Il primo turno delle elezioni presidenziali francesi ha avuto due vincitori: François Hollande a sinistra e Marine Le Pen all’estrema destra. Ma il risultato del ballottaggio, che vedrà opposti il candidato socialista e Nicolas Sarkozy, è tutt’altro che scontato. L’insieme dei candidati di sinistra, infatti, non ha raggiunto la percentuale (46%) che avrebbe – teoricamente – assicurato la vittoria al secondo turno. Il presidente uscente, per colmare il distacco (ridotto) dal suo avversario diretto, punterà a catturare il maggior numero possibile di elettori dell’estrema destra. La polarizzazione del voto ha infatti diminuito molto, rispetto a cinque anni fa, il peso politico del centro – rappresentato da François Bayrou.
François Hollande è, nella storia della quinta repubblica francese, il primo candidato a superare un presidente uscente al primo turno. Il suo successo non sembra travolgente (28,6%), ma era dal 1988 che un esponente della sinistra non raccoglieva tanti voti: in quella occasione, si trattava della riconferma di François Mitterrand alla presidenza. Il voto socialista ha delle forti radici urbane: Hollande, oltre a fare il pieno nelle tradizionali roccaforti della parte sud-occidentale del paese, è il più votato in quasi tutte le aree metropolitane della Francia (con un buon successo nelle banlieue) e conquista anche la maggior parte dei capoluoghi di dipartimento.
Hollande ha poi scongiurato il pericolo di dover fronteggiare un’avanzata troppo consistente delle forze alla sua sinistra, rappresentate dal radicale Jean-Luc Mélenchon. L’11,1% ottenuto dal candidato del Front de Gauche è
deludente se rapportato alle previsioni della vigilia, influenzate dall’entusiasmo suscitato delle varie manifestazioni di piazza, la più imponente alla Bastiglia. Mélenchon ha già invitato i suoi elettori a votare per Hollande al secondo turno, “come se si trattasse di far vincere me”. L’obiettivo principale della sua candidatura, superare Marine Le Pen e trasformarsi nella terza forza politica del paese, è rimasto un sogno; tuttavia, il candidato del Front de Gauche ha incassato circa il doppio dei voti raccolti dall’estrema sinistra nel 2007.
Il risultato di Marine Le Pen è straordinario sia in termini di voti (17,9%, più alto anche del 16,9 che consentì a suo padre, nel 2002, di accedere al secondo turno) che di penetrazione nel paese: non era mai stato omogeneo
come ora su tutto il territorio nazionale. Oltre ai feudi dell’estrema destra, rappresentati dalle regioni meridionali che affacciano sul Mediterraneo, Marine Le Pen ha confermato il successo nel nord-est deindustrializzato del paese, dove è la seconda candidata più votata in dieci dipartimenti su quindici. La leader del Front National (FN) sfonda in maniera impressionante nelle zone rurali, pezzo fondamentale del puzzle politico francese. In più di un migliaio di comuni sotto i 1000 abitanti ottiene la maggioranza delle preferenze: cinque anni fa, avevano scelto
massicciamente Sarkozy.
Non si può comunque parlare di una sorpresa. La prima candidatura di Jean-Marie Le Pen alla presidenza risale al 1974; dal 1986 in poi il FN ottiene stabilmente il voto di circa il 15% dell’elettorato, a parte l’eccezione di cinque anni fa (10,4%), che ha spinto Jean-Marie a lasciare il partito alla figlia. Eppure, il consenso ricevuto dall’estrema destra continua ad avere delle caratteristiche “antisistema”. Grazie alla legge elettorale francese, che prevede il ballottaggio anche per la scelta dei membri dell’Assemblea, il FN ha sempre avuto una misera rappresentanza
parlamentare (nessun deputato negli ultimi dieci anni, ad esempio). Dunque non ha mai fatto parte di un governo, e può essere considerato il destinatario ideale di un voto di protesta.
Ma questa dimensione è cambiata, almeno in parte: Marine Le Pen ha impostato la sua campagna attorno ai temi economici, sui pilastri del protezionismo e del no all’Europa in tutte le sue forme. Il riscontro ottenuto testimonia
della presenza crescente di un elettorato non più di protesta, ma piuttosto di chiusura: i votanti del FN provengono in gran parte dalla destra tradizionale rurale e della piccola impresa, e in parte minore dalla sinistra operaia. Il persistere della crisi economica ha giocato un ruolo chiave nella preferenza, da parte di questi gruppi sociali, di una soluzione esclusivamente nazionale ai problemi del paese, in alternativa sia alle proposte di Sarkozy (che ha cancellato tutti i meeting previsti conAngela Merkel durante la campagna elettorale), sia a quelle di Hollande.
L’obiettivo di Marine Le Pen è raggiungere l’egemonia sulla destra francese, puntando sulla crisi dell’UMP – molti dirigenti di secondo piano stanno già abbandonando il partito, ora che la vittoria è in forte dubbio – anche attraverso la fondazione di una nuova forza politica. “Ce n’est pas qu’un début, continuons le combat” (è solo l’inizio, continuiamo la lotta): con questo slogan, tratto dal Maggio 1968, la leader del FN si è rivolta ai
sostenitori, dopo aver conosciuto i risultati. La sconfitta di Sarkozy è il primo passo di questa strategia: Marine Le Pen non darà indicazioni di voto per il secondo turno.
Il presidente uscente dovrà dunque sudarsi i consensi dell’estrema destra, se vorrà avere qualche speranza di ribaltare il risultato del primo turno (27,2%). È cosciente infatti che parte di quei voti provengono dal proprio
bacino elettorale, mentre un’altra parte potrebbe sceglierlo in opposizione irriducibile allo schieramento “rosso” che gli si oppone. Sarkozy dovrà far dimenticare a quegli elettori i problemi economici irrisolti e le promesse non
mantenute. Tenterà di farlo radicalizzando il proprio discorso sull’immigrazione e sul controllo delle frontiere, e, non potendosi schierare contro l’Unione Europea, punterà a sottolineare il ruolo di leader che la Francia avrebbe, con la sua riconferma, all’interno dell’UE: dobbiamo “proteggere i francesi” ha detto Sarkozy già la sera del primo turno, per cui “chi ama la patria venga con noi”.
Tra gli sconfitti, si può annoverare senz’altro François Bayrou, che era stato la rivelazione dell’elezione presidenziale di cinque anni fa. Il candidato centrista vede dimezzare i suoi voti, attestandosi in quinta posizione con il 9,1%. Un dato ancor più sorprendente se si pensa che il leader del Modem poteva rappresentare un’alternativa moderata a Nicolas Sarkozy. Ma i toni populisti della campagna elettorale, sempre più prevalenti con l’avvicinarsi del voto, lo hanno sicuramente penalizzato: i delusi dal presidente uscente hanno preso soprattutto la via dell’estrema destra. Il candidato centrista non ha ancora dato un’indicazione di voto per il secondo turno, nè è certo che ciò avverrà; ma i suoi elettori dovrebbero essere ben poco sedotti dall’idea di un secondo quinquennato di Sarkozy.
Ed è anche a loro che parla Hollande quando descrive quella “unione per il cambiamento” che dovrebbe rinnovare lo stato sulla base dell’equità, dell’interesse generale e della giustizia. L’ex segretario del PS diventerà il secondo presidente socialista della quinta repubblica se il suo discorso in difesa dello stato sociale, dell’intervento pubblico in economia e della moralità delle istituzioni riuscirà a penetrare con successo anche al di fuori delle fasce di popolazione in cui è già maggioritario. Non sarà semplice: la polarizzazione della campagna elettorale ha cannibalizzato il centro politico e ha eretto forti barriere sociali tra un gruppo e l’altro di elettori. Dunque, Hollande potrebbe scegliere di non surriscaldare troppo gli animi durante le due settimane precedenti al ballottaggio (6 maggio), per non mobilitare l’elettorato potenziale del suo avversario. Sarkozy, da parte sua, cercherà di fare l’esatto contrario.