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Un voto all’ONU che certifica il fallimento russo

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L’Assemblea Generale dell’ONU ha votato una risoluzione di condanna dei referendum con cui la Russia ha preteso di annettere le quattro province ucraine in parte occupate di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson. Il risultato del voto tenuto il 12 ottobre è un’umiliazione cocente per Vladimir Putin. Le votazioni all’ONU, in effetti, costituiscono un’ottima radiografia degli orientamenti dei Paesi del mondo, perché offrono la possibilità di valutare le posizioni di Stati grandi e piccoli, in tutti i continenti, nello stesso momento e sullo stesso tema. Ecco alcune conclusioni che possiamo trarre dal voto delle Nazioni Unite, che si è chiuso con 143 favorevoli alla mozione, 5 contrari e 35 astenuti.

L’esito del voto sulla risoluzione di condanna dei referendum russi in Ucraina.

 

1) Solo quattro Paesi hanno votato in favore della Russia. Si tratta di Corea del Nord, Bielorussia, Siria e Nicaragua. Una compagnia davvero imbarazzante per Putin. Sono quattro Stati retti da dittatori assoluti che schiacciano nel sangue ogni opposizione. Da dove chi può, scappa – cosa che sta diventando normale anche in Russia.

Ai leader di questi Paesi, Kim Jong-un, Aleksandar Lukashenko, Bashar al-Assad, Daniel Ortega, il referendum illegale messo su da Putin in Ucraina sotto occupazione militare dev’essere sembrato un trionfo di pacifismo e garantismo democratico.

2) Gli alleati e i satelliti storici della Russia si sono tirati indietro. La Cuba di Raùl Castro si è astenuta. Il Venezuela di Nicolàs Maduro non si è presentato al voto, cosa che fa regolarmente dall’inizio della guerra in Ucraina nelle votazioni che riguardano la Russia. Anche gli Stati dell’Asia centrale, con cui Mosca intrattiene rapporti strettissimi, cioè Kazakistan Uzbekistan Kirghizistan Tagikistan e Turkmenistan, si sono astenuti o non hanno votato. Lo stesso nel Caucaso: l’Armenia, che era stata sostenuta dalla Russia nel conflitto contro l’Azerbaijan, si è astenuta (Baku non ha votato). La Georgia, che si ritrova due regioni occupate dalla Russia, e Mosca vorrebbe annettere anche quelle mediante referendum, è stata un po’ (nel 2008) il modello dell’invasione odierna dell’Ucraina; ha votato contro.

E’ davvero difficile considerare queste astensioni, poi, come un chiaro sostegno indiretto al Cremlino, se non altro perché chi fosse apertamente a favore voterebbe in modo esplicito; si ritrovano un certo imbarazzo e una notevole dose di cautela e ambiguità diplomatica, anche nel comportamento di quegli Stati che in passato si erano schierati senza tentennamenti a fianco di Putin. Ad esempio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si espresse il 7 aprile 2022 sulla risoluzione per sospendere la Russia dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU – in seguito alla scoperta di prove che dimostravano crimini di guerra russi in Ucraina, a Bucha e altrove. In quella occasione, gli Stati dell’Asia centrale votarono tutti contro (dunque in favore di Mosca), e nessuno di loro si astenne. E così anche Cuba, mentre il Venezuela anche allora disertò.

L’esito del voto sulla risoluzione di sospensione della Russia dal Consiglio dei Diritti Umani, 7 aprile 2022.

 

3) Nemmeno i grandi alleati sullo scacchiere globale, o comunque le potenze che hanno collaborato in maniera più stretta con Putin negli ultimi anni, hanno voluto sostenere Mosca in questa circostanza. La Cina di Xi Jinping e della sua “amicizia senza limiti” si è astenuta. L’India anche –  ma l’astensione indiana non è un insuccesso per la Russia, dato che il New Delhi ha anche forti legami con gli Stati Uniti, rafforzati recentemente da manovre militari presso il confine sino-indiano. Legami che in effetti Washington non riesce a trasformare in un sostegno granitico: l’India continua a rifiutarsi, appunto, di partecipare alle sanzioni contro Mosca. L’Iran? Non ha votato. La Turchia? ha votato contro la Russia. Il 7 aprile, invece, Cina e Iran si erano espresse in favore della posizione russa; l’India aveva mantenuto la sua equidistanza con un’astensione, la Turchia era contro anche allora.

 

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4) Molte altre delle astensioni vengono dall’Africa. In Africa centrale, negli ultimi anni, la Russia ha promosso e favorito ripetuti colpi di stato, per esempio in Mali, Burkina Faso, Guinea. Qui si registrano re astensioni per Mosca. Può essere considerato simbolico, ma non certo un successo: il Mali aveva votato con Mosca, in aprile – gli altri due non avevano partecipato. Tra gli ulteriori astenuti africani di un certo calibro, si registrano anche Algeria, Etiopia, Congo, Sudan, Sudafrica, Namibia: i primi tre, ad aprile, avevano votato in favore della Russia.

In America Latina, stavolta, oltre al già citato voto pro-russo del Nicaragua, solo la Bolivia si è astenuta, e tutti gli altri hanno votato contro i referendum di Putin – a parte il Venezuela che, come detto, non si è presentato. In aprile gli astenuti in quest’area del mondo erano stati tanti, tra cui Messico e Brasile, e la Bolivia aveva persino votato in favore di Mosca. In Asia si sono astenuti soltanto alcuni Stati politicamente molto vicini alla Cina: Mongolia, Tailandia e Vietnam. Tutto il Medio Oriente, con l’eccezione del già citato Iran, ha invece votato in favore della mozione di condanna, inclusi Egitto e Libia in Nord Africa.

Insomma, la votazione alle Nazioni Unite è stata un vero rovescio per la Russia di Putin. La risoluzione contro le annessioni delle quattro province ucraine ha raccolto persino più voti di quella che condannava l’invasione: si tenne il 2 marzo, e i favorevoli furono 141, uno in meno del 12 ottobre. L’Europa ha votato compatta: tutti favorevoli alla condanna dei referendum, incluse Ungheria e Serbia.

Contano le sconfitte militari delle ultime settimane, certo, che hanno mostrato a tutto il mondo come l’azzardo dell’invasione militare su larga scala si sia trasformato in un conflitto devastante e destabilizzante a livello globale. Conta la smaccata illegalità e la grande superficialità con cui uno Stato come la Russia ha proclamato l’annessione di province che nemmeno controlla, con un voto alla cui regolarità non crede proprio nessuno. Ma conta anche, in buona misura, l’assurda disinvoltura con cui il Cremlino ha brandito la minaccia nucleare nelle ultime settimane. Una minaccia che il mondo vuole rispedire al mittente.