Afungi sia della miniera di rubini di Montepuez, considerata la più redditizia al mondo. La popolazione non ha beneficiato delle concessioni pagate dalle aziende straniere per il loro sfruttamento: anzi, per realizzare le strutture minerarie industriali il governo ha sfrattato migliaia di minatori, contadini e pescatori.
Cabo Delgado e Niassa sono inoltre le uniche due province del paese con una maggioranza musulmana, concentrata soprattutto lungo la fascia costiera[2]. La rabbia per l’emarginazione economica e politica è stata dunque intercettata dai predicatori salafiti, che hanno accusato il clero locale di servilismo verso il governo e promesso maggiore equità economica una volta instaurato un regime islamico.
Ansar al-Sunna, pur rimanendo una formazione mozambicana, è collegata alle reti regionali salafite e jihadiste, nell’ambito del fenomeno che l’analista Brian M. Perkins ha efficacemente definito come “impollinazione incrociata” dei gruppi armati dell’Africa orientale[3]. Avrebbe ricevuto addestratori da due formazioni veterane dell’islamismo armato, le Allied Democratic Forces ugandesi e gli al-Shabaab somali, e tra le sue fila sono presenti combattenti tanzaniani, ugandesi e congolesi. Lo Stato Islamico ha inoltre rivendicato alcuni degli attacchi avvenuti in Mozambico a partire dal 2018, attribuendoli al suo wilāyāt (provincia) dell’Africa Centrale, ma non è chiaro se ad aderire al Califfato sia stata l’intera organizzazione o solo alcuni suoi gruppi.
Dietro all’ideologia islamista di queste formazioni però si accompagna, o si nasconde, il controllo di lucrosi traffici illeciti e i miliziani di Cabo Delgado non fanno eccezione. Secondo César Guedes, rappresentante in Mozambico dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, l’insurrezione è alimentata dai trafficanti di eroina, che “preferiscono una situazione instabile, perché possono gestire meglio i tempi e i luoghi per lo spostamento della droga”. Il conflitto inoltre, distrae polizia ed esercito, che “non prestano più attenzione al narcotraffico. Ancora meno adesso, con il Covid-19”[4].
Il Mozambico è uno snodo cruciale della rotta meridionale dell’eroina afgana, importata via mare dal Pakistan. Le frontiere porose e mal sorvegliate, l’assenza di una marina o di una guardia costiera realmente funzionante e uno dei tassi di corruzione più alti al mondo lo rendono ideale dal punto di vista dei criminali. La sua importanza è in aumento, perché Kenya e Tanzania, altri importanti hub di smistamento, hanno intensificato la lotta al narcotraffico e hanno chiuso le frontiere per mesi durante la pandemia. La droga viene fatta sbarcare nei porti di Cabo Delgado, per poi essere contrabbandata via terra nel confinante Sud Africa e da lì spedita in Europa. Si stima che ogni anno transitino per il paese oltre 40 tonnellate di eroina, che con un prezzo medio di 20 milioni di dollari a tonnellata rendono il derivato dell’oppio la seconda esportazione nazionale più redditizia dopo il carbone. Tra profitti dei trafficanti e mazzette a funzionari pubblici, 2 milioni di dollari a tonnellata vanno inoltre a contribuire all’economia mozambicana[5].
Il narcotraffico in Mozambico è cominciato dopo la fine della guerra civile nel 1992, quando il paese è tornato a essere percorribile in sicurezza, ed è stato dominato da alcune famiglie di origine pakistana. Il pesce più grosso è ancora oggi il miliardario Mohamed Bachir Suleman, che per le sue attività illecite è stato anche sanzionato dall’amministrazione Obama nel 2010. Secondo un rapporto del 2018 dell’ENACT, il progetto europeo di monitoraggio del crimine in Africa, la leadership del FRELIMO, il partito al governo del Mozambico ininterrottamente dal giorno dell’indipendenza, avrebbe tollerato e protetto i trafficanti per anni in cambio di ricche tangenti e della garanzia che il prodotto non sarebbe stato smerciato sul suolo nazionale. Suleman avrebbe avuto rapporti strettissimi in particolare con l’ex presidente Armando Guebuza, in carica dal 2005 al 2015[6].
Il successore di Guebuza, l’attuale presidente Filipe Nyusi, parrebbe però incline a voler limitare i traffici illeciti e la corruzione. La concomitante diffusione di una buona copertura telefonica nel nord-est del paese ha quindi determinato la “uberizzazione” del traffico di eroina in Mozambico[7]. Le operazioni vengono gestite tramite Whatsapp o altre chat criptate da boss residenti principalmente a Dubai, che si affidano a una rete locale con controllori pakistani e manovalanza tanzaniana o mozambicana che lavora a chiamata. Questa formula decentralizzata rende i trafficanti meno dipendenti dal potere politico, dato che la corruzione avviene direttamente al livello più basso con i poliziotti e le guardie frontaliere. Vale la pena notare che, secondo alcune testimonianze, tra i primi miliziani di Ansar al-Sunna vi sarebbero stati proprio ex membri delle forze dell’ordine, in rotta col governo dopo essere stati licenziati.
Si ritiene che i jihadisti siano in rapporti d’affari con i narcotrafficanti in attività a Cabo Delgado, imponendo loro una tassa in cambio di protezione, analogamente a come accadeva in Colombia nei territori controllati dalle FARC (l’organizzazione di guerriglia di ispirazione marxista-leninista). Secondo testimonianze indirette, le proprietà dei trafficanti di Mocímboa da Praia non sarebbero state danneggiate durante gli attacchi alla città e i criminali avrebbero effettuato delle “donazioni” ai miliziani già nelle prime fasi dell’insurrezione[8]. I guerriglieri si finanziano anche col contrabbando di oro e di rubini, estratti illegalmente nella riserva naturale di Niassa e nella miniera di Montepuez.
La comunità internazionale ha a lungo ignorato il narcotraffico del Mozambico, preferendo concentrarsi sui suoi ricchi giacimenti di gas naturale. L’insurrezione ha però allarmato i paesi occidentali che, accanto alla cooperazione militare, si stanno muovendo per combattere anche il business della droga. Si è mossa anche l’Italia: il 29 gennaio il Ministero dell’Interno ha presentato il progetto di cooperazione “Rotta del Sud” teso a rafforzare il coordinamento tra i Paesi dell’area sud-orientale dell’Africa, tra cui il Mozambico, interessati dalla direttrice di traffico dell’eroina afgana[9].
Note:
[1] “Colonel Dyck And The Fight For Northern Mozambique”, H. Wessels, Africaunauthorised.com, 12 luglio 2020 https://africaunauthorised.com/?p=3383
[2] “Religion is shaping Cabo Delgado civil” in “MOZAMBIQUE News reports & clippings 484”, J. Hanlon, 30 aprile 2020
[3] “The Cross Pollination of East Africa’s Armed Groups” in “Terrorism Monitor Volume: 17 Issue: 22”, Brian M. Perkins, Jamestown Foundation, 18 novembre 2019
[4] “Mozambique: UN Official Blames Terrorism On Drug Trafficking”, AllAfrica.com, 8 giugno 2020, https://allafrica.com/stories/202006080902.html
[5] “The Uberization of Mozambique’s heroin trade” in “Working Paper Series, No. 18-190”, J. Hanlon, London School of Economics and Political Science (LSE), luglio 2018
[6] “The Heroin Coast”, S. Haysom, P. Gastrow e M. Shaw, ENACT, giugno 2018
[7] J. Hanlon, ibid.
[8] “CIVIL SOCIETY OBSERVATORY OF ILLICIT ECONOMIES IN EASTERN AND SOUTHERN AFRICA”, Global Initiative, aprile-maggio 2020
[9] “Rotta del Sud”: contro il traffico di eroina al via la cooperazione con gli stati dell’Africa sud-orientale”, interno.gov.it, 29 gennaio 2021 http://www.interno.gov.it/it/notizie/rotta-sud-contro-traffico-eroina-cooperazione-stati-dellafrica-sud-orientale