Sulla carta la Commissione Juncker finalmente c’è. Sulla carta perché i singoli commissari (28) devono ancora passare al vaglio del Parlamento Europeo. L’approvazione è d’altra parte abbastanza scontata, dopo i dosaggi politici degli ultimi tre mesi. Questo team, che resterà in carica per i prossimi cinque anni, siederà in effetti a Bruxelles da novembre in poi.
Le novità sono tre. È la prima Commissione dichiaratamente politica: il presidente è il leader pre-indicato dal Partito Popolare, che ha avuto la maggioranza dei voti alle elezioni europee di maggio.
È la prima Commissione a due velocità: sette vicepresidenti, fra cui Federica Mogherini per le relazioni esterne, coordineranno per progetti gli altri commissari. Funzionerà?
Ed è, infine, la prima Commissione in cui esiste un “primo vicepresidente” – in sostanza un Commissario più potente degli altri, descritto da Junker come suo braccio destro. Il braccio destro di Junker, ritenuto eccessivamente federalista, è l’attuale ministro degli Esteri olandese, Frans Timmermans, esponente di spicco del versante deciso, invece, a restituire parte delle competenze agli Stati nazionali. Frans Timmermans, insieme al finlandese Katainen (vicepresidente per il lavoro, la crescita, la concorrenza e gli investimenti) sono due scelte gradite a Berlino. Come in passato, la Germania ha preferito non sovra-esporsi direttamente, ma fare leva su nomi graditi di paesi “vicini”. È la versione europea (tedesca) del leading from behind obamiano.
Vedremo quanto le tre novità riusciranno a tradursi nei fatti. Sono in parte difficili da attivare: si può scommettere in anticipo che i team players, i commissari semplici, fra cui il socialista francese Pierre Moscovici agli Affari Economici e Monetari, non avranno tutta questa voglia di farsi coordinare dai team leaders, dai vicepresidenti. E sono novità in parte snaturate dal vero tratto di continuità: l’eterno gioco brussellese dei bilanciamenti. Nord/Sud, uomini e donne, comunitaristi e intergovernativi, peso (reale) dei grandi e peso (apparente) dei piccoli. In una fase in cui l’Unione Europea rimane a “trazione” tedesca – ma senza che la Germania voglia esercitare fino in fondo una leadership – e viene guidata da Bruxelles, non è chiaro se la nuova Commissione più nuova delle altre riuscirà anche nell’impresa esistenziale: frenare la sua perdita di peso, all’interno del triangolo istituzionale, a favore del Consiglio Europeo e del Parlamento di Strasburgo.