Background: i numeri del midterm, ieri e oggi

  • Le elezioni di midterm, nelle quali si è votato per rinnovare i 435 seggi della Camera dei Rappresentanti e un terzo di quelli del Senato (33 seggi, quest’anno 37 a causa di alcune vacancies inattese), sono considerate un referendum sul Presidente in carica. Nel dopoguerra – dal 1946 a oggi si sono svolte 16 tornate di midterm – l’unica occasione nella quale il partito del Presidente ha guadagnato seggi in entrambi i rami del Congresso è stata la competizione elettorale del 2002, quando i repubblicani ottennero 2 seggi in più al Senato e 8 alla Camera. Anche Bill Clinton, nel 1998, riuscì a non perdere seggi, controbilanciando il disastro del 1994: i democratici guadagnarono 5 seggi alla Camera e non ne persero nessuno al Senato.
  • Tutti i presidenti – a esclusione dei già citati Bush e Clinton – hanno perso seggi in almeno uno dei due rami. In media, il partito del Presidente perde 28 seggi alla Camera e 4 al Senato.
  • Diversi analisti prevedono una sconfitta pesantissima per il partito democratico. In passato vi sono stati almeno cinque memorabili disastri elettorali di midterm: Harry Truman nel 1946 (- 54 alla Camera, – 12 al Senato); Dwight Eisenhower nel 1958 (- 48, – 12); Lyndon Johnson nel 1966 (- 48, – 3); Richard Nixon nel 1974 (- 48, – 3); Bill Clinton nel 1994 (- 54, – 8). In sostanza, un terzo delle elezioni di midterm tenute nel dopoguerra hanno segnato veri e propri rovesci politici, ma non si è trattato necessariamente del preavviso di una sconfitta per le presidenziali successive: Clinton e Truman furono entrambi rieletti.
  • Secondo il Center for Politics di Larry Sabato i democratici perderanno 47 seggi alla Camera e 8 o 9 al Senato; altri commentatori prevedono risultati simili (tra i 45 e 55 seggi persi per il partito del Presidente). Ne bastano 39 perché la maggioranza della Camera cambi colore. Questa sconfitta potrebbe quindi essere una delle più pesanti del dopoguerra: gli analisti tendono a comparare queste elezioni a quelle del 1994, quando Clinton – a seguito del tentativo abortito di riforma del sistema sanitario – perse in modo spettacolare; altri osservatori prendono a riferimento il 1982, quando Ronald Reagan si trovava in condizioni simili: crisi economica e un netto calo del gradimento personale. I repubblicani persero allora 26 seggi.
  • Per quanto tutti gli analisti siano concordi nel prevedere una netta sconfitta democratica, va considerato che i seggi in bilico della Camera nei quali si potrebbe decidere l’elezione per un pugno di voti sono un numero piuttosto alto, forse più di cento. È senz’altro un’anomalia per gli standard del midterm, visto che la probabilità di rielezione di un incumbent è, in condizioni “ordinarie”, del 90% circa. Nelle tornate elettorali che mantengono un trend di maggiore continuità con le ultime presidenziali i seggi in bilico non sono più di 40. Senza contare la percentuale ancora alta di votanti indecisi, circa il 30%
  • È dal 1970 che la partecipazione popolare al voto nelle elezioni di midterm non supera il 40% degli aventi diritto; nel 2006 si presentò alle urne il 37,1% degli elettori, contro il 56,8% delle presidenziali del 2008. In questa ultima occasione votarono circa 133 milioni di americani; nel 2006 gli elettori furono 80 milioni. In termini assoluti, dal dopoguerra a oggi non si era mai registrato uno scarto di partecipazione così ampio tra il voto di un’elezione di midterm e le presidenziali successive.
  • In queste elezioni, inoltre, si vota per il rinnovo di 37 governatorati statali. 19 di essi sono a guida democratica, 18 repubblicana: i sondaggi prevedono una netta vittoria del Grand Old Party, che dovrebbero garantirsi tra i 24 e i 26 stati. Il 2010 non è un anno qualsiasi: è l’anno in cui viene rilasciato il report decennale del Census Bureau, grazie al quale i governatori ridisegnano la mappa elettorale dei collegi del proprio stato in base alla nuova realtà demografica. Una prerogativa che tradizionalmente assume un carattere più politico che tecnico: il governatore in carica ha infatti il potere discrezionale di ridefinire i confini di questi collegi, influenzando così la politica federale per il decennio successivo.
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