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Progressi e limiti della deterrenza nucleare della Cina

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L’ultimo libro bianco della strategia militare cinese, pubblicato nel maggio 2015, afferma che “senza un esercito forte, un paese non può essere né sicuro né forte”. Tradotto: per Pechino è essenziale adeguare la crescita dell’apparato militare a quella economica. La Cina è storicamente una potenza terrestre, ma oggi aspira a diventare una potenza marittima per respingere i suoi antagonisti in Asia-Pacifico: in primis, USA e Giappone. Anche andando oltre la strategia d’interdizione tradizionale, che limitava il suo raggio ai Mari Cinesi, in gergo tecnico “anti-access/area-denial A2/AD”.

In tale contesto la deterrenza nucleare ha un ruolo fondamentale.

Nel 2015, Pechino ha lanciato una grande riforma per modernizzare il proprio apparato militare. Contestualmente, sta sviluppando il suo arsenale nucleare sul piano qualitativo e quantitativo per sviluppare la cosiddetta “triade nucleare”: sistemi di lancio per terra, mare e aria. I passi in avanti sono stati significativi. La capacità di deterrenza cinese però, fondamentale per difendere gli interessi nazionali, presenta ancora limiti in termini di dimensioni, tecnologia ed esperienza operativa.

 

La riforma dell’esercito in un contesto ostile

Il Mar Cinese Meridionale e Orientale rappresentano per la Cina l’area di maggiore vulnerabilità geopolitica. In primo luogo, queste acque bagnano il “cuore” del paese, dove si concentra la maggioranza della popolazione di etnia han e i suoi principali poli politici (Pechino) ed economici (Shanghai, Guangzhou, Hong Kong). In secondo luogo, i due mari sono ricchi di risorse energetiche, ittiche e sono solcati dai principali flussi commerciali internazionali, inclusi quelli da e per la Cina.

Dalla prospettiva di Pechino, i Mari Cinesi sono in effetti costellati di antagonisti. Il Giappone, lo storico rivale e invasore. La Corea del Sud, con una corposa presenza di truppe USA, e in procinto di ospitare il sistema antimissile americano THAAD – benché apparentemente questo sia stato pensato contro Pyongyang. Taiwan, considerata una provincia che la Repubblica Popolare vorrebbe riconquistare nel lungo periodo. Le Filippine del presidente Rodrigo Duterte, che cerca una posizione intermedia tra Cina e Stati Uniti. Questi paesi (ciascuno in misura diversa) sono legati economicamente alla Repubblica Popolare, me ne temono la rapida crescita militare. Per questo, cercano – e trovano – l’appoggio degli Stati Uniti. La nuova amministrazione guidata dall’imprevedibile Donald Trump percepisce la Cina in declino sul piano economico e punta in pratica a consolidare il “Pivot to Asia”, la strategia di contenimento della Repubblica Popolare promossa – con scarso successo – dal suo predecessore Barack Obama. L’incognita è se il Pivot, non implementato a dovere, sarà sostituito da strumenti più “hard” per frenare le crescenti ambizioni di Pechino

In tale scenario incerto, la Cina ha lanciato nel 2015 una grande riforma dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) e adottato una posizione diplomatico-militare più assertiva, che implica anche la costruzione di isole artificiali dotate di infrastrutture civili e militari nel Mar Cinese Meridionale. La riorganizzazione voluta dal presidente Xi Jinping prevede un’Epl meno “esercito-centrico”, le cui forze siano in grado di condurre operazioni congiunte e “vincere le guerre locali informatizzate”; è stata perciò introdotta una Forza di supporto strategico, cioè il nucleo della guerra informatica, con il compito di guidare l’innovazione militare cinese nell’ambito cibernetico ed elettronico e favorire l’integrazione tra le attività delle varie armi. I comandi amministrativo e operativo saranno accentrati nella Commissione militare centrale – quindi in Xi Jinping stesso, che la presiede – a discapito dei quartier generali, che prima avevano maggiore voce in capitolo; i 7 “comandi regionali” sono trasformati e ridotti in 5 “zone di guerra” e 300mila unità saranno tagliate. Infine, il Secondo corpo d’Artiglieria è stato sostituito dalla Forza missilistica, cui spetta il controllo dei missili strategici convenzionali e nucleari.

Per guidare la riforma dell’Epl (ed estromettere chi vi si oppone), il presidente Xi, oltre a ricoprire il ruoli di capo della Commissione militare centrale (l’organo al vertice dell’Epl), è anche comandante in capo del Centro di comando di battaglia congiunto della Cmc, presidente del Gruppo direttivo centrale per le riforme militari, di quello per il pieno approfondimento delle riforme, della Commissione centrale per la sicurezza nazionale e di quella per l’integrazione tra industria militare e civile.

 

La Forza missilistica

Questa branca dell’Epl è il “nucleo della deterrenza strategica” cinese. L’utilizzo del termine “Forza” è rilevante poiché equipara l’organo riformato a quelle di terra, della Marina e dell’Aeronautica. La Forza missilistica ha tra i suoi obiettivi elevare la qualità tecnologica dell’arsenale, rafforzare le capacità di deterrenza strategica, condurre contro-attacchi nucleari e lanci di precisione a medio e lungo raggio.

In tale campo, non mancano i test. Pechino sta valutando l’efficacia del missile intercontinentale Dongfeng (DF)-5C, che è in grado di portare testate nucleari multiple; del DF-16, che ha una gittata di mille chilometri e sarebbe quindi capace di colpire basi statunitensi, giapponesi e filippine; del DF-41 installato su un lanciatore mobile, che dalla costa della Repubblica Popolare potrebbe colpire l’America continentale in 30 minuti.

La Cina può contare anche sui DF-21D. Si ritiene che questi missili balistici di medio raggio possano colpire navi nemiche in movimento, ma non sono mai stati testati in mare aperto. Inoltre, il governo cinese sta sperimentando i bombardieri di lunga gittata H-6K, in grado di portare armi nucleari e non convenzionali. Questi hanno un raggio di circa 3.500 chilometri e possono raggiungere solo la Russia, la base USA di Guam e il subcontinente indiano. Gli H-6K hanno recentemente condotto pattugliamenti nel Mar Cinese Meridionale. Qui, la costruzione delle isole artificiali potrebbero consentire operazioni di rifornimento in mare aperto e dunque un ampliamento dello spazio d’azione.

In fase di sperimentazione è anche il missile supersonico DF-ZF, che può superare la velocità del suono di 10 volte ed è ritenuto in grado di penetrare i sistemi di difesa Usa.

Pechino ha svelato recentemente il lanciamissili balistici antinave CM-708UNB e dispone ora di almeno 4 sottomarini balistici classe Jin (tipo 094) che, secondo il dipartimento della Difesa americano, rendono credibile per la prima volta la capacità di second strike nucleare della Repubblica Popolare. Ciò è fondamentale visto che Pechino aderisce formalmente alla politica del no first use nucleare, alla strategia della “difesa attiva” e al mantenimento di un arsenale ai livelli minimi richiesti per garantire la sicurezza nazionale.

In via teorica, i sottomarini classe Jin possono nascondersi nelle profondità oceaniche, sfuggire a un attacco e quindi rispondere (da qui l’importanza per il second strike). Sono equipaggiati con missili balistici JL-2, la cui gittata stimata è di 7.400 chilometri. A causa della loro portata relativamente limitata, dovrebbero inoltrarsi nei colli di bottiglia dell’Asia-Pacifico senza essere localizzati per colpire gli Usa. Ciò costituisce un rischio poiché questa serie di sottomarini è oggi rintracciabile dai nemici. Inoltre, pare che questi sottomarini non abbiano ancora la tecnologia adatta per comunicare da grandi profondità. Non è ancora chiaro se la catena di comando e controllo dei sottomarini classe Jin sarà gestita dalla Forza missilistica, dalla Marina o da entrambe con un meccanismo ibrido. Tale scelta è importante per la stabilità strategica nucleare cinese.

 

I limiti dell’Epl

La capacità di deterrenza cinese è notevole. Tuttavia, in termini quantitativi, l’arsenale nucleare della Repubblica Popolare non è paragonabile a quello americano. Lo Stockholm Research Institute (Sipri) stima che i cinesi abbiano 260 testate, la Russia 7.290, gli Usa 7.000 e la Francia 300. Secondo la US-China Economic and Security Review Commission, la Forza missilistica dell’Epl ha almeno 1.330 e potenzialmente più di 1.895 missili balistici e di crociera, che includono 1.000-1.200 missili balistici di breve gittata, 75-100 di media gittata, 5-20 di gittata intermedia, 50-75 missili balistici intercontinentali e 200-500 missili da crociera terra-terra.

Non è noto quanto la Cina investa nella deterrenza nucleare. Il budget militare dell’Epl è tradizionalmente poco trasparente e spesso organizzazioni esterne lo stimano superiore alle cifre ufficiali. Ciò non consente di capire fino a che punto la spesa si traduca in potenza militare.

In ogni caso, le sue dimensioni della spesa militare cinesi non sono paragonabili a quelle americane. Pechino ha annunciato che quest’anno l’Epl spenderà circa 152 miliardi di dollari, l’1.3% del pil: un incremento di circa il 7%, il più basso dal 2010, sui 138 miliardi del 2016.. Il rallentamento del tasso di crescita del budget militare dell’Epl va di pari passo con quello del pil della Repubblica Popolare, che quest’anno dovrebbe attestarsi al 6.5%, due decimi in meno rispetto al 2016. L’anno scorso, il budget stabilito dalla Difesa americana è stato di 580 miliardi di dollari e Trump ha proposto un incremento di 54 miliardi di dollari per il 2017.

D’altro canto, poco più di dieci anni fa i missili convenzionali cinesi erano in grado di colpire solo Taiwan. Oggi la Forza missilistica ha una capacità di deterrenza anche su scala intercontinentale. Il salto di qualità è evidente, ma la sviluppo tecnologico e la molteplicità di soluzioni a disposizione richiedono un nuovo sviluppo della catena di comando e controllo e della capacità operative dell’Epl e un nuovo approccio alla deterrenza e alle attività congiunte tra le branche delle Forze armate. Questo spiega l’aumento delle esercitazioni condotte e il reclutamento sempre più specifico da parte della Forza missilistica.

In generale, la lacuna di maggior rilievo dell’Epl è proprio la mancanza di esperienza operativa, specialmente in campo marittimo. Le esercitazioni non sostituiscono il combattimento reale. Ma la costruzione delle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale e le operazioni antipirateria nel Golfo di Aden stanno contribuendo a consolidare la capacità navali cinesi e ad addestrare meglio il personale militare.