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La Grecia tra emergenza economica, tensioni sociali e frammentazione politica

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Il tanto temuto default dell’economia greca alla fine non c’è stato. L’alta adesione dei creditori privati all’offerta di swap dei titoli di stato, oltre a comportare un’immediata riduzione del debito per circa 100 miliardi, ha permesso alla Grecia di accedere al secondo pacchetto di aiuti economici di 130 miliardi da parte dei creditori internazionali. Il piano è stato approvato dall’Eurogruppo: il presidente Jean Claude Juncker ha confermato che la prima tranche (pari a 39,4 miliardi) è già stata messa a disposizione tramite l’EFSF (European Financial Stability Facility).

Il successo dello swap dei titoli e il conseguente sblocco degli aiuti sono stati accolti con grande soddisfazione dal governo greco che, attraverso le parole del ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, ha ringraziato i creditori che hanno sostenuto l’ambizioso programma di riforme messo in campo dell’esecutivo di Atene. Ben diverso è però l’atteggiamento di gran parte della cittadinanza.

Se da una parte il governo guarda ai risultati macroeconomici e alle prospettive che gli ultimi eventi aprono per una uscita dalla crisi, dall’altra i greci affrontano una situazione sempre più difficile. La disoccupazione ha toccato, nel dicembre del 2011, la cifra record del 21% (era al 14,8% solo un anno fa). Secondo l’Istituto statistico ellenico, gli occupati sono 3,9 milioni mentre i disoccupati hanno superato il milione di unità, su una popolazione totale di 11 milioni. Se a ciò si aggiunge che molti stipendi, soprattutto nel settore pubblico, hanno subito pesanti tagli, appare chiaro come il livello di vita dei cittadini abbia subito un netto ridimensionamento.

Nonostante a gennaio vi sia stata una lieve ripresa della produzione industriale rispetto a dicembre (in calo comunque del 5% sul gennaio 2011), l’economia greca resta in recessione per il quinto anno consecutivo – e anche i settori trainanti, come quello turistico, sono in forte difficoltà. Circa il 10% degli albergatori sta cercando di cedere le proprie quote e ciò significa che circa mille strutture dovrebbero essere messe in vendita a breve. Gli albergatori pagano la diminuzione dei turisti stranieri (7% in meno nei primi due mesi del 2012), che secondo i responsabili del settore è dovuta alla pubblicità negativa legata alla crisi economica e alle violente proteste di piazza.

Anche il commercio, altro settore tradizionalmente forte, attraversa un momento di grave crisi. L’ultimo rapporto della Confederazione nazionale del commercio indica che circa un terzo delle piccole e medie aziende nella regione dell’Attica ha cessato la propria attività. L’impoverimento complessivo della società appare evidente dall’aumento delle file davanti alle mense per i poveri. Se fino a un anno fa esse erano riservate agli “ultimi”, come i senza tetto e gli immigrati, oggi a mettersi in coda per ricevere un pasto sono pensionati e disoccupati che non riescono più ad arrivare alla fine del mese.

Uno degli effetti indiretti della crisi economica è poi l’aumento della micro-criminalità e della criminalità organizzata, soprattutto nella capitale. Atene era considerata fino ad appena due anni fa molto sicura, ma ora il ministro per la Protezione del Cittadino, Michalis Chissochoidis, ha deciso di rafforzare con circa 200 agenti il gruppo speciale per il controllo dell’ordine nel centro della città (per arrivare a contare circa 3.000 unità).

Anche a questi problemi dovrà dare una risposta l’esecutivo che uscirà dalle prossime elezioni, se non si vuole correre il rischio di un ulteriore indebolimento della tenuta sociale del paese. Mentre il governo guidato da Lukas Papadimos, superata la fase più critica per l’economia greca, si appresta a terminare la propria esperienza, il paese si prepara dunque a una campagna elettorale molto delicata e dagli esiti imprevedibili.

L’incertezza sul voto ha spinto alcuni osservatori a sostenere che il governo Papadimos avrebbe dovuto rimanere alla guida del paese. Così non la pensano però i cittadini. Secondo il rapporto pubblicato mensilmente dalla società di ricerche greca Public Issue, il 61% dei cittadini vuole le elezioni (era solo il 14% nel gennaio del 2011). L’86% degli intervistati si è detto infatti totalmente insoddisfatto dell’attuale esecutivo, che vede insieme Pasok e Nea Dimokratia, ritenuto responsabile di non aver affrontato in modo appropriato la crisi. Ben il 91% afferma inoltre che la propria situazione economica sia peggiorata nel corso degli ultimi dodici mesi. I greci, dunque, continuano a non avere fiducia nel futuro prossimo.

Scarsa fiducia ripongono anche nei partiti. I giudizi sono estremamente negativi nei confronti di tutte le forze politiche, e tra i leader solo Fotis Kouvelis di Sinistra Democratica ha un indice di gradimento superiore al 50%, mentre non supera il 30% quello per Evangelos Venizelos del Pasok e per Antonis Samaras di Nea Dimokratia. Un risultato, quest’ultimo, che sorprende solo in parte, visto che Nea Dimokratia, pur attestandosi nei sondaggi come primo partito, ha visto calare i propri consensi nel corso degli ultimi mesi. Secondo i dati di Public Issue il partito di Samaras otterrebbe il 25% dei voti, seguito da Sinistra Democratica con il 15,5%, da Syriza con il 12%, dal KKE con l’11,5% e dal Pasok con l’11%. Sopra la soglia di sbarramento, fissata dalla legge elettorale al 3%, sarebbero anche il partito dei Greci Indipendenti (6,5%), il Laos (4%), Chrisì Avghì (3%) e il partito degli Ecologisti (4%).

I sondaggi mostrano dunque una forte frammentazione del quadro politico greco. I partiti di estrema destra, Laos e Chrisì Avghì (Alba d’Oro) raccolgono il voto nazionalista più radicale. Un voto di stampo identitario e nazionalista si riversa anche nel partito populista dei Greci Indipendenti, fondato dall’ex deputato e ministro di Nea Dimokratia Panos Kammenos, il quale si caratterizza per una forte opposizione alla troika e alle misure approvate per superare la crisi economica. I tre partiti potrebbero ottenere complessivamente oltre il 13% dei voti, erodendo la base elettorale di Nea Dimokratia.

A sinistra la situazione non sembra essere meno complessa. Sinistra Democratica e Syriza dovrebbero raccogliere parte dei voti in uscita dal Pasok. Cercherà di farlo anche il “Patto sociale”, il partito fondato da due ex ministri socialisti, Luka Katseli e Haris Kastanidis, il cui programma è incentrato sulla difesa della giustizia sociale e della dignità nazionale. Evangelos Venizelos deve dunque contenere l’emorragia di voti alla sinistra del Pasok e cercare di portare il partito almeno sopra la soglia del 10%. All’estrema sinistra il KKE si conferma stabile sopra l’11%, ma le sue posizioni radicali non lo rendono una potenziale forza di governo.

Allo stato attuale appare dunque improbabile la nascita di un monocolore dopo il voto. Nonostante il premio di maggioranza di 40 deputati, Nea Dimokratia non dovrebbe infatti riuscire a dare vita a un governo autonomo né potrebbe cercare alleati alla propria destra, ritrovandosi partiti contrari agli impegni presi con l’Europa. L’alternativa a sinistra appare complessa. Anche se dovessero trovare un accordo, difficile da ipotizzare al momento, Sinistra Democratica, Syriza e Pasok difficilmente avranno una maggioranza parlamentare.

L’unico sbocco potrebbe essere un nuovo esecutivo sostenuto da Nea Dimokratia e Pasok. In questo caso l’esecutivo rischierebbe però di partire con una scarsa fiducia da parte dell’elettorato greco, cha ha ampiamente dimostrato di non aver apprezzato l’attuale governo di coalizione.

La crisi economica per il momento è stata messa sotto controllo. La Grecia ha ora bisogno di trovare la stabilità politica necessaria a mettere in atto politiche di sviluppo e ad affrontare la grave situazione sociale. Sarà una lunga e difficile campagna elettorale quella che porterà i greci a decidere a chi affidare la responsabilità di governo in uno dei momenti storici più difficili per il paese.