international analysis and commentary

New York, New York dall’inizio

9,899

E’ il ventennale dell’11 Settembre: un evento che volenti o nolenti ha segnato per sempre chi lo ha osservato, grazie a una potenza visuale smisurata. I fatti – le migliaia di morti, la beffa ai sistemi di sicurezza della prima forza di difesa al mondo, la provocazione per scatenare la reazione militare – si stagliano su uno sfondo evocativo di immagini davvero cinematografiche: il dirottamento degli aerei, le esplosioni nel cielo, il crollo dei grattacieli. E New York; non un luogo qualsiasi, come sapevano bene anche gli attentatori, ma una città/mondo dotata di un carattere unico, inconfondibile, e che fin dalle sue remote origini ha avuto ben impresso dentro di sé.

New York dalla punta meridionale di Manhattan

 

La storia di New York comincia in un’altra metropoli marittima. Seguendo il successo della Compagnia delle Indie Orientali, grandi e piccoli commercianti e investitori con base ad Amsterdam, all’inizio del ‘600, raccolgono somme ingentissime, capitali di ventura, per tentare a Occidente l’avventura che tanto stava fruttando a cavallo tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, dove le navi olandesi erano diventate monopoliste dei traffici più redditizi.

Nel 1609, un esploratore inglese a libro paga della Compagnia, Henry Hudson, aveva mappato alcune lande desolate del Nord America su cui i Paesi Bassi avevano proclamato la propria sovranità – senza ovviamente chiedere il parere delle tribù native del luogo. Tuttavia, dall’Olanda non erano arrivati che qualche missionario a caccia di anime e qualche avventuriero in cerca di pellicce a buon mercato. Con la Compagnia delle Indie Occidentali e i suoi capitali investiti, adesso, il remoto possedimento acquistava nuovo potenziale.

Ma chi avrebbe mai abbandonato uno dei territori più ricchi, sviluppati e liberi d’Europa, per fare il colono nella selva oscura del nuovo mondo? Eppure, anche nell’Olanda del secolo d’oro esistevano i poveri. In particolare immigrati dalle province valloni del Belgio, di origine francese e cattolici: gente che la upper class protestante di Amsterdam era ben contenta di non vedere bighellonare lungo i canali della città, e a cui decise di offrire terre lontane in cambio di sei anni di servizio nella Compagnia. Spesso i coloni partivano in coppia: un matrimonio frettoloso o combinato, poi tre mesi di navigazione per arrivare nel vasto anfiteatro naturale composto da intrecci di boschi, isole, corsi d’acqua che era il loro punto di sbarco.

L’arrivo nel nuovo mondo

 

Un’immensità sconosciuta: uno dei modi per renderla più familiare e renderne possibile il possesso, anche a livello mentale, era nominarla. Una punta all’estremo sud divenne Cape May, da Cornelis May, capitano di vascello. A nord, chiamarono un posto Rhode Island perché dal mare sembrava un’isola rossa. Tra questi due punti si stendeva la “Nuova Olanda”. Molti dei nomi dati in quel momento primigenio alle terre sono arrivati fino a noi, seppure con una grafia mutata: Breuckelen (Brooklyn), Haerlem, Staten Island, Long Island, East River, Greenwijk, Vlackebosch (Flatbush), Boswijck (Bushwick), Catskill, Conyne (Coney) Island.

All’inizio le relazioni e gli scambi con i nativi andarono bene, ma dopo alcuni incidenti i capi delle colonie decisero di radunare gli insediamenti sparsi in un posto più difendibile, un’isola. Così ne acquistarono una dai nativi, che gli Indiani chiamavano Mannahatta. Con regolare contratto firmato, la pagarono una cifra pari a 1000 euro di oggi. Molti sanno che la nuova città fu chiamata New Amsterdam, ma il suo nome vero era “Amsterdam nella Nuova Olanda”: e in effetti i coloni vi replicarono fedelmente i tetti a punta, i canali e i mulini a vento della “genitrice”. L’ordine era mantenuto da guardie civiche, come nei quadri di Rembrandt.

Così si presentava la punta meridionale di Manhattan a metà del Seicento.

 

Ma non solo oggetti materiali riprodussero i coloni. Nell’Amsterdam del nuovo mondo fu replicato anche lo spirito commerciale della madrepatria, che all’epoca era il primo nodo di scambi al mondo, e dove aveva aperto la prima borsa valori mai costruita. Grazie al senso finanziario e imprenditoriale dei nuovi abitanti, che potevano vendere, comprare, investire liberamente anche impegnando quote piccolissime nelle imprese di navigazione, esattamente com’era consentito fare nei Paesi Bassi, dove l’interesse delle compagnie marittime diventava così interesse nazionale, il porto alle foci dell’Hudson divenne una tappa obbligata per chi solcava l’Atlantico.

Dall’Olanda, i nuovi abitanti importarono anche la tolleranza politica: all’epoca Amsterdam era la casa di filosofi come Cartesio e Spinoza, che potevano pensare, scrivere e soprattutto pubblicare liberamente. La filosofia rimase in Europa, ma la sua applicazione favorì un incredibile e precoce cosmopolitismo nella nuova città americana. Nel 1643, un gesuita di passaggio calcolò che tra i 5mila abitanti della punta meridionale di Manhattan si parlavano ben 18 tra lingue e dialetti diversi. New York era New York ancora prima di chiamarsi così.

La tolleranza era anche religiosa. Mentre in Europa ci si massacrava a turno tra cattolici e protestanti e tra imperi e nazioni nella Guerra dei Trent’Anni, New Amsterdam codificava che nessuna fede dovesse essere discriminata rispetto alle altre, e non solo tra le tante versioni del cattolicesimo, ma anche rispetto all’ebraismo e l’Islam: così comandano le Sacre Scritture, dicevano i coloni, a cui nessun prete impediva di leggerle. E questa non era affatto la regola, nelle colonie americane: si pensi all’omogeneità della capitale inglese, Boston, rimasta persino oggi una città a forte impronta wasp.

L’Olanda permetteva alle colonie di avere il proprio stesso statuto di tolleranza religiosa, che non impediva affatto i contrasti, è bene specificarlo, ma piuttosto offriva gli spazi per risolverli; il processo però partiva anche dal basso. Alcuni coloni di Vlissingen (oggi Flushing, distretto del Queens e sede degli US Open) contestarono ufficialmente la politica dei loro capi di impedire ai quaccheri, considerati dei fastidiosi indesiderabili, di insediarsi nella zona. Il Direttore Generale della Colonia Peter Stuyvesant accolse la loro petizione firmata, rendendo la rimostranza una pietra miliare della libertà religiosa. Correva l’anno 1657. Tre anni prima erano arrivati a New Amsterdam i primi 23 coloni di religione ebraica, fuggiti dal Brasile dove erano perseguitati dall’Inquisizione portoghese.

La città prosperò, ma era situata proprio a cavallo dei possedimenti britannici della Virginia a sud e del New England a nord. Così la corona inglese la prese con la forza nel 1664-74; la conquistò e la ribattezzò, ma non poté snaturarne il carattere, le leggi e gli usi già codificati e riconosciuti da tutti. La città funzionava. L’anima commerciale, tollerante e multietnica costruita nel mezzo secolo olandese rimase la spina dorsale di New York, e la rese la città dell’immigrazione per eccellenza, anche perché la sua diversità ne faceva un punto di arrivo sul nuovo continente più facile e accessibile di altri. Lì era possibile sognare il successo e l’arricchimento.

Mulberry Street, il centro di Little Italy, nel 1910

 

New York divenne in un certo qual modo una nemesi di un vecchio mondo dove l’assolutismo religioso, l’autoritarismo politico e il nazionalismo culturale dominavano. Per i milioni di nuovi arrivati, era l'”America” – benché la sua gente e le sue strade fossero ben diverse, in fondo, da quelle dell’America vera.