Non sono ancora chiare tutte le dinamiche dell’attentato all’aeroporto di Mosca, ma sembra probabile che l’attacco suicida sia stato effettuato da uno o più terroristi del Daghestan.
Se questa ricostruzione fosse confermata, si tratterebbe del secondo attentato con questa firma in un anno, dopo quello alla metropolitana di Mosca nel luglio 2010.
È ben oltre un decennio che la Russia combatte una sua guerra violenta contro il separatismo delle repubbliche nord-caucasiche.
Nel caso della Cecenia, la strategia di Putin si è fondata su un contrasto di estrema violenza, seguito dal tentativo, alla fine del 2000, di separare la resistenza cecena in due tronconi: il movimento nazionalista, che è stato portato dalla parte di Mosca attraverso la nomina a presidente ceceno di Ramzan Kadyrov e affidando la sicurezza alle milizie locali, invece che all’esercito russo; e il movimento islamico, che si è in gran parte spostato verso il Daghestan – come conseguenza del cambio di strategia russa.
La tesi ufficiale di Mosca, che ha il problema aggiuntivo di riuscire a gestire le Olimpiadi del 2014 a Soci, era che Putin avesse vinto la sua guerra nel Caucaso del Nord. Questa illusione è stata spazzata via dagli attentati alle infrastrutture di Mosca. La cosiddetta “stabilità”, nel Caucaso del Nord, si è dimostrata un mito.
Andrà visto come tutto ciò influirà sugli equilibri interni, in vista delle elezioni del 2012. La prima reazione, ieri, è venuta da Dmitry Medvedev, che potrebbe implicitamente addossare a Vladimir Putin gli insuccessi della lunga guerra sporca.