Occupy Wall Street, i temi della campagna presidenziale e il futuro
Il peso avuto sulla campagna per le presidenziali dalla società civile di sinistra che si è mobilitata contro le banche, a partire dal settembre 2011, è quanto mai difficile da quantificare. Il movimento di Occupy Wall Street è stato ed è diverse cose, con varianti locali e rispetto al profilo degli aderenti. Ci sono giovani anti-sistema, intellettuali liberal delle metropoli, sindacalisti e attivisti pro-immigrazione negli Stati lungo la frontiera in mano a governatori repubblicani. Ciascun gruppo ha istanze più o meno radicali, qualcuno vota democratico o addirittura è direttamente attivo nell’attività politica della coalizione vicina a Obama, qualcuno non riconosce nemmeno l’idea della democrazia rappresentativa. Nei giorni della convention democratica di Charlotte, ad esempio, in un parco del centro città si era installato un campo di attivisti che protestava per il trattamento di Bradley Manning – il soldato incarcerato da un anno e mezzo per aver passato a Wikileaks documenti segreti sull’intervento militare americano in Iraq e Afghanistan. Per Charlotte si aggirava anche un autobus di immigrati senza documenti che rischiavano la deportazione per chiedere una riforma dell’immigrazione. In entrambi i casi la scelta di essere alla convention era dovuta a una contrapposizione con il Partito Democratico, non a una vicinanza.
Eppure queste stesse persone avevano manifestato per le strade di New York nei mesi precedenti la campagna elettorale assieme altre che si sono poi impegnate e hanno speso soldi per rieleggere Obama. Come la SEIU, il sindacato dei servizi, o i gruppi che si battono per la riforma dell’immigrazione a livello istituzionale. Anche intellettuali e volti noti della sinistra progressista e liberal americana si sono spesi per la causa di Obama come per quella di Occupy. Michael Moore, ad esempio, che da cittadino del Michigan ha molto difeso la scelta del presidente di intervenire per evitare il tracollo dell’industria americana dell’auto . Moore negli ultimi giorni di campagna elettorale ha persino inviato dei tweet che recitavano: “Se pensate che qualcuno possa decidere di andare a votare perché io gli telefono, mandatemi il suo numero”.
A differenza dei gruppi del Tea Party che erano a Tampa, fuori e dentro dal convention center che incoronava Mitt Romney, Occupy Wall Street è sempre stato un movimento estraneo alle forme della politica rappresentativa. Certo, a Washington c’è qualche rappresentante o senatore democratico che riprende alcune parole d’ordine, ma si tratta più di retorica politica che non di propensione a fare scelte radicali come quelle proposte da Occupy. Non c’è un caucus OWS come invece ce n’è uno (malridotto) di Tea Partiers.
In questo senso il ruolo di Occupy è stato piuttosto di spostare il discorso pubblico nella propria direzione; e di consentire quindi a una parte politica di riaffermare certi temi in forme più istituzionali. Da questo punto di vista l’insuccesso di Occupy nell’ottenere ciò che chiede – un cambio del sistema – è inversamente proporzionale alla sua capacità di introdurre il proprio messaggio nel linguaggio comune e nella campagna elettorale conclusasi il 6 novembre. Si prenda ad esempio il modo in cui nel mese di agosto la campagna Obama ha presentato Mitt Romney: un miliardario con i soldi alle Cayman Islands che licenzia i lavoratori e non paga le tasse. Parole d’ordine prese in prestito senza dubbio da Occupy. Un secondo esempio è quello del famigerato video pubblicato online da MotherJones. Nelle immagini rubate con un cellulare, si vede e ascolta Romney deridere il 47% di americani, che richiede servizi governativi ma non vuole contribuire. Un autogol involontario clamoroso: sentire il miliardario repubblicano parlare di percentuali ha richiamato subito alla mente il 99% reso famoso da OWS.
Il movimento può quindi vantarsi di aver riorientato la discussione grazie ad un messaggio di enorme efficacia. Non solo sulle banche, ma anche sull’immigrazione, che per altro sarebbe comunque stato un tema chiave, vista l’urgenza dei Democratici di mantenere solide basi nell’elettorato ispanico.
Anche la vittoria di Elizabeth Warren nel seggio senatoriale che fu di Ted Kennedy può considerarsi un altro risultato indiretto. La neo senatrice del Massachusetts è stata per diversi mesi il nemico pubblico delle banche. E in quegli stessi mesi Occupy alimentava nell’opinione pubblica la rabbia nei confronti del mondo dell’alta finanza. Senza quella spinta, forse, i Democratici non avrebbero scelto di candidare Warren nella battaglia dall’alto contenuto simbolico contro Scott Brown, il giovane Repubblicano eletto dal Tea Party nel 2010.
Infine, tra le affermazioni indirette di OWS va segnalata l’alta partecipazione di giovani alle elezioni del 2012, anche se si tratta più di un’impressione che di un dato di fatto verificabile. Certo c’è stata la macchina elettorale di Obama, capace di pescare ogni voto coprendo ogni millimetro di spazio politico. Ma c’è stato anche un anno e mezzo durante il quale migliaia di ragazzi hanno fatto politica, seguito le manifestazioni online, simpatizzato con certe idee. Non necessariamente un rapporto diretto di causa ed effetto, ma un terreno politico fertile sul quale i Democratici hanno potuto seminare. I giovani che dichiaravano di essere d’accordo con Occupy nei sondaggi, infatti, non erano necessariamente anti-sistema. Così come le simpatie per il Tea Party due anni prima non venivano solo dalla parte più conservatrice della società americana.
Anche il dibattito di nuovo in corso sul precipizio fiscale verso il quale gli Stati Uniti sono diretti è ancora un cascame del cambiamento di tono imposto da OWS alla società: dal “mai tasse” del Tea Party nel 2010, siamo oggi giunti al “più tasse per i ricchi”. Anche dopo il voto.
Resta da vedere se questa capacità di influenzare la politica da parte di OWS continuerà. Il terreno sul quale potrebbe avere qualche forza è quello del cambiamento climatico. L’uragano Sandy, proprio negli ultimi giorni della campagna presidenziale, ha riportato il tema in cima all’agenda politica – e nella testa delle persone. Occupy ha immediatamente chiamato al volontariato ed organizzato diversi centri di raccolta e distribuzione di aiuti. Ha aiutato le persone senza casa a trasferirsi o i piccoli negozi a ripulire. E con gli aiuti ha portato anche un messaggio che, come nel 2011, associa una contingenza reale (le difficoltà generate dalla crisi economica o dall’uragano) a una critica al sistema.