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In Germania è iniziato il duello Merkel-Steinbrück

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Nella passata legislatura la campagna elettorale non entrò mai davvero nel vivo, dal momento che i due principali partiti popolari governavano insieme in una Große Koalition; questa volta il duello tra democristiani e socialdemocratici si è aperto con un anno d’anticipo. Contrariamente alle attese, l’SPD ha infatti sciolto la riserva sull’identità del proprio candidato già ad ottobre di quest’anno, lanciando il sessantacinquenne Peer Steinbrück nella corsa per la Cancelleria. Ministro delle Finanze nel primo gabinetto Merkel, Steinbrück appartiene all’ala riformista dell’SPD (il cd. Seeheimer Kreis) e, prima ancora di ricoprire la carica di governatore del Land Nordreno-Westfalia, ha lavorato a Bonn nel team del cancelliere Helmut Schmidt, considerato suo mentore e padre spirituale.

Noto per aver tenuto una linea “rigorista” sui conti pubblici quando era al governo e per aver appoggiato l’agenda di riforme dello Stato sociale dell’ex-cancelliere Gerhard Schröder, la strategia di Steinbrück per battere la signora Merkel alle elezioni federali del settembre prossimo sembra essere figlia dello spirito del tempo. In un momento in cui tutto il vecchio continente è impegnato in un’opera gravosa di risanamento delle finanze pubbliche, le sinistre europee intravedono spazi importanti di consenso elettorale in quelle fasce di popolazione maggiormente colpite dai tagli di spesa e dall’aumento del prelievo fiscale. Nel tentativo di ricompattare il suo partito, che oscilla molto più verso sinistra di quattro anni fa, Steinbrück sembra volersi fare interprete delle paure e delle ansie dell’elettorato europeo più che di quello tedesco. La domanda di una politica diversa dall’austerity merkeliana è infatti molto più forte all’estero che in Germania, dove l’elettore medio pare ben poco incline a concedere ancora tempo e risorse ai paesi mediterranei.

Le ricette socialdemocratiche sono d’altra parte il frutto di un’analisi molto precisa delle cause della crisi in corso. Come si è potuto evincere dal primo duello parlamentare tra la signora Merkel e Peer Steinbrück, svoltosi il 18 ottobre scorso al Bundestag, democristiani e socialdemocratici sono depositari di due tesi piuttosto diverse in ordine alla crisi dell’eurozona. Mentre la Cancelliera insiste sul gap di competitività accumulato dopo l’adozione dell’euro da alcuni paesi dell’Europa del sud, Steinbrück considera tale gap non come una causa, bensì come un effetto dell’architettura asimmetrica dell’unione monetaria. Senza una gestione comune di politiche economiche e fiscali e senza meccanismi perequativi (che si chiamino eurobond o fondo di riscatto, non importa), le economie dei diciassette Stati che hanno adottato l’euro erano destinate a produrre un dissesto delle finanze pubbliche e private. Diverso l’avviso dei democristiani, secondo i quali la disciplina di bilancio sarebbe stata possibile anche in un’area valutaria come quella disegnata negli anni Novanta. Ecco quindi che la priorità europea di Steinbrück sembra essere quella di contribuire a ridurre gli squilibri commerciali accumulatisi negli anni attraverso un trasferimento di poteri sovrani dalla periferia al centro. Nell’intenzione della signora Merkel e del suo ministro delle Finanze – sempre che ne abbiano davvero una comune – il trasferimento di poteri deve servire invece a garantire l’approvazione di quelle riforme che colmino il gap dei paesi in crisi rispetto a quelli dell’Europa del nord.

A livello interno, il passaggio ad una coalizione rosso-verde dovrebbe tradursi in salari più elevati (anche se già nel 2012 le parti sociali, nella loro autonomia, hanno negoziato aumenti fra i più alti dell’ultimo lustro) e sostegno ai redditi più bassi e ai disoccupati attraverso nuova spesa sociale, finanziata da un maggiore prelievo fiscale.

Questo ovviamente non significa che la Germania a guida socialdemocratica diventerà improvvisamente più remissiva e pronta a salvare in blocco il resto del continente. Anche all’SPD è noto che le forze tedesche sono limitate, a maggior ragione dopo tre anni di crisi economica. In particolare, il ricorso alle rotative della banca centrale sembra dover innescare troppe polemiche per essere davvero preso in considerazione come strumento risolutivo. Senza contare che, negli scorsi mesi, tra i più veementi oppositori degli acquisti di titoli di Stato da parte della BCE sul mercato secondario c’erano proprio i socialdemocratici. Un’eventuale vittoria di Steinbrück non darebbe insomma carta bianca a Italia e Spagna per arrestare il processo riformatore. Al massimo, regalerà qualche certezza in più circa la natura delle concessioni che la Germania sarà pronta a fare nell’immediato. A tesi diverse circa le origini dei mali europei, corrisponderà dunque, in realtà, una cura abbastanza simile.

Neanche a livello interno, è quindi logico immaginarsi un completo voltafaccia. Benché una fetta corposa del partito voglia abbandonare del tutto il sentiero percorso dalla socialdemocrazia a partire dal 2002, Steinbrück non è pronto per compromessi troppo generosi. In particolare, l’età pensionabile non sembra passibile di una revisione al ribasso, né le riforme del mercato del lavoro saranno oggetto di una riforma radicale. Qualche ritocco ad alcune forme contrattuali considerate pericolosa fonte di precariato, tra le quali i cd. minijobs, è però sin d’ora pensabile. Parimenti, saranno probabilmente tagliate alcune voci di spesa stabilite di recente dalla maggioranza cristiano-liberale, tra cui il sussidio per garantire alle madri tedesche di poter allevare anche a casa i propri figli, anziché mandarli all’asilo.

D’altro canto, la partita tra Merkel e Steinbrück si giocherà anche sul piano della credibilità personale. Ad oggi la Cancelliera pare inattaccabile, mentre Peer Steinbrück, che pure piace per il suo algido sarcasmo, è già incappato in un problema di scarsa trasparenza, dovuta ai compensi per le sue attività extraparlamentari. Da brillante oratore qual è, il candidato socialdemocratico ama infatti intrattenere il grande pubblico partecipando a conferenze e convegni in giro per la Germania. Il caso vuole però che i compensi richiesti siano stati sempre particolarmente elevati, tanto che in tre anni Steinbrück avrebbe guadagnato 1,25 milioni di euro. La questione morale riguarda non soltanto l’entità dei compensi, ma anche il potenziale conflitto di interessi derivante dagli eventuali rapporti con gli organizzatori delle diverse manifestazioni, nonché la saltuaria partecipazione alle sedute del Bundestag dovuta ai suoi impegni. Fino ad oggi la cifra esatta era rimasta sconosciuta, non vigendo per i deputati un obbligo di rendicontazione completa degli onorari ricevuti.

Ma il problema più grande per lo sfidante è rappresentato dalla campagna elettorale. Steinbrück non ha mai vinto nessuna elezione combattendo sul campo. Nel 2002, in qualità di ministro delle Finanze del Nordreno-Westfalia, sostituì alla guida del Land Wolfgang Clement. Tre anni più tardi, al momento del voto, gli elettori non soltanto decretarono la fine della sua breve esperienza di governo, ma, indirettamente, anche di quella del governo rosso-verde a Berlino, costringendo Gerhard Schröder alle dimissioni. A Steinbrück tocca dunque sconfessare quella maledizione, impressa come un marchio nella storia recente dell’SPD. Ad oggi, tuttavia, il politico socialdemocratico sembra non riuscire a sfondare. Stando ad un’indagine demoscopica Infratest/Dimap di inizio novembre, se i tedeschi potessero votare direttamente il cancelliere, il 53% sceglierebbe ancora Angela Merkel e solo il 36% voterebbe il suo rivale. Il panorama appare ancora più fosco, se si guarda ai tassi di consenso dei due partiti popolari. Mentre la CDU ha toccato quota 40% per la prima volta dal 2007, l’SPD è ferma dieci punti più sotto, al 30%. L’esito dipenderà in buona parte dalla tenuta di liberali e pirati, che, stando all’ultimo sondaggio, non raggiungerebbero la soglia di sbarramento. In caso di una fuoriuscita dei primi dal parlamento e/o di un flop dei secondi, la formazione di una coalizione rosso-verde diventerebbe matematicamente possibile, anche a fronte di un risultato mediocre del partito socialdemocratico.