Dopo la fine della guerra fredda l’Occidente impose alla Russia un nuovo ordine mondiale di tipo tradizionale, basato sulla forza dei vincitori e la debolezza dei vinti – un tipo di ordine in cui dominano le misure punitive. Inoltre, gli occidentali rinnegarono gli accordi presi, con l’espansione della NATO, l’annullamento dei negoziati sulla limitazione degli armamenti, il sostegno alle “rivoluzioni colorate”, le umiliazioni inflitte a Mosca nei Balcani. Insomma, la Russia è stata trattata come un “pariah” strategico.
Gli occidentali hanno dimostrato di non comprendere la logica interna della Russia e le sue possibilità di ripresa. Hanno quindi perso un’occasione storica di trasformare la Russia in partner e di contribuire alla sua europeizzazione. Sono vari i fattori che hanno trasformato la situazione: l’indebolimento degli USA, insabbiati in Medio Oriente e colpiti dalla crisi economica; le divisioni dell’Europa e gli interessi di molti suoi Stati – soprattutto la Germania, ma anche l’Italia e la Francia – di cooperare economicamente con la Russia (non solo materie prime, ma anche mercato); e soprattutto la ripresa della Russia dopo la crisi finanziaria del 1997-98, con il suo consolidamento interno e l’accumulo delle terze riserve valutarie al mondo. La Russia ha recuperato parte del terreno e prestigio perduti.
Il punto di svolta è stata la guerra dei cinque giorni in Georgia, nell’agosto 2008. Del resto, già in occasione della Wehrkunde di Monaco di Baviera del febbraio 2007, Putin aveva detto chiaramente che la Russia non avrebbe accettato ulteriori umiliazioni e ripiegamenti. Dopo la crisi georgiana gli USA hanno preso atto del mutamento dei rapporti di forza, della vulnerabilità dei nuovi membri della NATO e della propria incapacità di difenderli (come il caso georgiano ha indirettamente dimostrato), e del fatto che la NATO rischiava un collasso dato che il nucleo duro franco-tedesco dell’Europa seguiva la politica della mano tesa verso Mosca, in modo autonomo da quella degli Stati Uniti, della NATO e della stessa UE. Esempio di questo problema è stato l’incontro di Deauville dell’ottobre scorso fra Germania, Francia e Russia, nel quale Medvedev è stato invitato al vertice di Lisbona per una riunione del Consiglio NATO-Russia. Gli altri membri dell’Alleanza hanno fatto buon viso a cattivo gioco. Non è la prima volta che la NATO registri tali divergenze nei riguardi dei rapporti con la Russia, ma il clima è diverso da quello del passato. Giocano il reset delle relazioni russo-americane, il miglioramento dei rapporti fra la Russia e la Polonia, la firma del “Nuovo START”, la cooperazione russa al sostegno logistico delle forze USA e NATO in Afghanistan, la consapevolezza della difficoltà di reagire alla politica assertiva di Mosca non solo nell’“estero vicino”, ma perfino in Medio Oriente e in America Latina.
Anche da parte russa la situazione è cambiata: essa ha in realtà sempre maggior bisogno delle tecnologie, dei capitali e della collaborazione occidentale, per sviluppare la propria economia nei segmenti alti della catena del valore. In caso contrario, dovrebbe rassegnarsi a divenire un “petro-stato”, più simile ad un paese del terzo mondo (totalmente dipendente dai prezzi mondiali delle materie prime) che ad uno avanzato. Inoltre, il prezzo del petrolio potrebbe crollare con l’entrata in funzione dei giacimenti brasiliani e soprattutto di quelli della California. Lo shale gas, o magari un’intesa fra gli USA e l’Iran – che possiede le seconde riserve mondiali dell’“oro azzurro” – potrebbe non solo spuntare l’arma energetica di Mosca, ma porre in crisi le sue finanze pubbliche e il già basso tenore di vista del popolo russo.
La Russia aspira poi a tornare ad essere una superpotenza globale. “Gioca” al riguardo su diversi tavoli: non solo con la NATO, ma anche con le Repubbliche ex-sovietiche, in particolare con la CSTO (Cooperative Security Treaty Organization) – che la unisce alla Bielorussia e al Kazakstan –con la Shanghai Cooperation Organization, che copresiede con la Cina, con il gruppo dei BRIC, di cui ha organizzato la prima riunione ad Ekaterininburg lo scorso anno. Ma il declino demografico, economico, tecnologico ed anche militare (eccezion fatta per la componente nucleare), nonché la minaccia islamista ai suoi confini meridionali e la pressione cinese in Asia Centrale ed Estremo Oriente, fanno sì che le sue aspirazioni globali non siano realistiche. Sono soprattutto retorica ad uso interno. La Russia rimane invece una grande potenza regionale. Anche se le sue dimensioni, la sua storia e la sua cultura le impediscono di rinunciare a parte della sua sovranità ed a divenire membro della NATO o dell’UE, l’unica speranza di sopravvivenza della Russia è di mantenere buoni rapporti con l’Occidente, sia europeo che americano, possibilmente creandosi una “nicchia” fra i due. Dai rapporti con gli USA dipende il suo status e rango geopolitico mondiale. Da quelli con l’Europa derivano le sue possibilità di crescita economica e forse anche di sviluppo politico e sociale. Senza una normalizzazione politico-strategica, non sono prevedibili grandi investimenti né trasferimenti di tecnologie occidentali. Il programma di privatizzazioni elaborato dal ministro dell’Economia Kudrin e quello della modernizzazione e del rafforzamento della classe media, proposto da Medvedev nel documento “Avanti Russia!” del 2009, non hanno alcuna speranza di successo. I progetti di creare una Silicon Valley russa resteranno una scatola vuota. Senza una robusta modernizzazione e la collaborazione dell’Occidente, in sostanza, la Russia rischia di diventare un junior partner della Cina. Questi fatti oggettivi confermano che la partnership con la NATO sia anche per Mosca una necessità e non solo un’opzione. Lo è anche per l’Occidente: l’allargamento della NATO e la dipendenza energetica dalla Russia lo rendono vulnerabile.
Beninteso, il riavvicinamento fra la NATO e la Russia desta timori e preoccupazioni soprattutto nei paesi ex-satelliti dell’URSS. Essi temono l’indebolimento della NATO, cioè della garanzia militare americana, l’unica che – giustamente – ha per essi valore. La storia ha insegnato loro che non possono contare sugli europei occidentali. Le indecisioni e gli ammiccamenti europei al Cremlino dopo la guerra in Georgia hanno confermato la loro sfiducia. Temono inoltre che la proposta di Medvedev per un Trattato della sicurezza paneuropea non sia che un trucco per seminare zizzania e divisioni nella NATO e togliere credibilità all’impegno americano in Europa. E la loro fiducia nella stessa protezione degli Stati Uniti ha subito un duro colpo quando Obama ha deciso di eliminare lo schieramento di componenti del sistema antimissili in Polonia e in Repubblica Ceca – anche perché lo ha fatto senza consultarsi con gli interessati, che avevano avuto grosse difficoltà a persuadere le loro opinioni pubbliche ad accettare tali sistemi. Ulteriori preoccupazioni sono derivate dai tagli subiti da tutti i bilanci europei della difesa e dalle ipotesi preliminari sul progetto russo-tedesco di istituire un Consiglio Politico e di Sicurezza fra l’UE e la Russia. Ma la realtà è che i paesi ex-satelliti contano poco, e possono soltanto sperare che la NATO sia ancora una cosa seria.
Insomma, dopo il Summit NATO di Lisbona, sia l’Occidente sia la Russia hanno di fronte una potenziale svolta storica. Essa non riguarda solo i pur importanti interessi comuni di sicurezza. Per entrambi sarebbe comunque conveniente
L’interesse ad una stretta collaborazione è forte e ad ampio spettro: terrorismo, Afghanistan, Iran, criminalità, antidroga, antiproliferazione, contenimento del radicalismo islamico. Una riforma del consiglio NATO-Russia potrebbe conferirgli una capacità decisionale e dotarlo di strutture di comando, coordinamento e controllo per le missioni comuni. Ma tutto ciò presuppone la capacità di pervenire a compromessi sui punti controversi: difese antimissili; conciliazione delle contrapposte esigenze di rassicurare i paesi europei centro-orientali sulla validità dell’impegno ad una difesa collettiva (evidentemente in funzione anti-russa) e rafforzare al contempo la cooperazione con Mosca; armonizzazione dei rapporti globali russo-americani con quelli regionali russo-europei. Dovranno inoltre essere approvate nuove misure di fiducia, sicurezza e trasparaenza specie sui fianchi sud-orientale e settentrionale dell’Alleanza, adattando, per quanto possibile, il trattato CFE (cioè l’accordo sulle forze convenzionali in Europa).
La difficoltà maggiore da superare riguarda l’architettura del sistema paneuropeo di sicurezza, derivante dal rafforzamento della cooperazione NATO-Russia. Almeno due sono le soluzioni possibili: incentrarlo sulla NATO, come vorrebbero i paesi occidentali; oppure, creare una struttura ex-novo, di fatto sovraordinata all’Alleanza, come vorrebbe la Russia. Per Mosca potrebbe essere accettabile una organizzazione tripartita Russia-Europa-Stati Uniti; molto meno per gli europei, che vedrebbero allentati i legami con gli Stati Uniti. Appare invece poco probabile che la collaborazione venga centrata sul rafforzamento dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la Cooperazione in Europa), oggi in stato pre-agonico.
Il rischio più rilevante che corrono le intese di Lisbona deriva dall’incertezza sui futuri rapporti fra gli USA e la Russia. Il Senato americano sta frenando la ratifica del Nuovo START. Il blocco del trattato inasprirebbe le relazioni fra Washington e Mosca e renderebbe impraticabile una vera collaborazione da parte dell’Europa. Un secondo rischio deriva dall’evoluzione dei rapporti sino-americani. Per ora – con grande soddisfazione di Mosca, terrorizzata dalle prospettive del G2 – i rapporti fra Pechino e Washington conoscono una fase di tensione; ma rimane il fatto che fra le economie dei due paesi esiste un rapporto molto simile a quello determinato dal sistema MAD (Mutual Assured Destruction) nelle relazioni strategiche fra gli USA e l’URSS durante la guerra fredda.
In ultima analisi, la portata effettiva degli accordi NATO-Russia, conclusi a Lisbona, dipenderà dall’evoluzione geopolitica mondiale ed europea. In ogni caso, l’ulteriore sviluppo di tentativi di collaborazione è reso inevitabile sia dalle divisioni esistenti fra i membri europei della NATO, che dall’indebolimento della Russia a medio-lungo termine.