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Le misure salva-euro: too little, too late

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Un giudizio decisamente negativo è stato finora emesso dai mercati finanziari sulle misure decise dall’ultimo Consiglio europeo convocato in seduta straordinaria per scongiurare il tracollo della Grecia e il rischio di contagio verso Spagna e Italia. I premi di rischio dei titoli pubblici di Spagna e Italia hanno ripreso a salire rapidamente, stabilendo nuovi record. Ai tassi di crescita attuali, sono livelli destinati a diventare insostenibili nell’arco di poco tempo. Certo lo stallo politico e il possibile default fino all’ultimo degli Stati Uniti non hanno aiutato. Va poi considerato il ruolo della speculazione e delle Agenzie di rating, a cui alcuni continuano a addossare le maggiori responsabilità. Ma il fatto è che proprio le misure europee, pur rappresentando un passo avanti nella giusta direzione, offrono rimedi solo temporanei e, a ben guardare, insufficienti a contenere la crisi del debito della zona euro. Che resta così aperta a sbocchi diversi, anche i più estremi.

 

Il salvataggio della Grecia

Tra le decisioni prese dal Consiglio europeo, quelle riguardanti la Grecia presentano aspetti indubbiamente positivi anche perché verranno estese agli altri due paesi dell’Eurozona titolari di piani di salvataggio (Portogallo e Irlanda). Le riduzioni dei tassi (potranno scendere fino al 3,5 per cento) e gli allungamenti delle scadenze (estese fino a 30 anni) dei prestiti da concedere sono davvero consistenti. Possono restituire probabilità di successo ai processi di ripianamento dei debiti sovrani di questi paesi, che erano ormai considerati senza speranza a causa di condizionalità (costi e durata) finora estremamente punitive. Nel caso della Grecia sono probabilità comunque esigue, se si guarda ai suoi dati economici più recenti e si considera la modesta ristrutturazione del suo debito sovrano (-21%), almeno rispetto alle indicazioni venute fin qui dal mercato (dal -35 al -50%), e che verrà attuata col coinvolgimento del settore bancario privato.

Una rilevante conseguenza è che questa non sarà né l’ultima né l’unica ristrutturazione dell’area euro, a dispetto della solenne dichiarazione inserita nel comunicato conclusivo del Consiglio. Piani di riduzione del debito dello stesso tenore è molto probabile dovranno essere approntati, in un futuro più o meno lontano, a favore della  stessa Grecia come di altri paesi membri, a partire da Irlanda e Portogallo.

 

Il rischio sistemico dell’area euro

Il secondo insieme di misure prese nell’ultimo Consiglio di Bruxelles è diretto ad evitare l’attuale persistente diffusione della crisi al resto della zona Euro. E non vi è dubbio che il contagio rappresenti oggi la minaccia più seria alla stessa sopravvivenza dell’Unione monetaria europea (Ume).

Il problema da risolvere è fondamentale in questo caso e merita una breve riflessione. I paesi oggi più in difficoltà – come Spagna e Italia – sono particolarmente vulnerabili a repentini mutamenti della fiducia dei mercati e dei flussi di finanziamento dei debiti sovrani proprio perché membri dell’area monetaria. A causa delle attuali modalità di funzionamento dell’Ume, il rischio di una crisi di liquidità può svilupparsi rapidamente ed è in grado di autoalimentarsi, fino alla possibilità di scatenare una vera e propria crisi di solvibilità di questi paesi, anche se caratterizzati da fondamentali relativamente solidi.

Sono rischi sistemici che possono generare effetti di contagio potenzialmente devastanti per l’intera area euro, visto che la Spagna e, soprattutto, l’Italia sono paesi troppo grandi – lo si è ripetuto più volte – sia per fallire che per essere salvati. Per scongiurarli servirebbero meccanismi adeguati di difesa e assistenza finanziaria a livello dell’intera Ume, in capo alla Banca centrale e/o a una vera Agenzia europea, ma di cui l’area euro è tuttora priva.

E’ stata la crisi finanziaria a svelare queste contraddizioni insite nell’unione monetaria. Un contributo è venuto anche dai mercati finanziari globali in quanto soggetti a frequenti ondate di euforia e di paura, spesso alimentate da voci e rumori anche  i più disparati e non contrastati da efficaci meccanismi di autocorrezione dei mercati. Uno scenario finanziario internazionale – va aggiunto – in cui la speculazione opera pressoché indisturbata e senza regole.

 

I dubbi sull’Efsf

E’ per contrastare questi rischi di contagio che il Consiglio europeo ha deciso di rafforzare il Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria (European Financial Stability Facility, Efsf) e, in prospettiva, l’ESM, il Fondo permanente di stabilizzazione (il cui avvio è previsto dalla seconda metà del 2013) attribuendogli il ruolo di prestatore di ultima istanza, deputato a arginare quelle possibili crisi di liquidità-solvibilità prima richiamate. Si è pensato così di rafforzare ed estendere i suoi poteri e attribuzioni in modo che l’Efsf possa acquistare titoli sovrani sul mercato secondario, intervenire anche a scopo precauzionale, ricapitalizzare le  banche.

Si tratta indubbiamente di passi innovativi e nella giusta direzione. Ma i mercati e i singoli operatori ne sono rimasti assai poco impressionati. Per quel che si può intuire, per un duplice ordine di ragioni. Il rafforzamento di un istituto come l’ Efsf è ben lungi dall’essere considerato – per come è costruito ed opera – un adeguato meccanismo di sostegno e assistenza dell’Ume. In secondo luogo per svolgere al meglio le nuove funzioni l’Efsf avrebbe bisogno di un incremento enorme di risorse rispetto all’attuale dotazione (qualcosa come quattro o cinque volte la capacità di emissione attuale) oltre che di radicali modifiche dei suoi meccanismi decisionali, attualmente troppo rigidi e poco autonomi per consentire interventi efficaci e tempestivi sui mercati. 

Di qui una percezione diffusa che l’Efsf sarà messo in grado di esercitare solo parzialmente l’azione di deterrenza assegnatagli e non riuscirà a modificare la vulnerabilità di paesi come l’Italia e la Spagna e, con essa, i rischi di un contagio esteso all’intera area euro.


Quale futuro per l’euro?

Per avere la sola risposta che conti dovremo attendere le prossime settimane. C’è da aggiungere, in ultimo, che la negativa risposta dei mercati alle recenti misure europee appare riproporre con forza una strada alternativa che era ed è possibile, tuttora, seguire. E’ quella di introdurre veri meccanismi di sostegno in grado di ripristinare la fiducia – com’è noto – attraverso l’assunzione collettiva a livello europeo dei rischi derivanti dai debiti sovrani, come avverrebbe con la trasformazione dell’Efsf (o dell’Ems) in una vera Agenzia del debito europea in grado di offrire garanzie e effettuare l’ emissione congiunta di titoli, i famosi eurobond. Una forte integrazione fiscale e finanziaria in poche parole. E’ questa la via maestra in grado di offrire una soluzione alla crisi dell’euro. Il problema non è tecnico ovviamente ma politico, ed investe il futuro dell’Euro e dell’integrazione dell’Europa. Su questo fronte, la risposta della Germania e dei paesi più ricchi e virtuosi del Nord continua ad essere negativa. Ma alla prossima crisi, chissà!