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Il Summit di Pyongyang tra le due Coree: progressi sostanziali?

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Undici anni dopo il viaggio di Roh Moo-hyun, mentore dell’attuale capo di Stato, un presidente della Corea del Sud viene accolto a Pyongyang per una visita ufficiale: il summit tra Moon Jae-in e il leader nordcoreano Kim Jong-un – svoltosi in tre giorni, dal 18 al 20 settembre – è un evento storico. Le immagini della cordialità tra i due, e della popolazione nord-coreana festante, hanno dato l’impressione di una giornata cruciale per la pacificazione della penisola coreana.

Ciononostante, il quadro strategico rimane intricato. Di conseguenza è importante capire in che misura il processo di distensione in corso stia portando portato progressi concreti, al di là della portata simbolica degli eventi, pur molto significativa.

Il vertice di Pyongyang si è chiuso con una dichiarazione che contiene i diversi impegni assunti dalle due parti. Tra questi, spiccano diverse iniziative atte a ridurre la tensione sul fronte convenzionale: il disarmo e la rimozione delle mine nei pressi del villaggio di confine di Panmunjon, la realizzazione di una no-fly zone nella zona demilitarizzata e la creazione di un comitato militare congiunto con il compito di evitare incidenti e  possibili escalation nella zona di confine.

Moon Jae-in & Kim Jong-un

 

Entrambi i leader hanno ribadito il loro impegno per promuovere il disarmo, la de-nuclearizzazione e la riunificazione del popolo coreano. Sul fronte economico, Moon ha promosso la riapertura del complesso industriale di Kaesong, chiuso da Park Geun-hye nel 2016, come ritorsione contro i tesi missilistici e nucleari di Pyongyang. Il complesso, che sorge a pochi chilometri a nord della zona di confine tra le due Coree, ha impiegato manodopera nord-coreana e capitali sud-coreani, dando lavoro fino a 50.000 persone. Inoltre, fino alla sua chiusura, ha costituito una fonte significativa di valuta straniera per il regime di Kim Jong-un.

Kim Jong-un ha anche dichiarato la sua disponibilità per una visita ufficiale a Seul entro la fine dell’anno. Questa visita sarebbe la prima da parte di un leader del Nord nel territorio della Corea del Sud.

Gli impegni più importanti sono quelli presi da Pyongyang, che ha promesso di smantellare, alla presenza di ispettori internazionali, la struttura destinata ai test per i missili balistici del di Tongchang-ri, e il sito nucleare di Yongbyon. Questi impegni sono però condizionali. Ovvero Kim Jong-un ha specificato che procederà a rispettarli solo nel caso in cui gli Stati Uniti prendano non meglio specificate “misure corrispondenti”.

Come stabilire quindi se questi accordi costituiscono un vero successo per le parti coinvolte e un vero progresso per la pacificazione della penisola? Per farlo, è necessario chiarire gli obiettivi e gli interessi dei diversi attori coinvolti.

Le due Coree e gli Stati Uniti hanno un interesse comune: quello di sfruttare  l’opportunità offerta dalla presenza di una presidenza sud coreana progressista, ovvero favorevole alla distensione con il Nord, e un presidente USA come Trump, apparentemente pronto a fare concessioni anche significative per ottenere progressi visibili e politicamente spendibili con l’opinione pubblica statunitense.

Al di là della necessità di sfruttare il momento, obbiettivi e interessi delle due Coree sono in larga parte opposti. Kim Jong-un mira a mantenere l’arsenale nucleare, e allo stesso tempo ottenere concessioni significative da Seul e Washington, quali benefici economici, allentamento delle sanzioni, e un trattato di pace. Un ulteriore obbiettivo è quello di creare un “decoupling” nell’alleanza tra Stati Uniti e Corea del Sud, per indebolire la presenza americana nella penisola.

Moon Jae-in ha la necessità di raggiungere progressi concreti sia nel breve sia nel lungo periodo, avendo puntato tutto il suo capitale politico sulla distensione con il Nord. Per questo è pronto a concessioni significative per dimostrare alla sua opinione pubblica che una politica di aperturasenza precondizioni permette passi avanti verso la pacificazione e la riconciliazione. Moon non considera, al contrario dei conservatori, la solidità dell’alleanza con Washington come interesse nazionale fondamentale della Corea del Sud. Tuttavia, diversamente dal suo predecessore progressista, Roh Moo-huyn, crede che il processo di distensione non debba necessariamente generare attrito nell’alleanza. Al contrario, il sostegno di Washington è considerato fondamentale per ottenere progressi nel lungo periodo.

Gli obbiettivi americani sono più complessi. Il presidente Trump sembra pronto a sacrificare un’alleanza stretta con Seul per un successo diplomatico – “disinnescare” la minaccia nordcoreana – che avrebbe grande clamore. I Dipartimenti di Stato e della Difesa e gran parte dell’establishment  diplomatico negli Stati Uniti, al contrario, sembrano molto scettici sulla prospettiva di una svolta diplomatica, considerano i progressi sul fronte della denuclearizzazione insufficienti e temono il “decoupling” dell’alleanza.

Date queste premesse, in termini di benefici relativi, la Corea del Nord è quella che ha tratto maggiori vantaggi dal summit. Lo smantellamento della centrale di Yongbyon, e delle rampe di lancio di Tongchang-ri sono passi visibili e significativi (sempre se saranno compiuti), ma non vanno in direzione della denuclearizzazione “completa, irreversibile e verificabile” chiesta dagli Stati Uniti. Costituiscono, tra l’altro, le parti del programma nucleare e missilistico che possono essere riattivate più facilmente, al contrario della produzione dell’uranio e del carburante per missili intercontinentali.

La dichiarazione di Pyongyang include una vaga, e probabilmente irrealistica, promessa di denuclearizzazione completa entro il 2021, ma non introduce un calendario specifico per i passaggi intermedi. Inoltre, non include la disponibilità a svelare tutte le armi nucleari e i missili balistici, e non menziona gli altri centri dove vengono prodotti e testati armi nucleari e missili balistici.

Questi impegni rimangono molto lontani da quelli presi dopo l’ultimo passaggio negoziale dei Six Party Talks nel 2007, in cui Pyongyang si assumeva la responsabilità di attuare il completo smantellamento di tutti i centri coinvolti nel programma missilistico e nucleare. In ogni caso, quegli impegni furono poi disattesi dalla Corea del Nord. Il carattere condizionale degli  impegni assunti da Kim Jong-un, inoltre, rappresenta un tentativo di ottenere altre concessioni politiche e strategiche da parte degli Stati Uniti.

Tutto sommato, anche Moon Jae-in può ritenersi soddisfatto del summit, sul fronte ideale e, almeno nel breve periodo, sul fronte politico e strategico. Per Moon il vertice di Pyongyang ha un profondo significato simbolico e rappresenta l’apice ideale di una carriera politica dedicata in gran parte al tentativo di pacificare la penisola.

Dal punto di vista pratico la vittoria di Moon rischia però di essere di breve durata, come fu quella degli altri progressisti Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun negli anni Novanta e Duemila. I risultati ottenuti a Pyongyang sono coerenti con la politica della costruzione “dal basso” del processo di pace, attraverso una serie di piccoli passi verso la riduzione della tensione, fino a raggiungere, nelle parole di Moon, “una pacificazione irreversibile e l’unificazione del popolo coreano”. Ma ad oggi i progressi ottenuti sono ancora largamente simbolici e completamente reversibili nel caso in cui la Corea del Nord decida di esercitare nuovamente una pressione militare. Per ora non ci sono prove concrete che Kim Jong-un abbia realmente intrapreso un processo di de-nuclearizzazione. Al contrario, come sostengono i critici conservatori in Corea del Sud, potrebbe sfruttare le concessioni economiche e politiche per rafforzare il regime, mantenendo il programma nucleare.

Inoltre, la tendenza ideologica dei progressisti coreani a dare priorità politica all’unità etnica del popolo coreano, rispetto alle divisioni ideologiche con il Nord, può facilitare il tentativo di Kim di creare divisioni nell’alleanza Seul-Washington. L’idea che il popolo coreano debba raggiungere la pace da solo, per quanto attraente per l’opinione pubblica, è in contrasto con la necessità di coinvolgere gli Stati Uniti nella firma di un futuro trattato di Pace che metta ufficialmente fine alla Guerra di Corea. Una pace separata creerebbe una frattura nell’alleanza con Washington, a beneficio degli interessi del Nord.

Il Presidente Trump ha dichiarato la sua soddisfazione per i risultati del summit, attribuendo a sé stesso i meriti della distensione. E ha ribadito l’intenzione di andare avanti con i negoziati, già dalle prossime settimane con un incontro tra il Segretario di Stato Mike Pompeo e il Ministro degli Esteri nord coreano Ri Yong Ho in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il vertice mette però i negoziatori americani in una posizione delicata. Il processo di distensione ora va incontro a diversi ostacoli. Il primo è un problema di “sequenza”: Pyongyang chiederà una “Dichiarazione di Pace” o addirittura un trattato di pace, prima di fare passi irreversibili sulla denuclearizzazione, posizione contraria a quella di Washington. Moon molto probabilmente cercherà di mediare, proponendo alle parti di adottare contemporaneamente una dichiarazione di pace e una dichiarazione in materia di rinuncia definitiva al programma nucleare.

Rimangono poi divergenze sul significato di “de-nuclearizzazione” tra la “CVID” (Denuclearizzazione completa, irreversibile, verificabile) proposta da Washington e la versione nord-coreana che include il ritiro delle truppe americane dalla penisola, e possibilmente la fine dell’alleanza tra il Sud e gli USA. Per questo motivo la dichiarazione di Pyongyang sostiene che “la penisola deve essere trasformata in un luogo di pace senza armi nucleari o minaccia nucleare”.

Infine, i negoziatori americani cercheranno di evitare l’erosione del sistema delle sanzioni. La Corea del Sud nonostante le concessioni unilaterali non ha ancora sospeso o ammorbidito le sanzioni contro il Nord. Però potrebbe farlo per accelerare il processo negoziale, togliendo una leva negoziale agli Stati Uniti e al resto della comunità internazionale.

In conclusione, il vertice di Pyongyang ha portato a dei passi avanti importanti, soprattutto dal punto di vista simbolico, e ha alimentato l’atmosfera di distensione nella penisola coreana. Tuttavia, i problemi più complicati, quali quelli della credibilità della Corea del Nord e la messa in pratica della denuclearizzazione, rimangono sul tavolo.