La crisi economico-finanziaria globale ha ormai finito per influire, indirettamente, anche sulle diplomazie d’Europa, grandi o piccole che siano. Le conseguenze dell’austerity, a partire dai pesanti tagli che le relative voci di spesa hanno subito, rappresentano una sfida complessa per l’efficacia della politica estera. Al tempo stesso, potrebbero però offrire opportunità inedite per migliorare la cooperazione tra i paesi dell’Unione Europea.
Nel loro complesso le diplomazie nazionali europee possono contare su una forza di circa 87.000 diplomatici al lavoro nelle capitali e in oltre 3.000 rappresentanze diplomatico-consolari nel mondo, sostenuti da un budget amministrativo aggregato di quasi 10 miliardi di euro. Tuttavia, e con la pur rilevante eccezione della Germania, tutti i paesi stanno operando tagli più o meno consistenti agli stanziamenti per la politica estera. I ministeri degli Esteri nazionali sono dunque chiamati ad un difficile processo di ristrutturazione: in molti casi questo ha significato riduzione del personale amministrativo e diplomatico, e talvolta del numero delle rappresentanze all’estero.
Parallelamente agli effetti della crisi in Europa, prendeva corpo la principale innovazione apportata dal Trattato di Lisbona alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), ovvero il Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE). Con uno staff di circa 3.400 funzionari provenienti da Commissione europea, Segretariato del Consiglio e diplomazie nazionali, 139 Delegazioni dell’UE nel mondo sotto la sua responsabilità, ed un bilancio amministrativo di 489 milioni, il SEAE ambisce a giocare un ruolo da protagonista sulla scena internazionale.
Eppure l’atteggiamento degli Stati membri, e dei loro ministri degli Esteri, rispetto alla messa in opera del SEAE, è spesso oscillato tra cauto attendismo e malcelato scetticismo: non sono mancati divergenze con il Servizio su specifiche iniziative di policy e contrasti anche personali con l’Alto Rappresentante per la PESC, Catherine Ashton.
Paradossalmente però, considerazioni più immediate e pragmatiche – come la crescente pressione sui bilanci – stanno già spingendo diverse capitali d’Europa a riconsiderare il proprio atteggiamento. Ad esempio, alla luce della radicale decurtazione al proprio bilancio degli Esteri e della conseguente chiusura di diverse sedi consolari, non sorprende che Madrid abbia richiesto al SEAE di ospitare i suoi agenti diplomatici in diverse Delegazioni UE, o abbia proposto di condividere alcune delle sue missioni all’estero con quelle dell’Unione, come avvenuto recentemente a Sana’a, in Yemen. La co-locazione delle sedi diplomatico-consolari all’estero permette, infatti, considerevoli economie di scala e dunque risparmi. Alcuni Stati hanno infatti domandato al Servizio di esplorare ulteriori opzioni per realizzare sinergie costo-efficaci anche nell’ambito dei servizi consolari.
Più in generale, un sistema di rappresentanze diplomatiche europee incontra particolare favore da parte dei paesi più piccoli, che non possono contare su un’estesa rete fuori dall’Europa. Infatti, sono solo otto i paesi terzi nei quali almeno venticinque Stati membri dispongono di un rappresentante diplomatico accreditato. In questo senso, le Delegazioni UE possono fornire una preziosa “antenna” nel mondo per molti governi europei. L’accresciuta capacità delle Delegazioni di costruire contatti con gli attori locali o di redigere rapporti di carattere politico ha richiamato persino l’attenzione delle capitali più euroscettiche, come Londra.
I paesi membri hanno quindi partecipato attivamente al processo di revisione di medio termine del SEAE nel corso di quest’anno. Nella riunione informale dei ministri degli Esteri a Dublino, nel marzo scorso, sono state esaminate questioni attinenti all’organizzazione interna del Servizio, alle sue relazioni con le altre istituzioni UE – in primis la Commissione – e alla cooperazione tra Delegazioni UE ed ambasciate nazionali nei paesi terzi.
Le possibili misure per accrescere funzionalità ed autorevolezza del Servizio sono passate anche al vaglio del parlamento europeo. Quest’ultimo ha approvato, in occasione della plenaria dello scorso giugno, una raccomandazione ad Alto Rappresentante, Consiglio e Commissione, sulla scorta di una bozza presentata a fine marzo alla Commissione Affari Esteri dai co-relatori Elmar Brok e Roberto Gualtieri. Il documento contiene una serie di suggerimenti riguardanti, tra l’altro, la semplificazione della catena di comando interna, il potenziamento del ruolo di coordinamento dell’azione esterna dell’UE da parte dell’Alto Rappresentante, lo snellimento delle procedure di finanziamento della PESC, il consolidamento del carattere politico delle Delegazioni UE e la promozione di un maggiore esprit de corps nel Servizio, anche attraverso un adeguato processo di reclutamento ed opportuni programmi di formazione.
L’attesa proposta di revisione del Servizio è stata resa pubblica alla fine del luglio scorso ed è attualmente oggetto di discussione tra gli Stati membri. Le proposte di breve periodo mirano a una razionalizzazione e ad un aumento delle competenze del SEAE; al rafforzamento del ruolo dell’Alto Rappresentante – che è anche vicepresidente della Commissione europea – fino ad oggi piuttosto contenuto e limitato; e ad un maggiore coordinamento tra la diplomazia europea e quelle nazionali. Lo snellimento dei singoli corpi diplomatici dovrebbe quindi portare a una diplomazia europea “intelligente” (smart diplomacy), fondata sulla condivisione delle capacità nazionali, seguendo la logica già sperimentata nel campo della difesa.
L’attuazione di tali proposte richiederà tempi non brevi, soprattutto nel caso di quelle ad ampio raggio, che investono la gestione, le competenze e il funzionamento generale del Servizio nella sua proiezione globale – incluso il riesame delle operazioni militari e civili dell’UE. Molte questioni strutturali, senza le quali non vi sarà alcuna concreta riforma, dipendono in ultima analisi dalle scelte di cooperazione politica tra Bruxelles e le capitali degli Stati membri. A fronte di un organico relativamente modesto, il Servizio dovrebbe essere messo nella condizione di valorizzare appieno il prezioso mix di competenze ed esperienze di cui dispone, migliorando inoltre la circolazione ’triangolare’ d’informazioni tra il suo quartier generale, le capitali nazionali e le Delegazioni UE nel mondo.
Tale volontà politica si dovrà manifestare anche sotto forma di appropriati investimenti economici nelle capacità del Servizio. A fronte della difficile reversibilità dei tagli operati, e all’approssimarsi di importanti scadenze politiche ed istituzionali dell’UE nel 2014 (il rinnovamento di Parlamento e Commissione, e di tutte le più alte cariche europee, compreso l’Alto Rappresentante), l’atteggiamento complessivo dei governi e delle opinioni pubbliche verso le istituzioni europee non è dei più incoraggianti. Resta comunque una constatazione su cui il consenso è ampio: un’efficace rete diplomatica comune, quale base per una politica estera europea più coesa ed influente, è uno strumento che in molti casi può fare la differenza.