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Nuove dinamiche energetiche nel Sud-est asiatico

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La domanda di energia nel Sud-est asiatico, considerando i soli paesi dell’ASEAN, è aumentata negli ultimi 20 anni di circa il 3% all’anno e si prevede una continua crescita fino al 2030 (Southeast Asia Energy Outlook 2022). Secondo le previsioni redatte da S&P Global, soddisfare questa domanda comporterà un aumento dell’utilizzo dei combustibili fossili del 35%: di conseguenza, i Paesi della regione stanno rivedendo i propri obiettivi climatici definiti durante la conferenza COP26, tra cui il raggiungimento della carbon neutrality entro il 2050 con l’idea di posticiparla tra il 2050 e il 2065. La scelta è motivata dall’ingente costo del passaggio alle rinnovabili e dal tempo che richiederebbe creare tecnologie e infrastrutture adatte al loro utilizzo, fattori che pesano in aggiunta alla crisi energetica originata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina – che hanno complicato e reso più caro l’accesso a tutte le fonti energetiche.

L’area metropolitana di Bangkok

 

Possiamo parlare quindi di una nuova fase per la geopolitica dell’energia in quest’area del mondo: i piani di riduzione delle emissioni di carbonio erano stati una caratteristica comune delle strategie climatiche di molti Paesi del Sud-est asiatico. A questo si aggiunge la difficile congiuntura storico-politica: la pandemia da Covid-19 ha inciso negativamente sulla supply chain; l’invasione russa dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni internazionali hanno reso le risorse energetiche meno disponibili e soprattutto meno accessibili. Così i Paesi della regione entrano nelle dinamiche europee di approvvigionamento dell’energia diventandone un diretto concorrente. Ne è un esempio il mercato del gas naturale liquefatto (GNL): la ricerca europea di alternative al gas dei gasdotti russi spinge gli acquirenti europei verso il GNL facendone salire i prezzi che diventano troppo elevati per i Paesi del Sud-est asiatico, i quali stanno strutturando risposte alternative per garantirsi la sicurezza energetica[1].

Una strategia è quella di rafforzare la cooperazione multilaterale in un’ottica energetica per rendere più efficienti le misure dei singoli Stati. L’ASEAN Plan of Action for Energy Cooperation (APAEC) ha proprio l’obiettivo di potenziare la rete elettrica dei Paesi dell’ASEAN e sviluppare la piattaforma multilaterale del commercio dell’energia. Attraverso questa cooperazione, per esempio, l’energia in surplus del Laos potrà essere acquistata da paesi con economie avanzate a medio reddito come Malesia e Singapore. Inoltre, la rete elettrica potrà attingere dalle fattorie a energia solare del Vietnam, dalle strutture ad energia idroelettrica del Laos e dalle pale eoliche offshore della Thailandia. Un altro progetto che segue l’idea di un sistema multilaterale è  la Lao PDR–Thailand–Malaysia–Singapore Power Integration Project (LTMS-PIP). Attraverso questa cooperazione il Laos potrà esportare fino 100 MW verso Singapore attraverso la Thailandia e la Malesia utilizzando le infrastrutture esistenti. Altri progetti ancora coinvolgono l’Indonesia che punta a esportare energia solare verso Singapore e il Laos che vorrebbe arrivare ad esportare energia eolica al Vietnam.

In opposizione a quanto sopra, un’altra strategia utilizzata è quella di muoversi in maniera autonoma cercando di utilizzare al meglio le proprie risorse interne e impiegarle per produrre energia, come fanno Indonesia e Cina puntando molto sul carbone, di cui hanno grande abbondanza. In Cina, il 14° Piano Quinquennale per il Sistema Energetico Moderno elimina i tetti di limite al consumo di carbone e sottolinea invece il ruolo del carbone nell’assicurare al Paese la sicurezza energetica. L’obiettivo della carbon neutrality è stato aggiornato al 2060 e all’inizio di maggio la Banca Popolare Cinese ha aumentato di 100 miliardi di yuan la quota di prestiti mirati all’industria del carbone, per sostenerne la produzione e la capacità di riserva.

 

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La scelta di utilizzare il carbone è largamente condivisa tra i Paesi del Sud-est asiatico perché più accessibile e disponibile delle risorse rinnovabili ma anche del gas naturale. Per diminuire le emissioni di CO2 però i Paesi della regione hanno iniziato a utilizzare idrogeno e ammoniaca: il Brunei esporta piccole quantità di idrogeno al Giappone; Malesia, Indonesia stanno studiando la possibilità di utilizzare l’ammoniaca nelle loro centrali a carbone. Anche il Carbon Capture Utilization & Storage (CCUS) inizia ad avere mercato e infatti alcuni attori importanti del petrolio e del gas come Petronas (società petrolifera nazionale della Malesia), Pertamina (nazionale dell’Indonesia) e PTT (della Thailandia) stanno investendo nella supply chain dell’idrogeno e del CCUS.

Nella regione non mancano però i tentativi di utilizzo di risorse rinnovabili e alternative. Il presidente della Corea del Sud Yoon Suk-yeol ha detto di respingere la politica precedente e si pone come obiettivo quello di rendere il Paese leader nella produzione di energia nucleare. Inoltre, ad influenzare le dinamiche e le decisioni di Seul in materia di energia è anche la paura dell’interruzione dell’approvvigionamento: la Corea del Sud, con una struttura tariffaria strutturata, potrebbe finire sotto pressione, e più difficilmente trasferirebbe l’aumento del costo del carburante ai consumatori, incrementando il rischio sistematico di load shedding, ossia la redistribuzione di domanda di energia elettrica attraverso l’utilizzo di risorse alternative a causa dell’incapacità della risorsa energetica primaria di soddisfare tale domanda.

In Thailandia, dove attualmente il 60% dell’energia è prodotta da gas naturale locale, la diversificazione è vista come necessaria per aumentare la sicurezza energetica. Il governo sta importando gas naturale dall’estero ed espandendo i terminali riceventi del gas, il sistema di rigassificazione e i serbatoi di stoccaggio del gas per aumentare la capacità di 34.8 milioni di tonnellate metriche per il 2027. Inoltre, nel 2022 ha preso il via il Piano Energetico Nazionale che prevede un impegno verso una svolta verde con un piano aggressivo di riduzione di emissione di carbonio fino ad arrivare alla carbon neutrality tra il 2065 e il 2070. Il Vietnam – che da solo produce il 66% della capacità solare ed eolica del dei paesi dell’ASEAN, soffre però di una rete poco sviluppata che non è pronta a integrare l’afflusso di generazione intermittente, con conseguenti elevati livelli di decurtazione che hanno avuto un impatto negativo sui ricavi degli investitori.

Inoltre, le sanzioni occidentali alla Russia hanno fortemente impattato sul mercato asiatico dell’energia, portando a ribasso il prezzo del dollaro al barile e facendo aumentare esponenzialmente quello del gas naturale. A essere colpiti sono non solo i prezzi ma anche i volumi delle esportazioni: l’impossibilità di vendere gas naturale e greggio ai Paesi dell’Unione Europea con gli stessi volumi pre-guerra ha spinto la Russia a guardarsi intorno trovando nella Cina un mercato possibile, anche se non riuscirà da solo a coprire il volume di esportazioni precedenti verso l’Europa. Mosca e Pechino hanno firmato un contratto di fornitura di altri 10 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, acconsentendo anche di prolungare di altri 10 anni il contratto di fornitura attuale (200.000 barili di greggio al giorno). Il nuovo contratto, potrebbe essere favorevole per Gazprom, la società russa fornitore del gas, dati gli attuali prezzi alti del gas e la competitività con il gas naturale liquefatto. Inoltre, le stesse esportazioni di greggio via mare verso i paesi asiatici sono aumentate, stimolate dal prezzo basso, allettante in un periodo di inflazione persistente.

 

Video: La logica energetica della Russia

 

Data la situazione geopolitica attuale la cooperazione intraregionale potrebbe portare benefici superiori nel lungo termine, permettendo ai Paesi della regione di integrare il mercato dell’energia e renderlo meno dipendete dall’esterno. Questi tentativi accusano però le diversità dei singoli Paesi in termini di infrastrutture, e supporto all’innovazione. Inoltre, la scarsa fiducia reciproca e le ambizioni concorrenti ostacolano le potenzialità di un mercato integrato dell’energia. Per esempio, la volontà cinese di esportare energia ai paesi del “Greater Mekong” (Cambogia, Cina, Laos, Myanmar, Thailandia e Vietnam) si scontra con gli interessi del Laos, che però ha poco spazio di manovra dato che la sua rete ad alto voltaggio è di proprietà della Cina.

In generale è difficile che si riesca a trovare una neutralità di azione e quindi un programma di cooperazione omogeneo visti i grandi interessi in gioco, e le grandi differenze economiche. Una soluzione più efficace nel breve termine potrebbe essere quella degli accordi bilaterali, perché più veloci e perché più facilmente potrebbero trovare il sostegno della politica e delle aziende.