L’emergenza sanitaria è ancora in corso, cionondimeno possiamo fin d’ora trarre qualche spunto di riflessione dalla strategia dispiegata contro il Covid-19 da paesi che per i risultati ottenuti sono meritevoli di assurgere a best practice.
Cos’hanno in comune Taiwan, Singapore, Corea del Sud, Israele: un sistema fatto di regole e procedure ben congegnate e perfettamente allineate agli strumenti più avanzati dell’innovazione tecnologica: Big Data, metodi di rilevazione accurati, controlli basati sull’intelligenza artificiale.
Sistemi a confronto. Conoscere per deliberare, questo è il segreto, di einaudiana memoria. Quanto più si dispone di dati accurati e aggiornati, tanto più si è in grado di grado di prendere decisioni mirate ed efficaci, destinate ad avere il minor impatto negativo sulla società e sull’economia. A questo si devono aggiungere risorse adeguate, competenze, una catena di comando agile con una comunicazione efficace, piani e la capacità di metterli in atto rapidamente quando necessario.
Nulla si improvvisa: occorre prepararsi per tempo e vince chi riesce a fare tesoro dell’esperienza pregressa. Quasi tutti i paesi citati come modelli di riferimento disponevano infatti di piani elaborati dopo l’epidemia di SARS del 2003. Per esempio, in Corea del Sud nel 2015 un focolaio di MERS (Middle East Respiratory syndrome) aveva provocato la morte di 36 persone perché a causa della mancanza di kit per testare l’agente patogeno i pazienti infetti avevano vagato da un ospedale all’altro contribuendo al diffondersi dell’epidemia. Da allora il paese dispone di una procedura accelerata per l’approvazione dei kit di controllo.
Certo, il sostrato culturale dei paesi asiatici ha contribuito all’efficacia della strategia dispiegata: il rispetto di regole, gerarchie e autorità, risultato di una buona formazione di base e di un processo decisionale trasparente basato sulla capacità di mobilitazione della società civile.
Privacy e salute. Quale che sia in concreto la ricetta usata, con le sue innumerevoli varianti, dalla mobilitazione dei servizi segreti e delle forze d’élite dell’esercito in Israele alla centralizzazione decisionale e comunicativa di Taiwan, al cuore di ogni decisione vi è la strategia sui dati personali dei cittadini, quali scegliere e come raccoglierli, cosa farne, chi se ne occupa e per quanto tempo conservarli.
Questo risulta essere il comune denominatore, a prescindere dal livello di evoluzione e capacità tecnologica di ciascun paese. Ultimo arrivato, il Regno Unito, il cui governo sta verificando la possibilità di utilizzare la posizione del cellulare dei cittadini e altri dati sul traffico telefonico a supporto di misure atte a contrastare il diffondersi della pandemia. Ma ormai è tardi, come ha rilevato il consigliere scientifico del governo britannico, Sir Patrick Vallance.
Ogni intervento che sia efficace deve essere tempestivo e preceduto da un’accurata analisi costi-benefici. Non ci sono sistemi o modelli valevoli per tutti. Quando si decide di ricorrere a un’applicazione per il tracciamento dei contatti digitali, come si è fatto per esempio in Israele, Singapore, Corea del Sud, occorre verificarne l’adeguatezza in concreto, per esempio, in base a modalità operative e sostenibilità giuridica.
Alla tutela della salute peraltro non sono affatto di ostacolo le norme europee in tema di protezione dei dati personali, che a fronte a un’emergenza di sanità pubblica consente limitazioni al regime ordinario qualora siano necessarie, adeguate, proporzionali all’esigenza di prevenzione, nonché limitate nel tempo e non pregiudichino il contenuto essenziale dei diritti. Per la comunicazione dei dati sanitari legata alle esigenze di contenimento epidemiologico sono infatti consentite deroghe alle regole vigenti, ivi comprese limitazioni ai diritti degli interessati. Il contact tracing, vale a dire l’acquisizione dei dati di localizzazione relativi alle comunicazioni mobili è legittimo qualora tali dati siano resi anonimi o con il consenso dell’interessato.
Peraltro la tutela della salute pubblica può rientrare nell’eccezione di sicurezza nazionale o pubblica. In tal caso, come conferma la giurisprudenza CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo), i poteri di sorveglianza e raccolta dei dati devono essere esercitati in base a regole chiare, precise e conoscibili, gli interventi previsti necessari e proporzionati per obiettivi legittimi, devono sussistere sia un meccanismo di supervisione sia adeguati strumenti di ricorso a disposizione dei cittadini.
È stata proprio la tutela della sicurezza a legittimare l’adozione di misure che talora si traducono in una sorveglianza generalizzata dei cittadini. Si fa riferimento in questi casi alla difesa degli interessi dello Stato come ordinamento e comunità, tema di esclusiva competenza nazionale, ai sensi dello stesso Trattato sull’Unione Europea. In tal senso la sicurezza “nazionale” si distingue dalla sicurezza pubblica, intesa come bene affidato alla autorità di polizia e solitamente riconducibile al concetto di “sicurezza e ordine pubblico”.
In ogni caso è importante che tali misure abbiano una scadenza e cessino al concludersi dell’emergenza. La cosiddetta “democrazia della sorveglianza” può essere consentita solo a condizioni e regole ben precise.
Il governo del Regno Unito, per esempio, ha fissato un termine di due anni alla durata dei poteri di emergenza attualmente in discussione innanzi al Parlamento, con la possibilità di rinnovo per sei mesi. In Israele la Corte Suprema ha confermato la decisione di consentire allo Shin Beit, i servizi di sicurezza interni, di usare i dati di geolocalizzazione dei telefoni cellulari raccolti per combattere il terrorismo a fini di contenimento della pandemia ma imponendo la supervisione parlamentare e un termine di durata delle misure.
Il potere dei dati. Il confronto fra i vari sistemi nazionali che si sono misurati con l’emergenza ha pertanto evidenziato come il successo o l’insuccesso sia dipeso dalla qualità della strategia in tema di dati. Il che chiama in causa le politiche pubbliche in tema di digitale, la consistenza delle infrastrutture digitali, la geometria dei poteri per la gestione dell’emergenza e il grado di efficienza organizzativa. Su tutto, emerge l’importanza di un sistema decisionale pubblico solido e ben strutturato, un sistema sanitario che ancorché basato sul rapporto pubblico-privato, mantenga una solida connotazione pubblica.
In tal senso l’emergenza contribuisce ad una ridefinizione dei rapporti di forza che era già in corso nel sistema economico globale, sulla scia di una linea di tendenza avviata negli Stati Uniti dal governo federale nei confronti delle piattaforme digitali e delle Big Tech.
Interessante rilevare come fra il modello statunitense, ove l’organizzazione dei dati è lasciata sostanzialmente ai privati, e quello cinese, in cui il governo esercita la sorveglianza e controllo sulle Big Tech, stia prendendo forma quello europeo. L’Unione Europea ha infatti compreso che la propria sovranità si gioca sullo sviluppo tecnologico, costruito su un equilibrato rapporto pubblico-privato e un solido sistema giuridico, a protezione dei diritti di libertà e a tutela dei suoi valori.
In tal senso pare aver recepito l’invito rivolto dall’European Council on Foreign Relations che nel suo rapporto di giugno 2019 aveva auspicato una “sovranità strategica europea” quale elemento di equilibrio anche sul piano strategico, evidenziando la stretta connessione fra obiettivi economici e tecnologici, sicurezza e concorrenza globale.
Lo conferma la recente strategia per i dati ed il Libro Bianco in tema di intelligenza artificiale, con la necessità per l’Europa di disporre di European Data Pools basati su infrastrutture che abilitano Big Data Analytics e machine learning. Ne è ulteriore dimostrazione il cantiere normativo in corso per la governance di spazi europei dei dati, con il Data Act e il Digital Service Act Package previsti per il 2021.
L’esigenza per ogni paese di disporre di un’infrastruttura tecnologica all’avanguardia in grado di rispondere alle emergenze, con un sistema socio-sanitario solido ed efficiente, hanno peraltro diffuso la consapevolezza che occorra un nuovo, ritrovato ruolo dello Stato e del potere pubblico. Uno Stato che dovrà pertanto riqualificare la propria azione con regole nuove e aggiornate (future proof) e vigilare sul loro rispetto, così da incoraggiare uno sviluppo sostenibile e garantire autodeterminazione informativa e libertà individuale.
Una nuova legittimazione, dunque, per il sistema pubblico che sarà chiamato a svolgere un ruolo fondamentale a tutela dell’interesse generale e a garanzia dei diritti individuali, affinché l’innovazione sia al servizio del benessere collettivo.