In Libia la situazione è complessa e pericolosa. Sono tuttora in corso due guerre civili: la prima, di natura militare, tra i ribelli del CNT (Consiglio nazionale di Transizione) e gli uomini ancora disposti a lottare per Gheddafi; la seconda, che potremmo definire “fredda”, all’interno del Consiglio stesso, fra l’anima liberale e quella islamista.
In questo già critico scenario si inserisce la minaccia di un vuoto di potere e di sicurezza che potrebbe essere colmato da gruppi ideologicamente influenzati dalla corrente qaedista, e di una proliferazione sempre maggiore di armi nell’intera regione del Nord Africa.
Sul piano politico-militare, i “ribelli” non sono più gli uomini che combattevano contro il colonnello, ma gli uomini di Gheddafi impegnati a resistere al nuovo regime che a fatica si sta instaurando in Libia. L’assenza di un’unica strategia, di coordinamento e di compattezza tra le milizie del CNT, era venuta alla luce già nei primi giorni della rivolta iniziata il 17 febbraio, e oggi si sta riflettendo anche sulla scena politica. I nuovi leader della Libia non riescono ad accordarsi e formare un governo anche a causa dell’assenza di cultura politica, così come di partiti politici.
Mentre la situazione politica è in stallo, perseguono gli scontri tra miliziani del CNT e alcune sacche di lealisti di Gheddafi. È in questo clima che la NATO ha deciso di protrarre la sua missione per altri tre mesi.
I principali fronti militari sono attualmente Sebha, Sirte, Bani Walid e Ghadamis, nel sud del paese. L’obiettivo principale dei rivoluzionari è di catturare il colonnello e costringere alla resa i suoi uomini; quello dell’ex dittatore libico è di destabilizzare il paese, impedendo la formazione di un governo centrale. Secondo i media libici, i miliziani del CNT si stanno preparando, in coordinamento con la NATO, a una grande offensiva nei punti caldi sopra ricordati.
Nelle ultime settimane, sono scese in campo anche alcune tribù Touareg fedeli al colonnello, che stanno lottando in prima linea contro i miliziani del Consiglio di Transizione a Ghadamis, un’oasi libica a 549 km a sudovest di Tripoli, al confine con Algeria e Tunisia. Non si esclude che il colonnello possa nascondersi proprio in quest’area, mentre alcuni dei suoi figli, in particolare Seif al-Islam e Al-Mu’tasim, potrebbero trovarsi a Bani Walid e Sirte.
Secondo le fonti dei miliziani del CNT, le forze di Gheddafi si starebbero muovendo tra la Libia e il Niger, per pianificare una lunga guerra di logoramento.
In questo quadro di instabilità si inserisce anche la minaccia della proliferazione di armi libiche nella regione del Nord Africa, un timore paventato più volte dall’Algeria e dagli Stati Uniti. Depositi di uranio e di armi chimiche sono già stati rinvenuti in alcune aree della Libia, in particolare a Sebha, uno dei fronti in cui infuria la battaglia.
Su questo sfondo già molto instabile, il principale ostacolo è però il profondo scontro ideologico all’interno del CNT, tra islamisti e liberali. Il premier ad interim, Mahmoud Jibril – il quale ha già annunciato che non prenderà parte al prossimo governo – è osteggiato da alcuni esponenti del Consiglio, in particolare dagli islamisti.
Al-Hadi Shalluf, uno dei quattro candidati alla presidenza del Consiglio in Libia, ha messo in guardia dalla lotta fra laici ed islamisti, che potrebbe trasformarsi in un conflitto di natura tribale.
Sul fronte jihadista, la casa madre qaedista non ha ancora assunto una posizione compatta e ufficiale sul caso libico, e ciò trova conferma nella confusione tra gli utenti dei blog e dei siti jihadisti. Tuttavia, sta emergendo un crescente sentimento anti-CNT: l’organismo è considerato un “agente” dell’Occidente, mentre cresce il sostegno alle correnti islamiste, in particolare la brigata “I martiri di Abu Salim”, con base a Derna (centro nevralgico della corrente salafita libica) e gli uomini di Abdelhakim Belhajj, già emiro del Gruppo Islamico Libico Combattente e oggi comandante del Consiglio militare di Tripoli.
Intervistato dal giornale egiziano Al-Watan al-Arabi, Rami Al-‘Ubaidi, cugino del generale Abdelfattah Younis (ex capo di Stato maggiore dell’Esercito dei ribelli e responsabile della sicurezza esterna per il CNT, assassinato alcuni mesi fa) ha confermato questo scontro interno al CNT.
Nonostante il sostegno occidentale e la disponibilità dei proventi dell’industria estrattiva – almeno nell’ottica di una ripresa graduale della produzione – le sfide per il governo ufficialmente riconosciuto sono molte e l’esito della vicenda libica rimane assai incerto.