La giunta militare che governa il Burkina Faso, salita al potere il 30 settembre 2022 con un colpo di stato, ha comunicato alla Francia, antico dominatore coloniale, l’annullamento dell’accordo di assistenza militare in vigore tra i due paesi sin dal 1961. Il governo golpista del capitano Ibrahim Traoré, oggi presidente a interim, aveva già richiesto in gennaio il ritiro dal proprio territorio delle forze speciali francesi dell’operazione speciale Sabre, impegnate contro i jihadisti che oggi sono presenti nel 40% del paese. Lo stesso mese inoltre aveva rispedito nel Vecchio Continente l’ambasciatore Luc Hallade, colpevole di aver messo in dubbio le capacità del nuovo esecutivo di contrastare l’insurrezione islamista.
Traoré già all’indomani della presa del potere aveva manifestato l’intenzione di affidarsi a nuovi partner strategici che lo aiutassero a vincere il conflitto contro le milizie islamiste, che dura ormai da otto anni. Il giovane capitano aveva però un nome ben preciso in mente: la Russia. I manifestanti filogovernativi burkinabé sventolano regolarmente i tricolori russi per le strade della capitale Ouagadougou e si ritiene che Mosca abbia attivamente promosso il golpe di settembre, giocando un ruolo più attivo rispetto a un passato in cui si limitava ad approfittare di cambi di vertice in altri paesi africani. Un nome eccellente si è speso pubblicamente per lodare la giunta: l’oligarca Yevgeny Prigozhin, che ha lodato i militari burkinabé per essersi “liberati del giogo coloniale”.
Prigozhin è il fondatore del Gruppo Wagner, descritto dai media occidentali come un’organizzazione paramilitare o una società militare privata: si tratta in realtà di un termine “ombrello”, sotto cui agisce una rete di varie società di mercenari, propaganda e affari ufficiosamente al servizio del governo russo, che ne ha fatto la sua testa d’ariete per espandere la propria influenza in Africa. Nelle ultime settimane Wagner è balzato all’attenzione del grande pubblico per l’assedio di Bakhmut in Ucraina, in cui le altissime perdite subite dai paramilitari russi stanno generando per la prima volta un’incrinatura in quello che finora è stato un sodalizio inossidabile con l’esecutivo di Vladimir Putin.
Già lo scorso dicembre il presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo, ha pubblicamente accusato la giunta del Burkina Faso di aver ingaggiato i mercenari di Prigozhin in cambio della concessione di una miniera d’oro nel sud del Paese. Ouagadougou ha negato l’addebito riguardo all’ingaggio, ammettendo solo di aver sì assegnato una licenza estrattiva alla compagnia russa NordGold, che tuttavia opera già nel Paese da un decennio. A suscitare i sospetti di Akufo-Addo è stato il viaggio in Russia del primo ministro burkinabé, Apollinaire Kyelem de Tambela, avvenuto una settimana prima, durante il quale ha incontrato il Viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov al fine di rafforzare la partnership bilaterale. A margine del vertice, Bogdanov, pur negando accordi di tipo militare, aveva dichiarato che il Burkina Faso si era mostrato particolarmente interessato all’addestramento dei suoi militari da parte di “specialisti dell’antiterrorismo” russi. E proprio come “istruttori” erano arrivati i mercenari russi nel vicino Mali, a dicembre 2021, e ancora prima in Repubblica Centroafricana: altri due Stati alle prese con lunghe e indomabili guerre civili dove la Russia è riuscita a sfrattare definitivamente la Francia, sotto il profilo militare, nel corso dell’ultimo anno.
Quanto avvenuto in Burkina Faso è stata una replica pressoché esatta del caso maliano. Anche a Bamako, il 24 maggio 2021, c’è stato un colpo di stato militare, e peraltro come a Ouagadougou a pochi mesi da un golpe precedente, motivato dall’andamento insoddisfacente del conflitto contro i jihadisti.
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Complice la macchina di propaganda digitale russa, che in entrambi i casi ha sapientemente saputo amplificare vecchi rancori anticoloniali e ombre e sospetti sull’inefficacia delle truppe di Parigi stanziate nel paese, la giunta maliana ha rotto rapidamente con la Francia per spostarsi sotto l’ombrello russo: espulsione dell’ambasciatore e ritiro del contingente francesi datano rispettivamente a gennaio e aprile 2022. Oltre a schierare i suoi soldati ufficiosi sul campo di battaglia, il Cremlino ha anche fornito almeno tre consegne di armamenti all’esercito locale, compresi aerei ed elicotteri d’attacco.
Anche in Repubblica Centroafricana le truppe francesi hanno lasciato il paese nel 2022, il 15 dicembre per la precisione, dopo nove anni di presenza. I mercenari russi, chiamati dal governo locale nel 2018, sono stati citati come uno dei fattori più significativi nella decisione di Parigi di ritirarsi anche da questo territorio. I paramilitari di Wagner hanno conquistato la fiducia dell’attuale presidente Faustin Archange Touadéra a gennaio 2021, difendendo la capitale Bangui da un assalto ribelle, e la loro influenza sull’esecutivo centroafricano è tale che il capo di Stato ha dichiarato il russo come terza lingua ufficiale del paese, dopo il nativo sango e il francese, rendendone obbligatorio lo studio all’università.
La Repubblica Centroafricana è inoltre il Paese in cui la rete di Prigozhin persegue in modo più esplicito il proprio tornaconto economico, che viaggia in parallelo con gli obiettivi geopolitici del Cremlino. In particolare, lo sfruttamento a basso costo delle ingenti risorse naturali del Paese, a partire dall’oro. A gennaio, i russi hanno fatto da mediatori per un accordo tra Sudan, Ciad e Repubblica Centroafricana per riconquistare una regione di quest’ultima, al confine con gli altri due Paesi, ricca di miniere di metallo ma in mano a gruppi ribelli. Intenzioni subito tradotte in fatti, anche se con esiti inaspettati: negli stessi giorni almeno sette mercenari sono morti in un’imboscata tesa dai miliziani della Coalition des patriotes pour le changement (CPC), proprio mentre avanzavano verso i siti estrattivi contesi. Più discreto sembrerebbe essere l’approccio in Mali, dove il generale dello US Africa Command, Stephen Townsend, ha stimato ad esempio un compenso di dieci milioni di dollari al mese per l’ingaggio di Wagner da parte della giunta golpista. Sarebbe infatti il governo militare di Bamako a sfruttare le risorse minerarie per poi pagare in liquidità quanto dovuto a Prigozhin, facendo passare le transazioni come spese dei servizi di sicurezza nazionali.
I Paesi dove opera Wagner non pagano un prezzo alto solo in termini di sfruttamento delle proprie risorse naturali, ma purtroppo anche in termini di violenze sulla popolazione civile. In Mali, secondo gli esperti delle Nazioni Unite, le loro attività si svolgono in un “clima di terrore e completa impunità”. Tra le violenze più atroci, il massacro svoltosi nel corso di diversi giorni di marzo 2022 nel villaggio di Moura, dove l’esercito maliano e i paramilitari russi hanno giustiziato sommariamente centinaia di civili.
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Un’analoga violenza è avvenuta in Repubblica Centroafricana due mesi prima, causando la morte di almeno settanta abitanti dei villaggi di Aïgbado e Yanga. In generale, secondo uno studio dell’Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED), ha stimato che i civili rappresentano il 52% e il 71% delle vittime dei mercenari di Prigozhin in Repubblica Centrafricana e Mali rispettivamente, un dato superiore sia a quello delle forze armate locali sia a quello delle milizie ribelli.
È stato fatto notare che la Russia è sinora riuscita a imporsi solo in Stati sull’orlo del fallimento, con strutture statali deboli e lacerate da lunghe guerre civili; e se n’è dedotto che l’impresa non sia replicabile in Paesi in regime di pace e con istituzioni più solide. Ci sono due obiezioni che suggeriscono tuttavia di non sottovalutare il potenziale dell’influenza di Mosca in parti più larghe del continente.
In primo luogo, l’espansione del fenomeno jihadista verso il Golfo di Guinea, con Stati come Togo, Benin e Ghana che hanno registrato i primi attacchi contro posti di frontiera nei confini settentrionali, potrebbe trascinare facilmente altri paesi nella spirale distruttiva del conflitto. Questo quadro produrrebbe condizioni adatte all’ingresso delle milizie russe nei rispettivi Paesi.
Inoltre, la storia di maggior successo di Wagner in Africa è il Sudan, dunque in un diverso quadrante geografico: qui, in Africa orientale, i mercenari sono presenti sin dal 2017 senza essere impegnati in combattimento, limitandosi invece ad addestrare e rifornire di armamenti le truppe di Khartoum. L’influenza russa si è conservata anche dopo il colpo di stato del 2021, transitando dal regime islamista di Omar al-Bashir alla giunta militare dei golpisti.
In cambio dei propri servigi, gli uomini di Prigozhin hanno potuto contrabbandare in patria centinaia di tonnellate di oro, di cui il Sudan è terzo produttore africano, estratte di frodo e con la tacita compiacenza delle autorità locali. Ma il vero colpo grosso per il Cremlino è stato l’accordo stretto lo scorso 9 febbraio: in cambio di nuove forniture militari, la giunta di Khartoum ha concesso alla Russia di installare una base logistica a Port Sudan, realizzando il sogno di Putin di poter gettare un’ombra minacciosa su una delle vie marittime più trafficate del mondo.