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Innovare il pensiero: i modelli di business in un’economia volatile

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Il mutamento continuo dei modelli di business rende sempre più labili i confini tra organizzazione e mondo esterno, generando un ambiente fortemente volatile: è una situazione che può essere superata soltanto con il rafforzamento dell’identità aziendale e uno sforzo di condivisione/sviluppo della conoscenza. La conoscenza è quello che nella scienza manageriale viene definito capitale intellettuale d’azienda: un capitale intangibile, appunto volatile e difficile da concretizzare e conservare, ma strategico per le imprese del mercato moderno. La nuova economia della conoscenza sta alterando le regole del gioco rispetto ai classici parametri dell’economia in cui le imprese operano.

Per avere successo nei mercati dinamici di oggi, un’azienda ha bisogno di un elevato quoziente intellettivo in grado di originare idee trasformabili in risultati tangibili. Primario diventa dunque l’investimento culturale e formativo per costruire un futuro dove l’innovazione è affiancata alla responsabilità, alla fiducia, alla crescita partecipata. In questo contesto la formazione mediante il viaggio diventa un tassello importante. Il viaggio è qui inteso come esperienza di apprendimento per l’azienda, un’azione di fertilizzazione volta a creare i presupposti culturali e un linguaggio comuni per la diffusione dell’innovazione nell’organizzazione. Business innovation tour significa condurre i manager nei “luoghi” in cui si fa autentica innovazione.

Arjun Appadurai ci insegna che senza immaginazione non si potrebbero concepire vite diverse da quelle che siamo abituati a vivere, non ci sarebbe la possibilità di capire il mondo che ci circonda, ma soprattutto non esisterebbero culture globali da conoscere, da sperimentare, da acquisire per poi contestualizzarle nella propria realtà.

Oggi, ma sempre di più in futuro, c’è bisogno di uno sviluppo delle organizzazioni lungo le dimensioni dell’apprendimento, della conoscenza e della comunicazione: le aziende devono porsi nella migliore condizione possibile per poter garantire a questa crescita, omogeneità nel tempo. Per fare in modo che l’apprendimento arrivi allo stadio della comprensione più alta, bisognerà agire a livello più intimo e stimolare la più importante attitudine da possedere in azienda: l’attitudine alla decisione in un’economia sempre più volatile.

La conoscenza si sviluppa mediante l’osservazione. Le esperienze sono oggi accelerate, frammentate, in parte virtuali, da costruire attraverso un continuo sforzo creativo. Occorre “fare” l’esperienza e ciò avviene quando trasformiamo i fatti quotidiani in apprendimenti.

I learning tour possono essere considerati la forma esperienziale di maggior livello nell’ambito formativo, e sfruttano al meglio le famose “best practice” – le migliori prassi aziendali conseguite in un determinato settore di mercato che offrono un modello al quale tendere e rispetto al quale valutare le proprie azioni e i risultati prodotti. Una volta che l’esperienza viene interiorizzata, ciò che realmente cambia all’interno dell’azienda è la cultura della formazione.

Come racconto nel mio libro in uscita per Guerini, “Viaggio nell’innovazione. Dentro agli ecosistemi del cambiamento globale”, vi sono dei contesti nel mondo dove l’innovazione permea la vita di ogni giorno. In assoluto la Silicon Valley rimane un “luogo di elezione” per chi vuole fare innovazione. Qui la cooperazione tra la Stanford University e alcune delle più grandi società di alta tecnologia e di informatica  ha dato il via alla formazione di nuove imprese, attorno a cui si sono poi catalizzate le attenzioni delle aziende del tessuto produttivo locale e dei loro dipendenti desiderosi di svolgere attività in proprio.

Da alcuni anni a questa parte, nonostante lo scenario economico risenta delle difficoltà di vari Paesi latinoamericani e del rallentamento cinese, il Cile rappresenta un’ottima opportunità d’investimento, soprattutto con il programma “Start-Up Chile” attivato nel 2010 e grazie al quale oltre 1.300 imprenditori sono riusciti a sviluppare le loro piccole imprese.

Il concetto di Israele come “Startup Nation” (dal titolo di un libro del 2009 di Dan Senor e Saul Singer) è la dimostrazione dei fattori vincenti se si vuole rendere altamente innovativa un sistema-Paese: determinazione, spirito imprenditoriale, supporto istituzionale e una visione a lungo termine basata su una sana collaborazione tra pubblico e privato.

Silicon Valley of India” è il nome dato alla info-city di Bangalore, la città che è diventata anche un hub per le società informatiche del Paese. Conta circa trecento aziende che includono le principali sedi di Infosys, Wipro, Tata Consulting Service (TCS), Tata Power, HCL, Tech Mahindra, Biocon, ecc.

Shenzhen è la capitale hi-tech della Cina, in un’area dove si trovano il 35% delle nuove aziende tecnologiche con valore da oltre un miliardo di dollari, insieme a Pechino. È qui che, tra grattacieli altissimi e uno skyline in continuo divenire, la Repubblica Popolare sfida la California per il primo posto nel business delle telecomunicazioni digitali.

In quei contesti il cambiamento si tocca con mano, è visibile. L’Europa non può ignorare questa forza che viene dai cosiddetti mercati emergenti, e che può farle perdere posizioni decisive nella scala dell’accesso al sapere, alla conoscenza. Se ci chiediamo come stanno cambiando le nostre aziende a fronte di queste sfide e opportunità su scala globale, noteremo che la realtà sia in continua evoluzione. Per mantenere la propria competitività globale, bisognerà monitorare gli sviluppi del business sul piano internazionale ed attingere a un bacino globale di talenti molto più ampio che in passato. Il capitale umano deve essere adeguatamente supportato ed integrato al capitale strutturale dell’organizzazione che diventa il contenitore dei processi.

Come dice  Francesco Samorè nel suo bel libro dedicato alla figura di Piero Bassetti, citando Carlo Cattaneo: “Non v’è lavoro, non v’è capitale, che non cominci con un atto di intelligenza. Pertanto, chiuso il circolo delle idee, resta chiuso il circolo della ricchezza.”

Dunque, anche per le imprese e le istituzioni in Italia, sarebbe un ovvio atto di intelligenza  andare in questa direzione  e investire in conoscenza;  purtroppo però non è una scelta scontata nel nostro Paese. E’ paradossale che proprio nel luogo dove le università sono storicamente nate si faccia fatica a ricordare questa massima; ma i dati recenti, riportati ad esempio nella trasmissione Dataroom della giornalista Milena Gabanelli, sono sconfortanti. Gli atenei sono costretti a ridurre il numero di studenti perché non hanno abbastanza docenti: dal 2008 a oggi sono scesi da 63.228 a 53.801. Il continuo taglio dei finanziamenti all’università non consente di rimpiazzare i professori che vanno in pensione. A questo si aggiunge la nuova normativa sull’accreditamento dei corsi di studio che vincola le università a garantire un determinato rapporto docenti-studenti. Paradossalmente il boom dei corsi a numero chiuso ha coinciso con il crollo degli immatricolati: nel 2007-2008 erano 300 mila, scesi a meno di 270 mila nel 2013-14. Negli ultimi tre anni sono tornati a crescere fino a 290 mila, ma il miglioramento è imputabile più all’aumento del numero di diplomati che al tasso di passaggio dalla scuola all’università, bassissimo nel confronto col resto della UE (46% contro 63%). Dietro di noi solo la Romania.

Non si può costruire un parco tecnologico senza una combinazione di fattori in stretta sinergia, che vivano insieme: le università, le imprese, le start-up. E nessuno ha oggi più dubbi sul fatto che se vogliamo sviluppare lavoro dobbiamo prima sviluppare innovazione.

A questo si aggiunge che la mancanza di opportunità lavorative adeguate può comportare il ben noto fenomeno della fuga di cervelli e talenti: da 40mila del 2008 a quasi 115mila persone nel 2017 – un dato quasi triplicato in meno di dieci anni – come  si legge nel rapporto ‘Il mercato del lavoro 2018’, frutto della collaborazione tra ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal.

Enrico Moretti, nel suo libro su “La nuova geografia del lavoro”, afferma che “per ogni nuovo posto di lavoro in settori innovativi, in una città, ne nascono altri cinque nei settori tradizionali. È questo che fa la differenza”. Come diceva Henri Matisse “sono fatto da tutto ciò che ho visto”, cerchiamo dunque di vedere e visitare il più possibile, prima che sia troppo tardi.