Facendo tesoro dell’esperienza, il punto di riferimento (in negativo) per orientare le scelte alleate dovrebbe essere la formula di Bucarest del 2008, in cui la NATO di fatto giunse a un compromesso che non facilitava in ultima analisi né l’obiettivo di coltivare le relazioni di dialogo con Mosca né quello di rassicurare l’Ucraina e la Georgia (a fronte della loro richiesta di adesione, presentata già allora). Questo era il testo ufficiale del Consiglio Atlantico:
NATO welcomes Ukraine’s and Georgia’s Euro-Atlantic aspirations for membership in NATO. We agreed today that these countries will become members of NATO. Both nations have made valuable contributions to Alliance operations. We welcome the democratic reforms in Ukraine and Georgia and look forward to free and fair parliamentary elections in Georgia in May. MAP (Membership Action Plan) is the next step for Ukraine and Georgia on their direct way to membership.
Si tratta oggi di evitare precisamente quel tipo di ambiguità, accettando di trovarsi di fronte a un bivio e non a un mix di ingredienti (percorso di allargamento, partnership di altro tipo, pausa di riflessione, dialogo con la Russia) da dosare a piacimento. Purtroppo, non sempre l’ambiguità costruttiva raggiunge risultati davvero costruttivi.
L’ipotesi che potrebbe emergere da questo bivio decisionale è un modello ucraino che richiami in certa misura quello tedesco durante la guerra fredda, naturalmente con i necessari aggiustamenti e le profonde differenze di contesto, come vedremo.
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Intanto, si può partire da tre obiettivi da adottare per i membri della NATO rispetto all’Ucraina di oggi: fissare un principio, prendere un impegno credibile, tenersi a disposizione opzioni multiple.
Il primo punto è dichiarare con chiarezza che l’Ucraina ha meritato sul campo il rispetto e il sostegno fattivo dell’Alleanza, non soltanto per la sua reazione militare ma anche per le modalità della resistenza dall’attacco russo: Kyiv sta difendendo, nel cercare di salvare la sua sovranità, interessi fondamentali per la NATO e valori universali che certamente l’Occidente considera inviolabili. In tal senso, l’Ucraina ha già molte carte in regola per aspirare alla membership nella NATO – oltre al sacrosanto diritto di lavorare per integrarsi con l’Unione Europea, nelle modalità specifiche fissate della UE. Si dovrà ragionare attentamente sugli ulteriori passi tecnici e politici da richiedere a Kyiv, in particolare il “MAP”, cioè il programma preparatorio di assistenza (militare, legale, economico) che è stato applicato ai nuovi membri fin dal 2004, ed è attualmente in atto con la Bosnia-Erzegovina: un percorso accelerato e “speciale” potrebbe farne forse a meno, e si sta valutando un “bypass” nel contesto di altre rassicurazioni ma anche di una tempistica per l’adesione che resterà magari imprecisata.
Il secondo passaggio riguarda l’impegno ulteriore che l’Alleanza dovrà assumere: l’integrazione accelerata (mezzi e munizioni, tecnologie, addestramento, tattiche, intelligence) delle forze armate ucraine è in corso da mesi, e deve proseguire nel tempo affinché il Paese possa meglio difendere se stesso in futuro. La situazione attuale si configura già come una partnership speciale, il cui status potrà essere meglio formalizzato ma che intanto consente a tutte le parti interessate di accumulare esperienza preziosa.
Il terzo passaggio è ribadire che la NATO definisce le sue politiche di allargamento in modo autonomo, secondo le proprie regole decisionali e la propria tempistica. Ciò vale anche per la richiesta ucraina di adesione, che sarà valutata nel contesto più generale degli interessi dell’Alleanza, sia rispetto alla sicurezza paneuropea sia più specificamente ai futuri rapporti con la Russia.
A fare da sfondo concettuale a questo scenario diplomatico c’è la discussione in corso dal febbraio 2022 tra gli esperti, che vede anche molti “realisti duri e puri” – ad esempio Henry Kissinger – in qualche modo convertiti all’idea di un sostegno forte e senza mezzi termini per Kyiv, dopo aver criticato a lungo un certo eccesso di entusiasmo soprattutto americano nell’incoraggiare gli obiettivi del governo Zelensky – che alcuni hanno ritenuto, e altri ritengono tuttora, “massimalisti” oltre che impraticabili. Il fatto è che molti analisti e leader politici (tra i quali, appunto, gli stessi realisti più scettici o prudenti) si sono resi conto di un imperativo non aggirabile: mettere l’Ucraina in condizioni di prevenire (mediante un’efficace dissuasione) il ripetersi dell’invasione russa, cioè un “terzo atto” dopo quelli del 2014 e del 2022. Se questo diventa un obiettivo centrale, allora è chiaro che la NATO, con le sue garanzie anche “indirette” e le sue comprovate capacità di addestramento e integrazione progressiva, è un tassello fondamentale per un assetto più stabile lungo i confini russi. A maggior ragione se poi la Federazione Russa dovesse andare, come sembra ogni giorno più probabile, verso una fase di grave instabilità interna con durissime rese dei conti tra i poteri forti nel Paese.
Il problema di come gestire i rapporti con l’Ucraina che uscirà dalla guerra – largamente devastata ma con fortissime ambizioni di appartenenza europea e transatlantica – coinvolge direttamente l’intero assetto continentale. Lo dimostra, tra l’altro, la circostanza che il Parlamento Europeo ha adottato il 15 giugno una Risoluzione (425 voti a favore, 38 contrari e 42 astensioni) che auspica sia l’avvio dei negoziati con la UE e la NATO appena possibile, sia soprattutto l’immediata attivazione di un quadro temporaneo di garanzie di sicurezza. E’ chiaro insomma a tutti che vi sono esigenze urgenti sul piano della sicurezza ancor prima dei passi formali di avvicinamento all’Unione e all’Alleanza. In altre parole, è necessario adottare soluzioni creative.
Veniamo così al possibile “modello tedesco”. Va ricordato che nelle fasi convulse che segnarono la fine della guerra fredda, con l’implosione dell’URSS, si pose il problema spinosissimo di cosa fare della Germania, cioè della strana combinazione tra Repubblica Federale di Germania (la Germania Ovest) e Repubblica Democratica Tedesca (la DDR). La soluzione che emerse dopo molte incertezze fu di scartare l’ipotesi della neutralità (che, come noto, è stata spesso proposta da più parti per l’Ucraina), di confermare la piena membership della Germania federale nella NATO, e di non considerare la DDR come un “nuovo” membro ma semplicemente come una nuova parte integrante dell’unica Germania rimasta. Proprio questa modalità consentirebbe oggi alla NATO di lavorare con Kyiv a un’integrazione graduale (peraltro, come detto, già avviata) senza per questo pregiudicare lo status formale dei territori ancora occupati dalla Russia.
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Un criterio del genere è decisivo per evitare che la questione territoriale e militare (per quanto ovviamente importanti siano entrambi, al momento) condizioni l’intero dibattito interalleato: è un dibattito che dovrebbe guardare al quadro complessivo e alle prospettive future, più che al presente. Ciascun Paese membro ha le proprie legittime priorità e sensibilità, che sono già emerse più o meno ufficialmente nelle fasi di avvicinamento al Consiglio atlantico di Vilnius; una sana dialettica è utile all’Alleanza nel suo insieme proprio per costruire un consenso solido. Se comunque si fisseranno alcuni paletti strategici ben saldi, sarà poi più agevole agire con una certa flessibilità sul piano tattico.
E’ fondamentale per l’Alleanza conservare un qualche margine di manovra, invece di legarsi a doppio filo a un unico percorso predeterminato; al contempo, i valori fondanti della NATO sono un punto di forza e vanno ribaditi a fronte della sfida russa (che è anche, non dimentichiamolo, un attacco alle democrazie liberali come modello politico-sociale ed economico); infine, la deterrenza richiede chiarezza negli obiettivi ultimi e negli strumenti. Questi sono i parametri da adottare a Vilnius, orientando le scelte che andranno compiute non solo nei prossimi mesi ma nei prossimi anni.