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Putin-Xi: un’alleanza asimmetrica

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 Vladimir Putin ha perso l’Europa e l’America, decidendo di combattere la sua guerra distruttiva in Ucraina. E si è messo nelle mani della Cina, paese che i russi non hanno mai amato. Il vertice con Xi Jinping, a Pechino il 16 maggio, conferma una volta di più questa deriva di Mosca: da Ovest ad Est. La Russia non è mai stata così lontana dall’Europa; e non è mai stata così dipendente dalla Cina nella sua storia. E’ un risultato positivo per Mosca?

Xi Jinping e Vladimir Putin a Pechino il 16 maggio

 

No, per tre motivi fondamentali. Primo: il rapporto fra Russia e Cina è fortemente asimmetrico. La Repubblica Popolare è una superpotenza, che guarda soprattutto ai mercati occidentali e al futuro della sua posizione strategica in Asia orientale. Dal punto di vista di Pechino – così come per Washington – la Russia è una potenza regionale in declino. Con migliaia di testate nucleari ma con una forza economica limitata, oggi trainata da una vera e propria “economia di guerra”. La Russia è il junior partner di una cooperazione strategica fortemente sbilanciata.

 

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Secondo motivo: Pechino non ha mai veri alleati e non ha alleati permanenti. Muove solo, in modo pragmatico, dai propri interessi. Sosterrà Mosca fino a quando riterrà che le convenga e che non le costi troppo. Fino ad oggi, sfruttare le conseguenze della guerra in Ucraina le è convenuto. Pechino ha comprato da Mosca gas a prezzo scontato e materie prime di cui ha bisogno. Prima della guerra, il commercio della Russia con l’Europa era il doppio di quello con la Cina; oggi è meno della metà, mentre gli scambi con la Cina sono aumentati del 60% nel 2023. La moneta usata nelle transazioni fra i due paesi è lo yuan, non il dollaro o l’euro.

Ma la Cina, che vive una fase economica interna non facile, è comunque attenta ad evitare sanzioni secondarie americane, in particolare per le sue banche. Non a caso, il commercio bilaterale Cina-Russia è entrato in una fase di lieve rallentamento negli ultimi tre mesi, da quando Washington ha cominciato a denunciare in modo aperto le esportazioni cinesi di tecnologie “a doppio uso” alla Russia, con le loro applicazioni militari. Il rapporto economico fra Pechino e Mosca sarà quindi sempre condizionato dalle priorità della Cina, mentre la Russia non ha molte altre scelte per bilanciare le sanzioni occidentali. E Pechino ha chiare due cose: non intende diventare troppo dipendente dalle forniture energetiche russe, non a caso la costruzione del nuovo gasdotto siberiano è ancora in alto mare; e sa bene che, per la sua economia, i mercati occidentali sono molto più rilevanti di quello russo. Di conseguenza, il suo sostegno alla Russia resterà limitato per definizione.

Terza ragione: ciò che unisce Mosca e Pechino è l’obiettivo condiviso di bilanciare il predominio degli Stati Uniti nel sistema internazionale, o meglio ciò che ne rimane (egemonia militare, forza del dollaro). E’ una forma combinata di contenimento: per la Russia sul teatro europeo; per la Cina in Asia. Ma se lo scenario è condiviso, gli strumenti per realizzarlo lo sono assai meno. Xi non ha apprezzato che Putin, prima del febbraio del 2022, gli avesse annunciato una operazione militare rapida e quasi indolore in Ucraina. Non a caso, la Cina ha sempre negato di dare armi alla Russia, anche se fornisce componenti utili alla guerra.

Se per Putin il conflitto in Ucraina è esistenziale, Pechino vede nella guerra ai confini dell’Europa una prova generale per testare la tenuta occidentale in vista di un futuro showdown su Taiwan. Entrambe, Cina e Russia, puntano sulle divisioni in Europa e negli Stati Uniti. Ma Pechino ha un’agenda pragmatica e di lungo periodo; Mosca ha scelto una rottura frontale. E Xi Jinping gioca la carta dell’ambiguità: durante il summit con Putin, ha sostenuto che la potenza cinese vuole la stabilità e la pace; ma ha poi annunciato nuove esercitazioni militari con Mosca. La Cina continua insomma a giocare su due registri diversi: facendo capire che potrebbe mediare ma che non è detto che lo farà. Dopo tutto, la “distrazione” di Washington dal teatro asiatico le conviene.

In conclusione, la Cina sta assorbendo parte dell’economia della Russia, prendendo il controllo di vaste risorse naturali a prezzi vantaggiosi. Non siamo, in effetti, di fronte a una vera e propria alleanza, tanto più “senza limiti”. Siamo di fronte a un matrimonio di convenienza, che per Putin non ha plausibili alternative, e che per Xi – almeno per ora – offre più vantaggi che costi.

Avere chiaro che le agende di Russia e Cina non sono poi così univoche potrebbe offrire qualche spazio diplomatico agli Stati Uniti e a un’Europa che riescano a non dividersi. Ma non sarà affatto facile, specie in una fase elettorale come quella attuale.

Per entrambe, Pechino e Mosca, è comunque Washington l’interlocutore che conta davvero.

 

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Per l’Europa, lo scivolamento verso la Cina di una Russia revanscista è in ogni caso una sfida – militare, economica e politica; ed è una sfida quanto mai rischiosa e costosa. Abbiamo di fronte – ricorda Alexander Gabuev del Carnegie di Berlino – lo scenario orwelliano descritto dallo scrittore Vladimir Sorokin in un noto racconto del 2006: una Russia ormai profondamente anti-occidentale, che sopravvive grazie alla tecnologia cinese mentre torna, all’interno e all’esterno, alla brutalità del passato.

 

 


*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 17/05/2024