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Repubblicani e Democratici, nessuno può ancora cantare vittoria

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Dopo mesi di sondaggi e previsioni, ci si attendeva che i primi due appuntamenti elettorali delle primarie americane semplificassero la campagna presidenziale. I voti nell’Iowa e nel New Hampshire hanno invece complicato il quadro politico. In Iowa hanno vinto Hillary Clinton e Ted Cruz, in New Hampshire Bernie Sanders e Donald Trump. Ma la mera enumerazione dei vincitori serve a poco, così come il numero dei delegati in palio, appena poco più dell’1% del totale. Conta di più verificare il riscontro delle aspettative della vigilia e l’entusiasmo che buoni e inattesi risultati possono generare sul seguito della campagna elettorale.

In campo democratico, Hillary Clinton era data come nettamente favorita in Iowa, dove invece ha prevalso solamente per una manciata di voti. Lo stato del Midwest è servito a escludere dalla contesa l’ex governatore del Maryland, Martin O’Malley, mai stato veramente in corsa, e che si è ritirato dopo il primo deludente risultato ufficiale. Il voto in Iowa ha inoltre dato morale ed entusiasmo alla campagna di Sanders, il quale già da molte settimane era in forte recupero nei sondaggi. Il senatore del Vermont, autodefinitosi come l’unico “socialista” del Senato americano, conduce una campagna basata sui principi, sull’etica e sull’uguaglianza. Mentre Clinton insiste su esperienza ed eleggibilità. Secondo gli exit poll, l’84 per cento degli elettori dell’Iowa fra i 17 e i 29 anni ha votato per lui, mentre l’ex first lady è stata la preferita dagli ultracinquantenni. Sanders è il candidato progressista e anti-conformista, Clinton quello dell’establishment.

Proprio per questa ragione, e sebbene fosse stata prevista dai sondaggi, la vittoria di Sanders in New Hampshire (oltre 20 punti di margine) ha del clamoroso. Nonostante osservatori distratti tendano a considerarlo come roccaforte liberal, questo piccolo stato nord-orientale è diverso dagli altri territori del New England: ha un’alta componente di elettori registrati come ‘indipendenti’, ancora nel 2000 scelse George W. Bush alle elezioni presidenziali ed è tuttora considerato uno swing state. Ancor più rilevante il fatto che proprio qui, nel 2008, Hillary Clinton si impose su Barack Obama, rilanciando, almeno temporaneamente, il proprio primo tentativo presidenziale. Nel 1992, inoltre, un inatteso secondo posto diede il soprannome di ‘comeback kid’ a Bill Clinton. Da quel risultato, Bill ottenne la visibilità mediatica che gli permise di recuperare e poi vincere una campagna per le primarie che si era fatta molto difficile.

Hillary può consolarsi col fatto che gli ultimi tre presidenti americani (Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama) sono arrivati secondi in New Hampshire nelle rispettive prime campagne per la Casa Bianca. Ma ora le serve una vittoria nei prossimi caucus del Nevada o nelle primarie del South Carolina per interrompere la tendenza di cui sta beneficiando Sanders. Tuttavia, sembrano ripresentarsi per lei gli spettri del 2008: partita anche allora come l’assoluta favorita democratica e forte di una notevole raccolta fondi e di numerosi endorsement, la sua campagna ha poi via via perso slancio, a fronte dei successi elettorali e del crescente entusiasmo generati da un outsider che parlava al futuro, considerato più a sinistra di lei e amato dai giovani.

Sanders però non è Obama: la reputazione di ‘socialista’, che continua a essere vista con sospetto negli Stati Uniti, non è solo un’etichetta mediatica e potrebbe danneggiarlo sia negli stati dove l’elettorato democratico è più moderato (già il Nevada rappresenterà un buon test in questo senso), sia soprattutto in un’eventuale elezione generale. Da non dimenticare poi il fattore dell’età: il senatore del Vermont compirà 75 anni l’8 settembre prossimo e rischierebbe quindi di essere contemporaneamente il candidato più di sinistra e più vecchio di sempre. Più progressista del George McGovern del 1972, più anziano del Ronald Reagan del 1984. Due handicap non da poco, che aprirebbero il campo a un altro scenario piuttosto raro: la candidatura fuori dai due partiti di un profilo moderato e popolare, come quello dell’ex sindaco di New York Michael Bloomberg.

Le primarie repubblicane sono ancora più incerte, se non altro per il numero di candidati in corsa, tuttora assai elevato. Il risultato dell’Iowa è servito a costringere al ritiro il libertario Rand Paul e gli ultra-conservatori Mick Huckabee e Rick Santorum, mentre il voto del New Hampshire dovrebbe indurre Ben Carson e Jim Gilmore ad arrendersi. Carly Fiorina e Chris Christie sembrerebbero formalmente ancora in corsa, ma le loro speranze sono ormai praticamente nulle. Rimangono quindi in gara ben cinque candidati, in una situazione in costante evoluzione.

Donald Trump ha dominato media e sondaggi per tutta la campagna elettorale. Le sue sparate anti-establishment, populiste e talvolta perfino razziste hanno fatto breccia in un vasto elettorato ‘arrabbiato’, per il quale la crisi economica non sembra essere mai finita. Dato favorito in Iowa è invece arrivato secondo. La momentanea battuta d’arresto è stata però superata grazie alla netta affermazione in New Hampshire, dove ha superato di quasi venti punti tutti i rivali. Rimane il frontrunner, amato dalla base e inviso dall’establishment del partito per il suo populismo radicale. Ritenuto totalmente inadatto a una campagna per la Casa Bianca, potrebbe paradossalmente beneficiare dei successi dell’altro populista Sanders in ambito democratico. Rischia di prefigurarsi così un incredibile duello presidenziale iperpolarizzato.

Ted Cruz ha vinto in Iowa con il 28% dei voti, riuscendo a compattare la base più conservatrice del partito. Tuttavia la particolare composizione sociale del piccolo stato del Midwest non rende il caucus repubblicano foriero del risultato finale. Qui nel 2008 vinse Mike Huckabee e nel 2012 Rick Santorum, due beniamini dell’elettorato più religioso. In New Hampshire, Cruz è giunto invece terzo, sfiorando il 12%, ma senza dare l’impressione di essere riuscito a capitalizzare la vittoria precedente. A questo punto, è senz’altro possibile che Cruz ottenga ancora buoni risultati e magari vinca qualche stato del Sud, ma è molto difficile che possa conquistare la nomination repubblicana.

Marco Rubio è giunto terzo in Iowa con il 23%, conquistando 7 delegati. Da molti osservatori, il 44enne senatore della Florida è stato ritenuto come il vero vincitore del primo appuntamento elettorale repubblicano. Conservatore ma dall’apparenza non oltranzista, outsider ma non anti-establishment, Rubio ha un profilo interessante che potrebbe garantirgli nel medio periodo l’appoggio del partito centrale. Giovane e di origini cubane, sarebbe un candidato molto efficace in chiave presidenziale. Subito dopo l’ottima performance in Iowa è però incappato in un disastroso dibattito televisivo e in New Hampshire è arrivato quinto, pur superando lo sbarramento del 10% che gli permette di ottenere delegati per la convention finale. Un rapido ritiro di altri candidati repubblicani lo avvantaggerebbe di molto, portandolo a essere il vero anti-Trump.

John Kasich è arrivato secondo in New Hampshire, conquistando oltre il 16% dei voti. Apprezzato governatore dell’Ohio, è forse il più esperto e titolato tra i repubblicani in corsa. Non ha praticamente fatto campagna elettorale in Iowa, per concentrarsi su stati meno conservatori. Ha ricevuto l’endorsement del New York Times, è destinato a crescere nei sondaggi e rappresenterebbe una scelta ad alta eleggibilità, ma è ancora poco noto al grande pubblico e sconta una raccolta fondi non all’altezza degli altri sfidanti. Chi non ha problemi di soldi è certamente Jeb Bush che però ha finora deluso le attese. Sembrano lontanissimi i tempi in cui era dato come il favorito per la nomination repubblicana. Quinto in Iowa, quarto in New Hampshire, la sua campagna sembra non riuscire a decollare. Nell’ultimo dibattito repubblicano è sembrato più tonico e deciso che nei precedenti, ma forse è già tardi anche per lui.