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Germania: i nuovi controlli alle frontiere e il governo in permanente campagna elettorale

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Lo scorso 9 settembre la ministra tedesca dell’Interno, la socialdemocratica  Nancy Faeser, ha annunciato controlli di polizia su tutte le frontiere della Germania. I controlli sono iniziati il 16 settembre e dureranno almeno fino al marzo 2025. La decisione è stata accolta dalle critiche di diversi partner UE e verrà ulteriormente dibattuta in sede europea. Il passo di Berlino, tuttavia, è stato innanzitutto il risultato di questioni politiche interne e delle enormi difficoltà del governo di Olaf Scholz dopo le recenti elezioni in tre Land orientali. L’esecutivo in formato “Semaforo” (SPD + Verdi + FDP) si muove in crisi permanente nell’orizzonte delle prossime elezioni federali tedesche, previste per il 28 settembre 2025.

 

Controlli come “misura estrema” contro terrorismo e criminalità

I controlli alle frontiere tedesche sono svolti dalla polizia federale Bundespolizei (e da altre unità distaccate allo scopo) e sono in realtà già attivi dal 2015 al confine con l’Austria e, da circa un anno, alle frontiere con Polonia, Repubblica Ceca e Svizzera. Il confine con la Francia era già stato inoltre sottoposto a controlli in occasione delle Olimpiadi. Le nuove misure, quindi, aggiungono controlli ai confini con Danimarca, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Le operazioni vengono effettuate a macchia di leopardo e a campione, interessando soprattutto le maggiori arterie autostradali. Non vengono certamente controllate le vie minori o, tantomeno, i confini boschivi o altri valichi di frontiera. Nel quadro delle regole di Schengen, un Paese può attivare controlli alla frontiera solo in caso “estremo”. La ministra  Faeser ha quindi presentato motivazioni specifiche: i pericoli del terrorismo islamista e di episodi di criminalità violenta provenienti da richiedenti asilo e migranti.

Il riferimento al terrorismo è sicuramente legato all’attentato islamista di Solingen, in Nordreno-Vestfalia, dove lo scorso 23 agosto il 26enne siriano Issa al Hasan ha assassinato 3 persone durante una festa cittadina. L’attacco è stato successivamente rivendicato dall’Isis. L’assalitore era arrivato in Germania nel 2022 tramite la rotta balcanica, non aveva ricevuto il diritto all’asilo e doveva essere teoricamente espulso verso la Bulgaria nel giugno 2023 (in quanto primo Stato UE d’ingresso, secondo il sistema di Dublino.) L’espulsione dell’uomo non era però riuscita, facendo ripartire un iter burocratico per cui, alla fine, Al Hasan si trovava ancora nel centro per richiedenti asilo di Solingen, sotto protezione sussidiaria. Dopo l’attentato, l’emergere di questi trascorsi e intoppi nelle procedure di espulsione ha acceso ancora di più il già esacerbato dibattito tedesco sull’immigrazione.

 

La logica della decisione tra Germania ed Europa

I risultati dei controlli alle frontiere tedesche sono ancora da definire meglio. Il 1° ottobre la Bundespolizei ha comunicato un primo bilancio: 2.448 ingressi non autorizzati, 1.546 persone respinte e, soprattutto, 49 trafficanti tratti in arresto. Il sindacato di polizia tedesco GdP ha però fin da subito sottolineato la mancanza di personale sufficiente e degli strumenti tecnologici necessari perché i controlli abbiano un effetto sensibile. Significativo sarà se le richieste di asilo presso l’Ufficio federale tedesco per la migrazione e i rifugiati diminuiranno nell’arco del primo mese.

Secondo il diritto europeo, chi chiede formalmente asilo alla frontiera tedesca dev’essere comunque reindirizzato all’Ufficio competente in Germania, a meno che non sia stato già in precedenza emesso un divieto di rientrare nel Paese. Segmenti dell’opposizione tedesca CDU chiedono invece una mano ancora più pesante: la Bundespolizei dovrebbe respingere alla frontiera anche chi chiede asilo e protezione, visto che questi migranti potrebbero già presentare domanda nel paese europeo da cui stanno provenendo. Si tratta di una posizione che sottolinea innanzitutto il privilegio tedesco di non trovarsi alle frontiere esterne dell’UE.

Quello che è chiaro è che i controlli e i respingimenti possono avere una loro razionalità operativa solo se sono svolti in coordinamento con gli altri Paesi europei. Pare che le attuali misure tedesche, inoltre, vengano velocemente alleggerite non appena le autorità si accorgono di creare code e ingorghi che possano danneggiare la libera circolazione intra-europea e le relative attività commerciali. Nello scenario attuale, quindi, molti trafficanti di migranti hanno ugualmente gioco facile nell’individuare le vie non controllate e i passaggi più sicuri per entrare ugualmente in Germania.

Nonostante le questioni aperte del provvedimento di Berlino e le critiche di diversi Paesi partner, è difficile immaginare un passo indietro del governo Scholz, che è mosso da questioni politiche e simboliche che già si inseriscono nella prossima campagna elettorale. L’obiettivo potrà essere mantenere i controlli attivi fino all’entrata in vigore della riforma europea del diritto d’asilo, quindi anche ben oltre le prossime elezioni in Germania del settembre 2025.

Il Cancelliere Olaf Scholz

 

La stretta dopo la batosta in Turingia e Sassonia

Oltre all’orizzonte delle prossime elezioni federali del 2025, sul breve periodo è fondamentale notare come l’annuncio di Faeser sui controlli alle frontiere sia arrivato tra le elezioni statali in Turingia e Sassonia (lo scorso 1° settembre) e quelle in Brandeburgo (avvenute il 22 settembre). La performance dell’ultra-destra di Alternative für Deutschland (AfD) in Turingia e Sassonia e la contemporanea débâcle locale dei partiti del governo nazionale è stata l’evento che ha convinto il governo Scholz a mostrare, almeno formalmente, una linea più dura sull’immigrazione. In Turingia, AfD ha vinto per la prima volta un’elezione statale tedesca, conquistando il 32,8%, ampiamente davanti alla CDU (23,6%). In Sassonia, l’ultra-destra è arrivata seconda, ma a soli 1,3 punti percentuali dalla CDU (vincente con il 31,9%). In entrambi i Land il sostegno ai partiti della coalizione del governo federale è stato palesemente basso: meno dell’11% in Turingia e meno del 14% in Sassonia (con prestazioni intorno o sotto all’1% per la FDP e il mancato ingresso dei Verdi nel parlamento della Turingia).

Dopo questi drammatici risultati nella Germania orientale, tra le file della SPD si è diffusa la paura che un disastro simile si potesse ripetere anche alle elezioni del 22 settembre in Brandeburgo, storico bastione socialdemocratico nell’ex Germania Est. L’annuncio di Faeser sui controlli alla frontiera tedesca è così arrivato, appunto, il 9 settembre. Le elezioni in Brandeburgo del 22 settembre hanno poi visto la vittoria della SPD, con il 30,9% dei voti, davanti ad AfD (29,2%). Questo risultato è stato giustamente festeggiato dai Socialdemocratici, dato che i sondaggi avevano previsto per mesi un primato dell’ultra-destra. Non è stata però realmente una vittoria di Olaf Scholz e della dirigenza SPD. Il successo in Brandeburgo è stato innanzitutto locale ed è ruotato attorno al politico SPD Dietmar Woidke, che governa il Land già dal 2013. Eloquente è come la campagna elettorale di Woidke sia stata spesso incentrata proprio sulla presa di distanza dal governo di Berlino e dalla stessa figura del Cancelliere.

Non solo: la vittoria della SPD è stata in questo caso permessa da un voto utile anti-AfD, che ha allontanato molti elettori dagli altri due partner della coalizione Semaforo. I Verdi sono così scesi al 4,1%, non riuscendo a entrare nel Parlamento locale, mentre la FDP è di nuovo scomparsa sotto all’1%. Anche il risultato in Brandeburgo, di conseguenza, non ha per niente risolto i problemi del governo federale.

 

Un Semaforo in crisi permanente

La crisi della coalizione dell’esecutivo Scholz peggiora di mese in mese. Il consenso della compagine di governo è drammaticamente basso. In una recente rilevazione, solo il 3% dei tedeschi ha detto di ritenere una coalizione SPD-Verdi-FDP buona per la Germania.

Lo scorso 25 settembre, i due leader dei Verdi, Ricarda Lang e Omid Nouripour, si sono dimessi in risposta ai pessimi risultati elettorali in Turingia, Sassonia e Brandeburgo. Il partito ecologista è in profonda difficoltà, non solo politica, ma anche ideologica. Gli ultimi sondaggi stimano i Verdi talvolta anche intorno al 10% (alle elezioni federali del 2021 era stato raggiunto il 14,8%). Una nuova dirigenza verde dovrebbe essere scelta a metà novembre e non è ancora chiaro se passerà una linea di Realpolitik o una più ideologica nel solco di una tradizione essenzialmente di sinistra. In quanto espressione più nota dell’impostazione liberal in Germania – non solo sull’ecologismo ma anche sul dossier immigrazione – i Verdi continuano a essere spesso il bersaglio preferito delle aspre critiche contro il governo di Scholz.

 

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Anche all’interno della FDP, ad esempio, l’alleanza coi Verdi viene ripetutamente indicata come la causa principale della continua perdita di consensi per i Liberali. Secondo gli attuali sondaggi, la FDP potrebbe finire sotto lo sbarramento del 5% e rischierebbe così di non entrare nel prossimo Bundestag. Nel 2021 i Liberali avevano conquistato l’11,5% dei voti, ma, dopo tre anni in un governo di sinistra-centro, il partito sembra aver perso il contatto con il suo elettorato di centro-destra liberale. Il leader della FDP e ministro delle Finanze, Christian Lindner, ha ora annunciato la necessità di un serio confronto autunnale nel governo, su temi come immigrazione, economia e finanze pubbliche. E’ però a questo punto difficile immaginare soluzioni o compromessi solidi tra tre partiti che hanno già il bisogno disperato di profilarsi per le prossime elezioni. E potrebbe addirittura arrivare un punto in cui, per la FDP, staccare la spina del governo sia il solo “rebranding” utile in vista del voto federale.

Da parte sua, la SPD è data attualmente dai sondaggi intorno al 15%, in terza posizione, ben lontana dal 25,7% della vittoria nel 2021. I Socialdemocratici dovranno decidere nei prossimi mesi se puntare ancora davvero su Olaf Scholz per le elezioni del 2025. Da tempo si rincorrono voci di una possibile sostituzione di Scholz come Cancelliere o, almeno, come prossimo candidato, in favore del ministro della Difesa Boris Pistorius, il cui consenso popolare resta più alto di quello del capo del governo.

Il ministro della Difesa Boris Pistorius durante una visita sul campo alle truppe tedesche

 

L’incognita americana

Anche le elezioni americane di questo novembre potranno avere effetti sull’ultimo anno dell’esecutivo tedesco e, certamente, sulle prossime elezioni per il Bundestag. Il governo di Berlino non nasconde troppo di preferire un passaggio di consegne Biden-Harris, pur preparandosi a un’eventuale vittoria di Donald Trump. Sul fronte dell’opposizione, una vittoria di Trump potrebbe invece invogliare la CDU a compiere con più decisione una mutazione ideologico-culturale maggiormente nazional-conservatrice e più apertamente post-liberale, in preparazione di una convivenza difficile ma non certo impossibile con una Washington diversa.

La CDU viene attualmente sondata come partito vincente alle prossime elezioni tedesche, con oltre il 30% dei voti, davanti ad AfD (stimata solitamente come secondo partito, con circa il 17-20%). Il leader CDU, Friedrich Merz, mira da tempo a una linea che riporti il partito a destra, dimenticando l’ultra-centrismo merkeliano. Lo scopo di Merz è attrarre gli elettori che desiderano evitare AfD, ma che chiedono lo stesso politiche di immigrazione più severe, una riduzione delle norme ambientali per i privati e per i processi produttivi, un approccio economico non di sinistra al welfare e alla spesa pubblica.

 

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L’attuale scenario politico tedesco resta comunque ancora molto incerto, soprattutto per quelle che potranno essere le coalizioni di governo dopo il settembre 2025. Anche la dimensione della conflittualità politica tra i partiti tradizionali e AfD potrà svilupparsi ulteriormente, con segmenti (probabilmente minoritari) dei primi intenzionati a chiedere una formale messa al bando dell’ultra-destra.

Intanto, così come la recente decisione sui controlli alle frontiere, tutte le prossime mosse del governo Scholz dovranno d’ora in poi essere lette attraverso la lente dell’avvicinarsi delle elezioni federali. Ammesso, e non concesso, che l’esecutivo di Berlino non si trovi così in difficoltà da doversi sciogliere anticipatamente.