L’Asia Centrale, banco di prova della relazione Russia-Cina
Cresce l’attenzione, a livello internazionale, per l’Asia Centrale post-sovietica – ossia il quintetto composto da Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan. Il motivo di interesse sta soprattutto nella centralità dell’area nei progetti infrastrutturali cinesi, ma anche nella sfera della sicurezza e nell’apertura dell’Uzbekistan, dopo anni di isolamento politico-economico, alla cooperazione regionale e internazionale. Che il dinamismo economico della Cina cerchi sbocchi nelle regioni vicine non è una novità, ma Pechino ha accresciuto la sua attività anche nel campo militare, nonostante la regione centro asiatica sia storicamente considerata dalla Russia, soprattutto dal punto di vista militare, un vero e proprio “cortile di casa”.
L’attivismo di Pechino è legato anzitutto all’Afghanistan: quanto sta avvenendo e potrà avvenire nel paese è infatti fonte di grande preoccupazione per la Repubblica Popolare. I timori principali sono due: da un lato, il possibile contagio integralista verso la zona occidentale dell’immenso territorio cinese, lo Xinjiang a maggioranza musulmana; dall’altro, le possibili ricadute in termini di instabilità sul Pakistan, uno degli snodi fondamentali della strategia infrastrutturale promossa da Xi Jinping.
Queste preoccupazioni avrebbero portato la Cina a spingersi fino a organizzare pattugliamenti autonomi da parte delle proprie forze armate del confine tra Tagikistan e Afghanistan, che si estende per quasi 1.400 km. Ciò ha fatto seguito a un’indiscrezione, emersa negli scorsi mesi e questa volta avallata da numerose testimonianze fotografiche, della costruzione di un’installazione militare cinese sul territorio tagico. Si tratterebbe dei primi sconfinamenti cinesi di una certa rilevanza in un’area, quella della sicurezza, che finora in Asia Centrale aveva visto la Repubblica Popolare operare soprattutto attraverso la fornitura di equipaggiamento, sia sotto forma di vendita che di donazioni. Ma mai direttamente sul terreno con le proprie forze armate.
La domanda che ora ci si pone è come la Russia reagirebbe a una sfida aperta alla sua supremazia militare in Asia Centrale, soprattutto se proveniente da un player con tutte le carte in regola per soppiantarla. Nell’area, Mosca dispone di due basi militari, in Kirghizistan e in Tagikistan, oltre che di una presenza militare diffusa in Kazakistan, eredità diretta dell’epoca sovietica. L’azione russa in tale ambito avviene sia su base bilaterale che attraverso le strutture della CSTO (Collective Security Treaty Organization, fondata nel 2002), alleanza difensiva che attualmente si compone di Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.
Dopo aver accettato suo malgrado il netto sorpasso cinese in termini di volumi di scambio commerciale – nel 2017 l’interscambio di Mosca con i paesi dell’area ha raggiunto quota 23 miliardi di dollari, quello di Pechino ben 36 miliardi – il Cremlino non potrebbe subire passivamente un sorpasso in campo militare. La Cina, da parte sua, difficilmente appalterebbe in toto la sicurezza centro asiatica a Mosca, considerati, oltre che la sopracitata preoccupazione per la situazione afgana, proprio i suoi crescenti investimenti regionali infrastrutturali.
Le frizioni tra Russia e Cina nella regione, per ora solamente potenziali, vanno però inserite nel più ampio scenario internazionale, che ha visto i due giganti avvicinarsi in modo significativo negli ultimi anni. Alimentata anche dalla comune avversione verso la politica estera statunitense, la cooperazione sino-russa ha riguardato numerose dimensioni. Quella militare in senso lato, con l’organizzazione di numerose esercitazioni congiunte; quella politica, per cui la Russia ad esempio fa parte della SCO (Shanghai Cooperation Organization, fondata nel 2001) a guida cinese; quella economica, con l’interscambio commerciale che è cresciuto nel 2017 del 15% a 100 miliardi di dollari; e, infine, in quella dell’energia: con la prevista entrata in funzione del gasdotto “Power of Siberia” tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 grazie al quale la Russia esporterà a regime quasi 40 miliardi di metri cubi di gas naturale verso la Cina.
Al di là dei fattori esterni (come la competizione con gli USA) che hanno definito la loro genesi, i legami tra Mosca e Pechino sono quindi particolarmente stretti e variegati. Anche rispetto all’Asia Centrale, soprattutto relativamente al dossier afgano, gli elementi in comune sono senza dubbio maggiori dei fattori di divisione. Sia la Russia che la Cina, infatti, al netto delle rispettive strategie di breve periodo, hanno tutto l’interesse ad agire per favorire la pacificazione dell’Afghanistan ed evitare che la potenziale instabilità afgana si ripercuota sulle aree limitrofe. Questa comunione d’intenti potrebbe portare la Russia a decidere di non cambiare l’atteggiamento fino ad ora tenuto: l’attivismo militare cinese, infatti, ha solamente messo in guardia Mosca, che al momento non lo considera una sfida aperta alla propria egemonia regionale e che comunque per ora non intende farsi trascinare in una rincorsa militare dall’esito alquanto dubbio, viste le risorse ben maggiori a disposizione del contendente.
La Cina, dal canto suo, allo stato attuale non sembra avere l’intenzione di spingere sull’acceleratore per tentare di scalzare la Russia dal suo trono militare centro-asiatico. Ma non è detto che ciò non possa avvenire in futuro. Uno snodo molto importante per valutare le reali intenzioni cinesi sarebbe proprio la stabilizzazione del teatro afgano, con la conseguente riduzione dei rischi per lo Xinjiang. Ciò infatti priverebbe Pechino di un potenziale alibi per giustificare la sua penetrazione regionale.
In attesa di valutare l’evolversi della situazione, un altro elemento a cui Pechino dovrebbe però prestare attenzione è il modo in cui all’interno dei diversi “stan” centro-asiatici vengono percepite alcune sue decisioni. Non pochi imbarazzi ha infatti creato per il governo del Kazakistan la notizia che le autorità cinesi avrebbero sottoposto a detenzione cittadini musulmani di etnia kazaca residenti in Xinjiang; sempre in Kazakistan nelle scorse settimane si sono registrate proteste contro la crescente presenza cinese nel tessuto economico locale. Stessa situazione verificatisi a inizio agosto in Kirghizistan. Il crescente ruolo economico cinese nell’area, quindi, seppur accolto con ovvio favore da parte delle autorità locali, sembra riscontrare minore supporto da alcune fasce della popolazione.
Alla luce di questi fattori, e considerato che la Russia per ragioni storiche, politiche, sociali, militari e culturali, è ancora estremamente influente nella regione centro asiatica, aprire un fronte di competizione militare con Mosca proprio in Asia Centrale non sembra quindi al momento nell’interesse di Pechino.